Attualità

In vista della riedizione della marcia antimafia Bagheria-Casteldaccia siamo tornati a chiedere ad alcuni tra i testimoni e i protagonisti  di quel 26 febbraio del 1983 un loro contributo sui fatti di quegli anni. Padre Francesco Michele Stabile era al tempo vicario episcopale del cardinale Salvatore Pappalardo nel nostro territorio e fu, assieme ad altri, il promotore di un documento contro la mafia che resterà nella storia.

Quale era il clima di quel periodo nella chiesa  in rapporto alla presenza della mafia e sui temi del rapporto con la sinistra?

Gli anni '70 furono anni di disgelo, nonostante fossero anni di terrorismo politico al Nord e di guerra di mafia in Sicilia e di ripresa della camorra e della ‘drangheta.

Nel mondo ecclesiale il concilio invitava i cattolici al dialogo, vincendo la paura della modernità e la conseguente separatezza culturale.

Anche a Bagheria si affermò un consistente movimento giovanile cattolico che affrontava le problematiche più impellenti, dal rapporto cristianesimo e marxismo agli scottanti referendum sul divorzio e poi sull'aborto.

Ma la presenza nel territorio comportava la sottolineatura di nuovi problemi: l'emergere della piaga della droga, della questione giovanile, dell'handicap, della urgenza di servizi sociali, della urgenza di riforma della politica, della lotta al clientelismo e, in modo particolare, della questione mafiosa. Nacquero parecchie iniziative in collaborazione con i giovani cattolici di Bagheria e di Casteldaccia.

La fondazione del Centro di Cultura e di Animazione sociale “Il Dialogo”, la Scuola di Promozione Teologica, l’Associazione proHandicap, una sezione del Centro Italiano Femminile, le Caritas cittadine, l’Istituto di ricerca e formazione “Jacque Maritain”.

Gia allora cominciano a venir meno gli steccati e i pregiudizi ideologici? 

L'affievolirsi della radicalizzazione ideologica, visti i guasti del terrorismo, portò anche nella cultura di sinistra una nuova visione del valore della religione.

La teologia politica, la teologia della liberazione, la teologia della speranza smentivano una religione intesa solo come oppio del popolo.

Il mondo della chiesa allentava a sua volta il collateralismo con la Dc e riprendeva, nelle frange più avanzate, il tema di una chiesa povera ed evangelica, senza cioè compromessi o protezioni che affuscavano la credibilità del suo annunzio evangelico.

Si rese possibile allora un dialogo tra coloro che avevano a cuore i reali problemi del popolo e il bene comune. E dal dialogo si passò alla collaborazione nel campo culturale e sociale.

Quale fu il ruolo del cardinale Salvatore Pappalardo nel consentire una presa di posizione così netta contro la mafia?

A partire dal 1973 i vescovi siciliani avevano cominciato a presentare la mafia come uno dei problemi più urgenti da affrontare. Il convegno diocesano Evangelizzazione e Promozione umana nel 1976 prese posizione sulla questione mafiosa.

Il card. Pappalardo ebbe il grande merito di cogliere il germe di questa coscienza antimafia della sua chiesa e di proclamare esplicitamente la condanna del delitto mafioso soprattutto dopo che con la seconda guerra di mafia i morti ammazzati dalla mafia si cominciarono a contare a centinaia.

E tra questi furono uccisi uomini delle istituzioni come il Presidente della regione Santi Mattarella. Il susseguirsi dei funerali di questi uomini furono le occasioni che permisero al cardinale di rinnovare la sua condanna fino alla messa dell’autunno del 1981 in occasione dell’incontro in cattedrale delle congregazioni laicali della diocesi.

Come nasce l’dea di quel documento che sarebbe diventato un testo in qualche modo storico?

Il 1982 fu un anno terribile per la virulenza dei morti ammazzati dalla mafia. A partire dal procuratore dall'uccisione del capo della Mobile  Boris Giuliano a quella del procuratore di Palermo Gaetano Costa; e poi ancora gli omicidi  di Cesare Terranova, che si avviava a diventare capo dell'Ufficio Istruzione e di Pio La Torre, segretario del Partito Comunista, oltre che degli uomini della loro scorta Mancuso e Di Salvo.

