Attualità

Sembra profilarsi una soluzione per la travagliata vicenda dei locali dell'Agenzia per l'impiego che dopo la disdetta dei locali di via Consolare fatta dal comune di Bagheria, si era trovato un pò a girovagare gli ultimi giorni dello scorso anno, senza riuscire a trovare una sistemazione adeguata per far fronte alla esigenze di una popolazione del circondario che raggiunge quasi i 100.000 abitanti, perchè  parliamo dei comuni nell'intorno di Bagheria che vanno da Altavilla a Villabate.

Di recente era stata accertata la inidoneità di alcuni vani degli uffici di via Consolare per la caduta di calcinacci dal soffitto, e negli ultimi giorni si erano tentate soluzioni di accomodo: dei locali dell'ANFE in via Bagnera a palazzo Aragona Cutò, e si era ipotizzato anche il trasferimento presso i locali comunali di contrada Incorvino che ospitano gli uffici del Coinres.

Nessuna di questa soluzioni per motivi vari si era rivelata praticabile, per cui il Dirigente dell'Ufficio, Giovanni Lo Giudice, in assenza di una sistemazione idonea, aveva scelto la strada di riportare a Palermo un importante presidio per i lavoratori del territorio.

Già da ieri sono cominciate a susseguirsi le prese di posizione di esponenti della politica cittadina a partire dal Partito Democratico, che lamentano come uno dopo l'altro Bagheria stia perdendo una serie di presidi territoriali, dal concessionario di riscossione l'Ufficio di Montepaschi Serit, alla ventilata chiusura dell'Ufficio delle Imposte sino all'Ufficio di Collocamento che come i precedenti ha un bacino di utenza non limitato a Bagheria, ma territoriale.

La soluzione, come ci ha detto stamane il sindaco di Bagheria Vincenzo Lo Meo, sarebbe stata trovata dai sindaci del territorio: è stata infatti individuata una struttura a Santa Flavia in corso Filangeri, l'Opera Pia Pezzillo Raimondi per la quale il comune  ha già in essere un contratto di affitto che prevede un onere di 20.000 euro annui ( sia detto per inciso che i locali di via Consolare, per i quali era stata notificata la disdetta ai proprietari, costavano al Comune di Bagheria 26.000 euro l'anno; il canone di affitto peraltro veniva a gravare esclusivamente sulle casse del comune di Bagheria, perchè sinora nessuno si era "ricordato" di richiedere ai comuni vicini il rimborso della quota loro spettante).

La soluzione di utilizzare i locali dell'Opera Pia "Pezzino Raimondi" risponderebbe ad una serie di requisiti, a partire dal fatto che la sede sarebbe baricentrica rispetto ai comuni serviti, che il contratto di affitto è già in essere; si tratterebbe solo di trovare un accordo tra i sindaci per una ripartizione delle spese.

Obiettivo non impossibile da raggiungere.

Si è svolto nel pomeriggio di ieri il convegno durante il quale, presenti anche diversi presbiteri e il sindaco di Bagheria Vincenzo Lo Meo, è stata presentato, dagli studiosi che l'hanno eseguito, il restauro cui è stata sottoposta la pala d'altare che adornava il lato destro della navata della Chiesa Madre di Bagheria.

Il dipinto risalente più o meno  al 1780 e raffigurante tre santi  Sant'Antonio da Padova, San Francesco d'Assisi e San Giuseppe con il bambino,  adornava già la Chiesetta che sorgeva in contiguità con il Palazzo dei Branciforti, ed era stato poi trasferito alla Chiesa Madre quando questa fu edificata, in occasione del taglio di corso Butera.

Aveva subito un primo sommario restauro intorno al 1900, ma, come sottolineavano gli studiosi, a danneggiare i dipinti nelle chiese era il nerofumo derivante dalla combustione di candele e lumini che un tempo si accendevano con generosità all'interno dei luoghi di culto, anche perchè servivano per illuminare gli ambienti.

