Da alcuni giorni è disponibile nella librerie di Bagheria il libro "Pietro Belvedere. Il discordo del sindaco", (pagine 108 12 euro) un testo curato dal figlio Antonio con la postfazione di Giuseppe Tornatore.
Penso sia opportuno continuare ad interrogarsi sulla possibilità, all’interno del repentino cambiamento d’epoca che attraversiamo, che dal passato – anche recente – possano giungerci delle lezioni destinate a migliorare la vita e l’organizzazione delle nostre comunità.
Dopo la lettura de Il discorso del sindaco di Pietro Belvedere la risposta all’interrogativo pare, al di là di ogni ragionevole dubbio, positiva. Alla luce di ciò bisogna esprimere gratitudine all’architetto Antonio Belvedere per il lavoro di ricerca e di pubblicazione che ha riconsegnato alla comunità bagherese, e non solo a questa, l’insegnamento politico, culturale, sociale e umano proveniente dalla vicenda di suo padre Pietro che nel febbraio del 1965 fu per qualche ora sindaco di Bagheria. La durata effimera della sua amministrazione non coincide con l’inconsistenza o la naturale dimenticanza di quella vicenda poiché tanto le sue dichiarazioni programmatiche quanto le motivazioni politiche che lo condussero all’elezione meritano ricordo, riflessione e analisi critica volta a tirare fuori significati per l’oggi. Un seme, quello di Pietro Belvedere, che portò anche all’istituzione della Commissione consiliare d’inchiesta sui lavori pubblici tesa ad accertare le responsabilità sugli esiti nefasti del “sacco di Bagheria”.
Il timbro dell’opera politica di Belvedere sembra rifarsi al popolarismo sturziano che per la Democrazia Cristiana del dopoguerra rimaneva un punto di riferimento irrinunciabile. Cresciuto prima nell’Azione Cattolica e poi nel partito dello scudocrociato Belvedere era convinto, anzitutto, che fosse necessario affermare: «un impegno di vita, un costume pubblico e privato, una direttrice di azione, economica e civile collaboratrice che corregga le insufficienze della natura e ripari dalle ingiustizie del mondo» (p. 102). Simile visione integrante della politica era tesa a sostenere l’uomo a partire dai fatti prima che dalle ideologie. La formazione cattolica aveva condotto Belvedere a declinare l’ispirazione cristiana nell’impegno per la società e in politica. Il suo era una sorta di “realismo visionario” che in quel tempo ha caratterizzato diversi esponenti del mondo cattolico attivo in politica.
Nelle dichiarazioni programmatiche da sindaco emerge l’indissolubile legame, d’influenza sturziana, fra etica e politica. Infatti, secondo Belvedere, ogni attività amministrativa sprovvista di densità morale era destinata a sicuro fallimento. In questa visione la cultura veniva intesa come: «la leva motrice ed il mastice che unisce tutti i cittadini alla città» (p. 85). Così il compito prioritario dell’amministratore è congiunto alla prospettiva etica che nel caso di Belvedere, lungi dall’avanzare forme di integralismo e di discriminazione, era finalizzata alla promozione di una cittadinanza responsabile e all’incessante ricerca della giustizia sociale. Da simile prospettiva includente e tesa alla costruzione del bene comune, Belvedere guidò – all’indomani delle elezioni amministrative del novembre del 1964 – la costituzione di una giunta formata da tutti i partiti presenti in Consiglio comunale tranne che dalla Democrazia Cristiana dalla quale era precedentemente uscito. L’intento della coalizione composta da forze cattoliche, laiche e marxiste era quello di: «sbarrare il passo a tutto un andazzo di cose che ha sinora avvilito e mortificato il buon nome del nostro paese. Incontro che avviene pertanto non per affinità ideologiche, quanto piuttosto per necessità amministrative» (p. 53).
In un periodo storico di grandi trasformazioni già avviate o in fase di sviluppo – basti pensare al Concilio Vaticano II per la Chiesa cattolica, al movimento culturale connesso al 1968, alla nascita della rete pacifista mondiale – a Bagheria Belvedere veniva eletto a capo dell’amministrazione comunale da un’alleanza capace di superare gli schemi rigidi dei partitismi per convergere sulla realizzazione di un programma volto alla crescita della città. Di conseguenza più che una sorta di “milazzismo” su scala comunale, quello di Belvedere fu un audace tentativo di accomunare i diversi, e talvolta divergenti, approcci politici a sostegno di un programma costruito sul rispetto della dignità, e quindi dei diritti, del cittadino e sulla tutela ambientale. Quello che Belvedere proponeva nelle sue dichiarazioni programmatiche era una sorta di sviluppo integrale per Bagheria. Uno sviluppo fatto di attenzione all’edilizia popolare, al piano regolatore comunale, all’igiene pubblica, alla promozione del turismo, al miglioramento della viabilità, all’ampliamento del commercio, al sostegno alla cultura, al buon funzionamento della macchina amministrativa comunale.
La parabola della giunta Belvedere durò soltanto qualche ora poiché, a seguito delle dichiarazioni programmatiche del sindaco e dell’istituzione della Commissione consiliare sui lavori pubblici, venne meno la maggioranza in Consiglio comunale. Tuttavia la fine di quell’audace esperimento non ci autorizza a far coincidere la storia politica di Belvedere con quella di un perdente. Difatti se la parabola del “realismo visionario” ebbe vita breve in quella contingenza storica, il valore paradigmatico di quella vicenda può, invece, continuare a offrire senso e significato alla politica odierna. Ricordare, indagare, studiare criticamente il passato in quest’ora drammatica per la politica italiana è assai importante. Assistiamo tutti quanti all’emergere sempre più evidente di una instabilità e di una superficialità dei protagonisti della vita politica del nostro Paese che probabilmente non ha pari nella storia nazionale. E sarebbe inutile e tendenzioso affermare che se ci fossero uomini come Belvedere la situazione politica sarebbe migliore. A noi non spetta dire questo. A noi compete leggere fra le righe della storia per capire che non è sempre stato così e che un’alternativa è possibile.
Il testo curato da Antonio Belvedere permette di ripresentare il valore paradigmatico dell’esperienza politica del padre e, pertanto, risulta importante sia per quello che concerne la ricostruzione storica del recente passato sia per riflettere sul presente e sul futuro della politica siciliana e italiana.
Rocco Gumina