Questa catena di morti eccellenti onvinse finalmente il governo a intervenire inviando a Palermo il generale Dalla Chiesa che aveva lottato contro il terrorismo. Tra le polemiche sui poteri non concessi al generale, la mattanza continuava in modo spregiudicato tanto da creare un clima di paura nella popolazione. Il nostro territorio fu uno dei luoghi del terrore, tanto che fu chiamato Triangolo della morte, tra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla.

Fu allora che avete pensato che un intervento della Chiesa non fosse più rinviabile?

Fu nel caldo afoso di agosto che ci si chiese se potevamo stare a guardare tanto delirio. Ero allora vicario episcopale del V° Vicariato che va da Villabate a Cerda.

A Palazzo Butera riunimmo i parroci e i rapprepsentanti dei consigli parrocchiali, ai quali sottoposi il testo di un documento da leggere nelle chiese il 15 agosto, festa dell’Assunta.

Si discusse a lungo, si fece qualche piccola modifica, e poi fu approvato. La sera del sabato lo dettai al Giornale di Sicilia e la domenica mattina era in prima pagina.

Si trattava del primo documento sulla mafia espresso da comunità ecclesiali di base.

Per dare maggiore autorevolezza si faceva riferimento agli interventi dell’arcivescovo Pappalardo e del papa sulla mafia.

Informaste subito il cardinale Pappalardo ?

Mi recai a Zafferana Etnea con padre Innocenzo Giammarresi, credo l’indomani, per incontrare l’arcivescovo che era in vacanze presso la famiglia.

Approvò la nostra inziativa che nel frattempo aveva provocato enorme interesse a livello nazionale e internazionale. La stampa sottolineò soprattutto il riferimento allo scandalo dei politici che partecipavano ai funerali di noti mafiosi, come era avvenuto a Riesi con il boss Di Cristina, e anche a Bagheria, e come avveniva dappertutto.

Il documento però invitava a non lasciarsi schiacciare dalla paura, voleva essere una chiara condanna della mafia dichiarata in antitesi con il vangelo di Gesù Cristo, esprimeva impegno da parte delle comunità nel contrastare la mafia e la sua cultura, e chiedeva impegno da parte del governo.

Come nacque l’idea della marcia?

L’assassinio del generale Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta ebbero un effetto deflagrante, perché sembrava che le attese, forse troppo miracolistiche, di sconfitta della mafia sembravano sconfitte dall’attentato di via Carini.

Fu però anche una sferzata alla coscienza di tanti uomini e donne che reagirono formando comitati popolari antimafia. Il più duraturo quello di Casteldaccia, meno duraturo quello di Bagheria per un eccesso di infiltrazioni politiche.

Furono protagonisti uomini di chiesa, uomini di sinistra, moltissimi giovani, studenti, professionisti. Si fecero nei mesi che seguirono assemblee popolari a Castedaccia e a Bagheria molto partecipate.

Da queste assemblee nacque il bisogno di coinvolgere il movimento studentesco palermitano e di fare una manifestazione esterna che desse un segnale forte all’opinione pubblica non solo siciliana. Firmammo un manifesto di convocazione della marcia.

I primi firmatari Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, padre Muratore, arciprete della Chiesa Madre e poi sindacati, associazioni.

Vi aspettavate quella partecipazione massiccia ?

Intuivamo che nella coscienza profonda delle nostre comunità qualcosa andava cambiando, e che sottotraccia si andava formando un nuovo pensiero: quel fiume carsico venne fuori e prese forma quais all'improvviso il 26 di febbraio, con quella miriade di associazioni diverse però unite, negli slogan fantasiosi, nei mille colori portati dai giovani.

Era come se all'improvviso la gente si fosse liberata da un peso e volesse urlare al di là dei partiti e delle opinioni religiose e politich eil proprio no alla mafia.

La novità vera è che la lotta contro la mafia smette di essere prerogativa di un solo partito e d un solo schieramento e diventa patrimonio collettivo: ecco forse sta in questo il messaggio di autentica novità che quelle migliaia di persone intendevano esprimere.

Cosa è cambiato rispetto a trenta anni fa? 

Non mi colloco tra coloro che vedono nero.

La mafia è ancora un male da sconfiggere, ma è in carcere la grandissima parte dei mafiosi che hanno firmato gli omicidi di quegli anni. Rimangono affari della mafia, legami con alcuni settori della politica e ammiccamenti alla mafia di certa borghesia burocratica, commerciale, imprenditoriale.