La parte bassa del dipinto è andata praticamente perduta, ma la parte superiore mostra tutta la sua qualità e il suo pregio non solo storico ma anche artistico perchè il dipinto secondo la tesi del prof. Gaetano Bongiovanni della Sovrintendenza si può attribuire a Mariano Rossi un grande pittore saccense, che lavorò per i Savoia e per la corte spagnola di Napoli,  che operò nella seconda metà del 700 a Palermo in stretto contatto con Vito D'Anna e Olivio Tosti, autori di grande talento  che sicuramente avevano conosciuto e incontrato artisticamente parlando nei loro viaggi di aggiornamento  i grandi della ritrattistica religiosa che operavano soprattutto a Roma 

D'altronde i Branciforti che operarono a Bagheria, per un certo periodo detennero il titolo di principi di Butera il più prestigioso ed anche il più ricco titolo di Sicilia; basta pensare che per importanza il detentore del titolo di Principe di Butera era secondo solo al vicerè spagnolo.

Possibile quindi che per la loro cappella privata i Branciforti si fossero affidati ad una nome importante del tempo, considerata il pregio artistico emerso dal dipinto dopo il procedimento di restauro, considerato che la patina di nerofumo aveva sinora impedito di coglierne il valore.

E' stata quella di Bongiovanni la relazione più illuminante circa l'attribuzione e la datazione: Rosario Scaduto che, oltre che di villa Palagonia è profondissimo conoscitore della Chiesa Madrice ripercorre i passaggi che portarono alla edificazione del tempio da parte della famiglia Branciforti ed i loro contributi, a partire dallo stemma di famiglia scolpito nella facciata esterna, anche di altre pale d'altare oggi scomparse.

Sophie Bonetti e Giuseppe Traina parlano soprattutto delle tecniche, dei procedimenti e dei problemi che ha comportato riportare l'opera, come si suol dire, all'antico splendore.

Padre Giovanni La Mendola, arciprete della Chiesa Madre, sottolinea come questo restauro segua di qualche settimana l'inaugurazione del nuovo impianto elettrico della Chiesa, e che il restauro si può intendere  in qualche modo un messaggio lanciato ai giovani, perchè comprendano come ogni piccolo elemento della nostra storia serve a definire una identità ed a consentire di guardare al futuro con spirito aperto e propositivo.

Il restauro, costato intorno ai 15.000 euro, è stato reso possibile dall'impegno economico della Confraternita di San Giuseppe, il cui superiore Sergio Cannizzaro, ne mette in risalto l'attaccamento alla Chiesa e al Santo.

 

Il titolo racchiude la sostanza del libro: ed in questa rassegna per immagini delle specialità tipiche della pasticceria siciliana c'è spazio anche per le eccellenze bagheresi.

Dolce Sicilia non è un libro di ricette di dolci, ma un bel volume  di fotografie dell'artista Giò Martorana bagherese per origini di famiglia, flavese per residenza, ormai considerato dalla critica uno dei più brillanti oltre che poliedrici fotografi italiani e non solo.

Il libro è un viaggio che segue due percorsi: quello letterale del termine, ritrovare cioè nella geografia della Sicilia le eccellenze delle nostra produzione dolciaria.

Si parte da Bagheria dal nostro pasticciere principe, per età e qualità, Don Gino, le cui prelibatezze:la torta Adriana, la Setteveli o i bocconcini alla nocciola, il gelato artigianale vengono associati all'inossidabile villa Palagonìa; e a Tony e Laura Lo Coco che nel ristorante i Pupi con il loro Buccelart hanno innovato una delle più vecchie ricette di dolce siciliano, per passare al Caffè del Duomo di Catania con le sue Minne di Sant'Agata agli Armandini di Armando a Brolo, biscottini che hanno come materie prime mandorle, miele di Zagara, agrumi e banane di produzzione propria manipolate da Armando a Brolo che riscopre vecchi sapori tradizionali riletti dalla creatività di un giovani ma gia grande pasticciere; si viaggia nelle vere capitali del dolce gusto che non sempre corrispondono alle grandi realtà urbane, come accade per la pasta reale artigianale di Assunta Lombardo a Favara, che lavora solo in certi periodi dell'anno, i Morti, Natale la settimana Santa, e che mette in guardia dalle ricette su Internet:"nessuna ricetta ti potrà mai dare quello che ti dà l'esperienza." 

