Il ventesimo anniversario della morte di L. Sciascia ('89) ha fornito l'occasione per la riapertura di un dibattito sull'eredità culturale, morale e politica del famoso intellettuale siciliano. In particolare due libri, quello di M. Collura e quello di E. Macaluso che ne riprende molte delle argomentazioni,
mi hanno fornito alcuni spunti di riflessione sulla polemica relativa ai "professionisti dell'antimafia".
Come si capirà dalle note successive ho trovato grande affinità tra quello che vado dicendo da una decina d'anni e le convinzioni di Sciascia ora riprese da Macaluso.
Il ragionamento parte dal '44, quando Li Causi sbarcato in Sicilia, rispetto alla questione mafiosa, afferma con nettezza "Né mafia né Mori", prendendo nettamente le distanze dai metodi del "prefetto di ferro" e da uno stato forte che emana leggi eccezionali e nega le garanzie.
L'approccio di Li Causi era anche quello di Sciascia, allora vicino al PCI, e di Macaluso, sarà poi quello di tanti giovani che hanno vissuto il '68 come la generazione precedente aveva vissuto la resistenza, come una lotta, in primo luogo, contro ogni autoritarismo ed ogni approccio che limita libertà, verità e garanzie democratiche.
Quel movimento confluì dentro il PCI, dove convivevano più anime: accanto a quella libertaria e democratica c'era, un'anima stalinista; già nel 53 Sciascia si troverà a polemizzare con i rappresentanti di quell'area culturale, come ci ricorda Macaluso " I veri stalinisti erano i carrieristi. ... lo stalinismo ... un tumore inavvertitamente cresciuto nel corpo sano del comunismo" e non bastava l'operazione chirurgica compiuta da Krusciov, " Se il tumore c'era, ... i tumori si riproducono".
Nel libro "Gli zii di Sicilia" (Einaudi '58) Sciascia è facile profeta del vizio del "sospetto" che permarrà nei comunisti e nei loro epigoni, della complementare tendenza a far carriera utilizzando, appunto, la cultura del sospetto.
L'approccio rigoroso di Sciascia sui temi delle libertà, della verità e della giustizia fa dire a Collura "lui è un comunista alla Gide, ha più del cristianesimo che del marxismo".
E' questo approccio, che a me sta molto a cuore, che farà dire a Sciascia nel 75, "Bisogna evitare assolutamente, nettamente, il gioco delle doppie verità. Le cose non sono buone quando le facciamo noi e cattive quando le fanno gli altri. Sono o sempre cattive o sempre buone. E se noi facciamo cose cattive per arrivare alle buone, non solo non arriveremo mai, ma ci abitueremo a fare cattive cose e così resteranno"
Nell'80, in un discorso alla Camera quale deputato radicale, a proposito di illecito arricchimento " il controllo ... deve estendersi anche a noi, che stiamo in questi banchi, a coloro che siedono sui banche del Senato, ... non trascurando nemmeno certi funzionari e certi ufficiali che hanno il compito di prevenire e reprimere appunto il fenomeno mafioso".
Insomma non ci sono personaggi "al di sopra di ogni sospetto", secondo Macaluso "L'eretico Sciascia, ... vede e combatte i nuovi inquisitori, presenti anche in regime democratico, anche tra chi ha avversato l'inquisizione fascista. Ne riconoisce qualcuno anche tra i comunisti"
Nell'87 Sciascia scrive su corriere il famoso articolo su "I professionisti dell'antimafia" in cui, ricorda, Macaluso "tacciò di carrierismo quegli uomini politici e quei magistrati che si sarebbero inventati il mestiere di far da spauracchi alla mafia soltanto per avanzare di gradi e di prestigio".
Macaluso a questo proposito ha idee chiare e a proposito di deligittimazione operata dai "professionisti" e individua chiare responsabilità : "l'aggressione da parte di Orlando e del suo entourage a Falcone, che aveva ben capito come stessero le cose in alcuni ambienti della sinistra antimafiosa" ; cita lo stesso Falcone :"il sedere di Falcone ha fatto comodo a tutti. Anche a quelli che volevano cavalcare l'antimafia ... l' antimafia è stata più parlata che agita. Per me invece meno si parla e meglio è ... Sciascia aveva perfettamente ragione".
Anche Macaluso prende le distenze dai "professionisti" e individua la strada corretta sempre nell'intuizione di Li Causi , citando sempre lo stesso articolo di Sciascia ribadice che "La democrazia ... Ha anzi tra lesue mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge è uguale per tutti, la bilancia della giustizia, Se al simbolo della bilancia si sostituisce quello delle manette ... saremmo perduti irrimediabilmente come nemmeno il fascismo c'era riuscito"
Poi torna a citarlo per denunciare quei pericoli che ci hanno portato in venti anni a dimezzare la fiducia nella magistratura da parte degli italiani (dall'80 al 40%) "l'amministrazione della giustizia assume un che di ieratico, di religioso, di imprescrutabile e con conseguenti punte di fanatismo", conclude "Un equilibrio tra i poteri non c'è mai stato, non solo per distorsioni manifestatesi nei comportamenti dei magistrati, ma perché la politica ha spesso teso a fare coincidere l'azione giudiziaria con gli obiettivi di chi governa".
L'autore arriva ai nostri giorni "Nell'elettorato di sinistra negli anni di tangentopoli, del processo Andreotti e dell'avvento di Berlusconi, con le sue avventure giudiziarie, è maturata una deriva giustizialista che si traduce nel convincimento che ciò cheappare impossibile conseguire con la politica sia possibile ottenerlo nelle aule giudiziarie" tutto ciò ha creato una subalternità culturale alle politiche di destra "leggi e comportamenti che hanno un carattere repressivo soprattutto nei confronti degli immigrati, dei tossicodipendenti, dei deboli che oggi affollano le carceri, mentre si varano provvedimenti che concedono condoni e scudi fiscali ai ceti agiati" .
Conclude citando ancora uno degli ultimi interventi di Sciascia alla Camera ('79) "Leggi speciali e poteri più ampi fanno demagogia e sono, oltre che inutili, ovviamente pericolosi per noi cittadini e per la polizia stessa. Sono soltanto degli sfoghi che i cattivi governi offrono alle polizie incapaci e che finiscono per essere esercitati più sui cittadini incolpevoli che sui colpevoli... Tutto è legato al tema della giustizia: in cui si involge quello della libertà, della dignità umana, del rispetto tra uomo ed uomo".
Io stò con l'eretico Sciascia, con Pasolini, con Macaluso, con Falcone, con Gaber, con De Andrè, con tutti gli eretici che hanno fatto della libertà e della verità la loro bandiera , che sanno che questa è incompatibile con ogni logica di potere.
Ho provato con un gruppo di amici a costruire un percorso amministrativo fondato sulla logica del servizio, abbiamo provato a ridimenzionare priveligi e parassitismi eriditati dal vecchio e dal nuovo sistema di potere, abbiamo subito un controffensiva feroce che ci ha portato alle dimissioni, ma abbiamo deciso di portare avanti l'impegno contro i prepotenti e i loro servi .
Se ci saranno le condizioni porteremo delle voci libere in Consiglio , a temerle dovrà essere principalmente il candidato che sosterremo, se sarà eletto, potrà contare sulla nostra collaborazione leale, ma anche sulla nostra denuncia forte , quando verrà meno agli impegni assunti coi cittadini.
Febbaio 2011 Pino Fricano