Trent’anni fa non era così facile parlare di mafia. Si è fatto tanto lavoro nelle scuole. Ma rimane ancora nel nostro territorio diffusa illegalità, poco senso di appartenenza a una comunità e quindi eccesso di individualismo e poca ricerca del bene comune, una larghissima frangia di famiglie deprivate di cultura, di lavoro, di beni. E tuttavia ci sono tanti germogli, tanti giovani che vogliono costruire nuovi rapporti, solidarietà allargate.

All’interno della vita ecclesiale si è acquisita la contrapposizione della mafia al vangelo, ma l’iniziativa di liberazione alla mafia è a macchia di leopardo.

L’impegno della chiesa e quindi di preti e laici cattolici per risolvere il nodo maligno della mafia non è compito di supplenza, ma nasce all’interno del servizio al vangelo che la chiesa deve rendere per affermare sempre più la centralità della dignità di ogni uomo.

Il riconoscimento come martirio cristiano della morte di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia, costituisce un forte esempio a un ministero di prete che lega il vangelo al territorio.

I preti di Bagheria hanno aderito all’unanimità alla marcia e hanno deciso quest’anno una via crucis che attraverserà i luoghi dove in quegli anni furono uccisi mafiosi e innocenti.

 


 

 

Il braccio con l’indice alzato verso il cielo, questo l’emozionante simbolo della protesta allegra e “ballante” di migliaia di donne in tutto il mondo.

In migliaia sono infatti ad avere ricordato così le molte, troppe, insopportabili violenze fatte alle donne, dagli uomini e non solo.

Perché oltre agli uomini che si credono innamorati, e sono solo imbecilli (è vero: nessun uomo innamorato può picchiare una donna ! … Littizzetto dixit), vi sono mamme e nonne che credono di preservare qualcosa con la mutilazione, o politici che credono di essere “fighi” trattando una donna senza rispetto, o intere religioni che, con il burca o non, considerano la distinzione di genere una distinzione “vera”, al proprio interno.

Eppure nessuno può non avere un ricordo tenero della propria madre, delle donne che ha conosciuto o che ha avuto voglia di conoscere. Nessuno può non aver provato tenerezza nel vedere un bimbo abbracciato alla propria madre, e la madre abbracciata -quasi abbarbicata- al proprio bimbo .

Delle donne è l’alito di vita del creatore, ed al cielo, in questo giorno di festa e di ballo in tutte le piazze del mondo, le donne hanno rivolto il dito, il proprio corpo, il proprio sorriso, la propria danza.

Non un indice indagatore, come pure era legittimo attendersi, ma un indice al cielo, felice, di speranza, di quell’ottimismo di cui solo le donne possono essere custodi. L’ottimismo della vita che nasce, e che si tiene stretta, tra le braccia.

L’ottimismo di una condizione difficile, che è cresciuta e della cui consapevolezza nessuno di noi può e deve fare a meno.

Nessuno deve abbassare la guardia, non con riserve indiane o “quote rosa” ma con la sincera consapevolezza che ciascuno è portatore di un bene, e non importa il genere o i gusti, ciascuno è portatore di una vita degna di essere vissuta in libertà, fosse anche in mezzo a sbagli o limiti, ma in libertà.

Non so ballare (e sarebbe assai buffo che lo facessi!) ma ho ballato e cantato con tutte loro, godendo con gli occhi e con lo spirito della loro vita della loro esistenza e del loro orgoglio.

Tutti con dito al cielo, dunque, e sarà certamente un giorno migliore!

Giuseppe Castronovo
 

E' giunta all'apice la paradossale vicenda sul decreto regionale siciliano n° 9 del 8.2.13 che autorizzava la pesca speciale al bianchetto/rossetto per l'anno 2013. 

Apprendiamo dal sito di Bagherianews.com, che il decreto in questione, vessato dall'universo intero, viene ritirato. 

Che il governatore Crocetta e l'assessore al ramo Cartabellotta, però, ne rivendicano la legittimità e assumeranno degli impegni con i pescatori interessati.

Nel ringraziare e per l'ennesima volta questo Governo regionale, per il coraggio dimostrato nel mettere in essere il provvedimento vilipeso dai "garanti della legalità", che però, a noi sembra, abbiano "una maschera subacquea a dir poco appannata".

Ricordiamo che la flotta autorizzata a tale tipologia di pesca, quella che risponde ai canoni dei dettati UE, Ministeriali e Regionali; quindi i veri e soli pescatori con le relative unità da pesca preposte al prelievo di bianchetto, quindi Legali.