Per tornare dal mitico Oscar a Palermo con la sua torta Pistacchiotta e i suoi incomparabili Geli  di mellone.

Tutto in immagini con i commenti di Marco Ghiotto, che parlano un pò dei personagggi, un pò degli ingredienti, un pò della storia di questa Dolce Sicilia

Ma il volume segue anche un secondo percorso che possiamo definire storico-letterario che si dipana per capitoli: dai "Trionfi di gusto", seguito "Dal Gattopardo a Montalbano" sino ai "Peccati di gola dei Monasteri di Sicilia" e poi  ancora "Dolce calendario" e "Tradizioni dimenticate" ,  per chiudere con " Secolo XXI evoluzione".

I testi, come dicevamo, sono di Marco Ghiotto, il cui primo termine per definirlo nella scheda di  presentazione  è appunto goloso; Nomen Omen  verrebbe da dire se non fosse troppo scontato, e che con le sue schede a corredo delle foto ci fa conoscere manipolatori , ingredienti, storie e passioni che stanno dietro queste eccellenze.

La presentazione del libro è di  Giuseppe Tornatore: Il cuore dolce della Sicilia è il titolo che è un vero e proprio Carme lirico ai colori, ai dolci e ai ricordi della sua Sicilia, di cui vi trascriviamo solo l'incipit:"La felicità ha un colore preciso. Come il tufo dei paesaggi del Sud, come la sabbia delle spiagge d'estate, come un bicchiere di passito, come il miele e la cannella..."

alt

Il volume uscito già da qualche settimana per i tipi di Mondadori Electa e costa 85 euro. Ma li vale tutti. 

Unica controindicazione: non  farlo guardare a chi soffre di diabete, perchè il solo sfogliarlo potrebbe far aumentare la glicemia.

GIO'  MARTORANA

E' nato a Palermo nel 1960. Già nel 1980 ha iniziato la sua attività di fotografo per l'agenzia  Gamma di Parigi; in seguito  ha pubblicato per Sellerio i libri Tonnara e Volti di mare.

Fotografo tar i più versatili si divide tra la fotografia di moda, il reportage, la pubblicità e il ritratto. Ha lavorato per marchi importanti, Vuitton, Tag Heuer , Porsche Germania, Firriato, la nota azienda vinicola siciliana di Paceco.

Per Firriato realizzò una efficace campagna con la foto di una delle titolari dell'azienda Vinzia Di Gaetano. I suoi servizi fotografici vengono pubblicati sulle riviste più famose in Italia e nel mondo, da Elle a Vogue, ad Harper's Bazar, a Marie Claire.

Nel 1997 viene scelto da William Livingstone di National Geographic, per comparire nel documentario The Italians assieme a Krizia e Sergio Pininfarina.

Opere sue sono esposte in Musei e Collezioni private in tutto il mondo, tra cui la Fondazione Alinari di Firenze.

Ha allestito mostre personali a Milano, Parigi, Londra, Tokio, Berlino, New York , Los Angeles.

Nel 1999 gli è stato assegnato il premio Unesco.

E' un bel progetto quello messo in campo da Giuseppe Di Franco, responsabile dell'Associazione "Germogli d'arte", che va ad organizzare a partire da giovedì 27 dicembre, la terza edizione degli Spazi della Cultura che vedranno svilupparsi nell'arco di quattro giorni una serie di iniziative che hanno un denominatore comune: riscoprire la storia e l'identità di un territorio quello di Santa Flavia che ha radici antiche perchè ha visto svilupparsi nel proprio intorno fenomeni di grande valenza, dalla presenza fenicio-punica ed ellenistico romana legata alla cittadella di Solunto, ad emergenze di architettura normanna, la famosa Chiesazza, che è stata dimostrata essere coeva alla Cattedrale di Cefalù, sino al Castello di Solanto, al barocco delle ville e delle chiese, villa Filangeri e Basilica Soluntina in particolare.

