La pala d'altare restaurata alla Madrice è una vera opera d'arte

La pala d'altare restaurata alla Madrice è una vera opera d'arte

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Si è svolto nel pomeriggio di ieri il convegno durante il quale, presenti anche diversi presbiteri e il sindaco di Bagheria Vincenzo Lo Meo, è stata presentato, dagli studiosi che l'hanno eseguito, il restauro cui è stata sottoposta la pala d'altare che adornava il lato destro della navata della Chiesa Madre di Bagheria.

Il dipinto risalente più o meno  al 1780 e raffigurante tre santi  Sant'Antonio da Padova, San Francesco d'Assisi e San Giuseppe con il bambino,  adornava già la Chiesetta che sorgeva in contiguità con il Palazzo dei Branciforti, ed era stato poi trasferito alla Chiesa Madre quando questa fu edificata, in occasione del taglio di corso Butera.

Aveva subito un primo sommario restauro intorno al 1900, ma, come sottolineavano gli studiosi, a danneggiare i dipinti nelle chiese era il nerofumo derivante dalla combustione di candele e lumini che un tempo si accendevano con generosità all'interno dei luoghi di culto, anche perchè servivano per illuminare gli ambienti.

La parte bassa del dipinto è andata praticamente perduta, ma la parte superiore mostra tutta la sua qualità e il suo pregio non solo storico ma anche artistico perchè il dipinto secondo la tesi del prof. Gaetano Bongiovanni della Sovrintendenza si può attribuire a Mariano Rossi un grande pittore saccense, che lavorò per i Savoia e per la corte spagnola di Napoli,  che operò nella seconda metà del 700 a Palermo in stretto contatto con Vito D'Anna e Olivio Tosti, autori di grande talento  che sicuramente avevano conosciuto e incontrato artisticamente parlando nei loro viaggi di aggiornamento  i grandi della ritrattistica religiosa che operavano soprattutto a Roma 

D'altronde i Branciforti che operarono a Bagheria, per un certo periodo detennero il titolo di principi di Butera il più prestigioso ed anche il più ricco titolo di Sicilia; basta pensare che per importanza il detentore del titolo di Principe di Butera era secondo solo al vicerè spagnolo.

Possibile quindi che per la loro cappella privata i Branciforti si fossero affidati ad una nome importante del tempo, considerata il pregio artistico emerso dal dipinto dopo il procedimento di restauro, considerato che la patina di nerofumo aveva sinora impedito di coglierne il valore.

E' stata quella di Bongiovanni la relazione più illuminante circa l'attribuzione e la datazione: Rosario Scaduto che, oltre che di villa Palagonia è profondissimo conoscitore della Chiesa Madrice ripercorre i passaggi che portarono alla edificazione del tempio da parte della famiglia Branciforti ed i loro contributi, a partire dallo stemma di famiglia scolpito nella facciata esterna, anche di altre pale d'altare oggi scomparse.

Sophie Bonetti e Giuseppe Traina parlano soprattutto delle tecniche, dei procedimenti e dei problemi che ha comportato riportare l'opera, come si suol dire, all'antico splendore.

Padre Giovanni La Mendola, arciprete della Chiesa Madre, sottolinea come questo restauro segua di qualche settimana l'inaugurazione del nuovo impianto elettrico della Chiesa, e che il restauro si può intendere  in qualche modo un messaggio lanciato ai giovani, perchè comprendano come ogni piccolo elemento della nostra storia serve a definire una identità ed a consentire di guardare al futuro con spirito aperto e propositivo.

Il restauro, costato intorno ai 15.000 euro, è stato reso possibile dall'impegno economico della Confraternita di San Giuseppe, il cui superiore Sergio Cannizzaro, ne mette in risalto l'attaccamento alla Chiesa e al Santo.