Continuano a vedere in giro (mercati compresi) la tanto vituperata "nunnata".

Ed è in nome e per conto di questo segmento di pesca siciliano, che Vi chiediamo, a Voi Signori e Tutori della Legalità, presunta Offesa, di vigilare, anche in nostro nome e interesse, affinchè lo stock di sarda e Acciuga adulta, non subisca prelievo dagli abusivi e illegali pescatori che continuano a pescarla - tanto, lo ribadiamo, loro se ne infischiano del decreto autorizzativo.-

Quindi, Cari Tutori della Legalità ( Organi di Controllo vari, Associazioni pseudo Ambientaliste, Ass.ni di tutela del Consumatore finale, Movimenti Politici o presunti tali, Movimenti di Opinione e di Affari), vi preghiamo di verificare se le Volanti a strascico, autorizzate alla pesca ai piccoli pelagici, sarde e acciughe, non stanno depauperando la risorsa ittica; se Manfredonia, ma sarebbe meglio dire - la repubblica Libera di Manfredonia, quella graziosa cittadina della Puglia del mio amico Nicola Vendola- stà pescando legalmente una risorsa autorizzata dal Ministero per scopo scientifico e commercializzata, in barba allo scopo "scientifico".

Se arriva nei nostri mercati e se, magari, noi ce la ritroviamo nei nostri piatti. Convinti di mangiare del rossetto, che durante il trasporto si è un pò "sbiancato".

Da parte nostra, esprimiamo soddisfazione perchè, finalmente la Regione Siciliana, ha dato realmente inizio a quel processo sulla regionalizzazione della pesca, che, ne siamo sicuri, con questo Governatore, si riapproprierà, questa volta sì, di una autonomia che le attribuisce competenze specifiche ed esclusive in materia di pesca.

Usurpate dall'Europa prima, e dal governo nazionale dopo. Buona vigilanza a tutti.

Poi magari ci si risente a fine estate primi mesi autunnali, quando una intera flotta di pescatori illegali, camuffati da pescasportivi, pescano le ricciolette sottomisura e in quantità industriali , proprio davanti le coste dell'Amico Enzo Bontempo - che saluto- resp.le di Legambiente Nebrodi, e dopo si dedicano alla pesca ai tonnetti (che i tutori della legalità) continuano a dire che sono in estinzione, mentre studi recentissimi della stessa ICCAT - vedi Prof. Di Natale- dimostrano che godono di ottima saluta, tant'è che l'UE ha avuto un cospicuo aumento di TAC/Quota, che in Italia si riassume in tonnellate 162 in più, rispetto all'anno scorso.

Ovviamente, di tutto questo abbiamo i dati, ma basterebbe solo andare sul sito del RAC Med (ai cui lavori e tavoli tecnici siamo presenti da circa 3 anni), per verificare il tutto. Ricordo, inoltre, che la pesca sportiva/ricreativa o occasionale, per legge potrebbe solo pescare Kg 5 di prodotto da destinare al consumo umano. Ma come privare del gusto della cattura i pescasportivi ecc..

Basta solo guardare le loro foto esibite sui vari siti e/o su FB, per capire che non si può negare un eloquente sorriso, ad uno che ha catturato un tonno - che ai pescatori professionisti viene negato- di Kg. 150 (vedi disposto dell'ex ministro Galan) e che consumeranno, fatti due calcoli, in partite di 5Kg al giorno per un mese.

Non si può! Proprio non si può! Buona lettura a tutti.

Francesco Zizzo, direttore tecnico di ANAPI pesca
 

"La verità è che i pesci debbono vivere mentre noi dobbiamo morire": in questa battuta c'è tutta l'amarezza e la rabbia di una categoria che negli ultimi anni sta pagando più duramente il prezzo della crisi.

Tra l'inclemenza del tempo, le normative comunitarie, il caro gasolio, le sanzioni delle vedette della Capitaneria, i danni arrecati dai TIR caduti in mare ormai gli operatori della piccola pesca costiera sono alla disperazione.

Ed è un problema che se non si ha il coraggio di affrontare sfocerà in seri problemi di ordine pubblico.