Le realizzazione del progetto è stata possibile grazie alle sinergie realizzatesi tra l'Associazione Germogli d'arte, l'Assessorato regionale ai beni culturali e all'identità siciliana, 'assessorato alla cultura del Comune flavese sino al Parco culturale Soluntino, il cui presidente Mario Perrone non perde occasione per mettere in risalto l'unicità e le suggestioni di un territorio splendido: un territorio quello della Baronìa di Solanto che nei secoli ha conosciuto non solo straordinari eventi architettonici ma anche socio-economici, dalla pesca del tonno praticata sin dai primi insediamenti abitativi alle cave di pietra sino alle realtà agricole-produttive della canna da zucchero, del sommacco, della vite, del pomodoro, dell'ulivo e degli agrumi.

Chiese, ville, resti di cittadelle, castelli, ma anche uomini: ed è di questi che si occuperanno nei quattro giorni i relatori del convegno: a partire da Francesco Lo Iacono Battaglia, cultore di storia del territorio, autore del fortunatissimo volume "Solanto, storia e cronaca", sino alla pittrice Venera Carini che vedrà ospitata nel giardino d'inverno della villa una mostra di suoi quadri, sino al prefetto Ernesto Perez, le cui opere di benefattore e filantropo sono state dalla comunità ricordate con l'intitolazione dell'Opera Pia "Perez Raimondi"

Una mostra fotografica e una serie di percorsi per riandare alla storia progettuale e costruttiva delle architetture di villa Filangeri e della Basilica Soluntina completeranno il programma.

A presentare e coordinare le varie iniziative del convegno la giornalista televisiva Licia Raimondi.

alt

 

BASILICA SOLUNTINA

La Basilica ebbe origine quando nell’anno 1666 Pietro I Filangeri acquistò un terreno nel feudo della Bagaria dal sacerdote Don Giacomo Lamattina, e proprio dove oggi la stessa è ubicata, esisteva una piccola chiesetta dedicata a Sant’Anna.
Nel corso degli anni e per volontà della stessa famiglia Filangeri la chiesa subì delle modifiche ed ampliamenti e nel 1785 con bolla del Pontefice Pio VII venne consacrata a Basilica chiamata “Soluntina”.
La chiesa oggi malgrado i segni del tempo presenta le sue caratteristiche inconfondibili di originario capolavoro tardo barocco. La sua forma ellittica è di chiara ispirazione borrominiana.
La copertura voltata è sormontata da un’alta lanterna e coperta da una cupoletta a spicchi ellissoidali rivestiti di rame.
Il sotterraneo a cripta per le sacre reliquie sotto il prolungamento del corpo centrale risale all’impianto del 1756. La cripta era il luogo da dove riservatamente i Filangeri assistevano alla celebrazione delle sacre funzioni.
C’è da dire infine che la Villa Filangeri era collegata alla chiesa da una scaletta in pietra di cui restano tracce, passaggio che serviva ai Filangeri per recarsi in chiesa in forma privata.


VILLA FILANGERI

La villa Filangeri e il suo parco retrostante costituiscono una delle attrattive maggiori dell’intero circondario e testimoniano un modello di residenza nobiliare tra il XVII° e il XVIII° secolo.

E’ ignoto l’architetto che ha preparato il progetto di fondazione, tuttavia la costruzione fu iniziata nel Seicento e fu proprio in questo secolo che i Filangeri acquistarono il principato e vi costruirono una residenza.
Alla villa si accede da un piccolo giardino antistante che insieme ad altri elementi della facciata richiama il settecentesco classico delle ville palermitane.
Il prospetto della villa mantiene l’aspetto originario con la tipica scala di accesso propria delle ville di quel periodiche qui si sviluppa su due rampe doppie e simmetriche.
Palazzo Filangeri è oggi in dotazione dell’amministrazione comunale che ne ha fatto la sua sede permanente.
Il parco della villa si estende su una superficie di 8.500 metri quadrati.
Oggi l’amministrazione comunale data la bellezza del luogo lo ha destinato a sede di iniziative artistico culturali.

   

Altri articoli...