Il governo Crocetta la sua risposta l'ha data: una deroga per quaranta giorni alla limitazione per la pesca del "novellame" per le barche che avevano già l'autorizzazione per questo mestiere di pesca, usando esclusivamente gli attrezzi della sciabica e/o circuizione.

Si è scatenato il finimondo: hanno cominciato le associazioni ambientaliste dicendo che si sta depauperando il mare delle risorse ittiche; ha continuato l'opposizione al governo Crocetta che accusa il presidente della Regione di aver preso un provvedimento clientelare in vista del voto; ed ancora il Ministero per le risorse agricole che ha diffidato il governo regionale dal procedere alla attuazione di un provvedimento che viola le direttive comunitarie, sino alla Capitaneria che, malgrado il decreto regionale di deroga, lascia intendere che perseguirà chi pesca la famosa 'nnunnata'.

Ribattono i pescatori e le loro associazioni: non è vero che impoveriamo il mare di risorse: noi peschiamo entro le sei miglia, il novellame è destinato al nutrimento delle specie pelagiche, è una legge di natura; e poi in Liguria e Puglia la pesca del novellame, con il pretesto dei motivi scientifici è autorizzata, e noi siamo costretti a consumare il "bianchetto" che viene da Manfredonia.

Insomma un bel rebus, perchè non c'è dubbio che l'Europa sanzionerà pesantemente l'Italia per infrazione ai regolamenti, ed il rischio è che per far guadagnare qualche migliaio di euro ai pescatori che sono con le spalle al muro, rischieremo di pagare una grossa multa.

Sarebbe sicuramente meno costoso pensare ad un indennizzo per i pescatori. Comunque la polemica non si placa. Oggi comunque la Regione prenderà una decisione definitiva

Riportiamo il testo di un comunicato inviatoci da Francesco Zizzo, direttore tecnico dell'ANAPI pesca.

Singolare quello che sta accadendo in sicilia in merito alla, oramai, notissima vicenda sul decreto assessoriale n° 9/13 che autorizza la pesca speciale al bianchetto/rossetto per l'anno 2013.

Da un lato il Governo regionale, che rispondendo al grido di sofferenza della piccola pesca artigianale che da due anni non pesca il bianchetto, perchè la deroga del regolamento mediterraneo è scaduta il 31/05/2010 e per responsabilità da non attribuire ai pescatori ma esclusivamente ad una classe politica che non ha saputo mettere in essere gli strumenti necessari propedeutici ad una ulteriore deroga (concessa alle regioni Liguria e Toscana) da parte dell'UE. Governo che mi sento di ringraziare per l'assunzione di responsabilità.

Dall'altro il ministero (Mipaaf) e il comando gen.le delle capitanerie di porto che dichiarano "illegittimo" il disposto regionale e intimano alle imprese di pesca autorizzate, "che saranno perseguite a norma di legge". Siamo in pieno conflitto di attribuzione. Spetta alla regione siciliana - che in materia di pesca ha competenze specifiche, come da statuto autonomo-. legiferare in merito.

Tant'è che a differenza del resto d'Italia, la Sicilia ha sempre normato con proprio decreto la pesca al novellame.

Mentre in tutto il resto, si applica un decreto ministeriale. Vero è che bisogna rispettare le direttive comunitarie. Altrettanto vero è però. Che non può essere leso un diritto insindacabile, come quello al Lavoro, rivendicato dalla categoria che è e rimane affamata dall'applicazione di direttive UE che nulla hanno a che fare con il disagio sociale di una categoria, oramai, allo stremo.

Nel mentre, si consente l'arrivo nei nostri mercati ittici di prodotto Pugliese (Manfredonia) che spacciato per rossetto, viene commercializzato in barba ad una autorizzazione che è solo per scopo scientifico e quindi, non consente la vendita.

Ma pare che di questo gli organi di controllo, non abbiano notizia. Affermiamo con forza, che il dettato del DA 9/13, tutela la categoria e ne rispetta le istanze sociali, tenedo conto anche di quelle ecosostenibili.

E' facile vietare, limitare o proibire.

Difficile è dare risposte occupazionali, in un mezzogiorno d'Italia in cui le multinazionali del crimine organizzato, sfruttano questi disagi. Se si vuole il rispetto delle regole, si garantisca, prima il diritto al lavoro ai pescatori. Nel mentre la pesca illegale, non autorizzata e regolamentata continua a imperversare - tanto quella non va soggetta a regole. F.to Ciccio Zizzo

Altri articoli...