In settimana ho avuto il piacere, seguendo la trasmissione di Fabio Fazio davvero molto ben fatta, di ascoltare quella che ritengo una delle più belle canzoni che il grande De Andrè ci ha lasciato, canzone fatta rivivere da De Andrè figlio che grazie all'intonazione vocale e alle espressioni visive riesce a ricreare quell'atmosfera
che il padre generava negli animi di chi lo ascoltava.
De Andrè, per gli ammiratori fu semplicemente Faber, nome che Paolo Villaggio coniò in assonanza con quello dei pastelli che il cantautore tanto amava.
Spirito anarchico e solida formazione culturale, Fabrizio De André pubblicò nei suoi quarant'anni di attività musicale una ventina di album; un numero stranamente contenuto, ma che non sorprende chi gli ha sempre riconosciuto una maggiore attenzione alla qualità rispetto alla quantità.
Nelle sue opere ha cantato soprattutto le storie degli emarginati, dei ribelli e dei diseredati.
In numerosi dei suoi testi vi sono quelli che sono considerati dei veri e propri componimenti poetici e, come tali, dovrebbero essere inseriti nelle antologie scolastiche di letteratura per tributargli il giusto riconoscimento.
Don Raffaè, tratta dall'album Le nuvole del 1990, nasce dalla collaborazione di Fabrizio De André con Massimo Bubola per la stesura del testo e con Mauro Pagani per la scrittura della musica, il ritornello della canzone è una citazione del brano "O ccafè" di un altro grande della musica italiana: Domenico Modugno.
La critica graffiante all'attualità e alla sottomissione dello Stato al potere delle mafie attraverso un brigadiere di Polizia Penitenziaria del carcere di Poggioreale ormai lacchè piegato al boss in galera che lo stesso De Andrè identificò con Raffaele Cutolo è uno dei passi più forti e allo stesso tempo più intensi della canzone.
Il grido di tristezza del brigadiere che ha come unica speranza di miglioramento della propria condizione, quella di chiedere intercessione per riuscire a trovare lavoro o una casa, per ottenere giustizia, ma anche per un cappotto elegante da poter usare al matrimonio della figlia è quanto mai attuale.
La durezza dei versi è figlia di sentimenti di rabbia mista a tristezza che in tanti spesso proviamo quando ci raccontano d'inchieste e sentenze di corruzione e illegalità nel mondo della politica.
Il richiamo alla fatiscenza delle carceri (chiste so' fatiscienti pe' chisto......i fetienti......se tengono l'immunità) come ragione dell'immunità fa sorridere e riflettere sui fatti politici di oggi e sulle infinite discussioni e contrapposizioni attuali tra magistratura vs politica.
L'immagine di Don Raffaè che politicamente
"sarebbe 'no santo
ma 'ca dinto voi
state a pagà
e fora chiss'atre se stanno
a spassà",
ci induce un istintivo movimento della testa quasi ad annuire consapevoli che, al di là del santo, la colpevolezza non è mai pienamente condivisa fra i vari attori.
L'amarezza che si riesce a percepire anche oggi a distanza di venti anni è forte e i versi che richiamano alla debolezza dello Stato di fronte alle ingiustizie riportate quotidianamente sui giornali sono oggi, in questo momento di crisi economica e politica e dei valori morali e civili, un grido di dolore che tutti noi abbiamo dentro ma che non riusciamo a unificare e a rendere forte abbastanza:
"Prima pagina
venti notizie
ventuno ingiustizie e
lo Stato che fa
si costerna, s'indigna,
s'impegna
poi getta la spugna con gran
dignità"
Molti leggono tra le righe di questi versi le parole che Spadolini pronunciò in seguito ai fatti di cronaca delle stragi di mafia, ma in realtà sono la cronaca di una storia infinita che vede tra i suoi interpreti non solo i governi nazionali ma tutti i vari livelli amministrativi, da quelli regionali passando per le provincie fino alle amministrazioni comunali.
Un cammino che sembra quasi obbligato e che proprio a livello locale è fortemente sentito in questi giorni.
La nostra città si avvia verso una stagione elettorale per la formazione della prossima amministrazione alla quale sarà chiesto di risolvere i numerosi problemi che hanno portato la nostra città in questo triste stato in cui versa oggi.
Da ora fino alle elezioni leggeremo di comunicati pieni di costernazione e indignazione popolare verso i fattacci che giornalmente andremo a vivere e con i quali ci confronteremo.
A questi state sicuri seguiranno promesse d'impegno alle quali, con mio profondo ottimismo, confido seguano reali impegni in prima persona di coloro che saranno chiamati dal freddo conteggio dei voti a dar prova della loro oggi calda passione politica.
La speranza di tutti noi è che non si ripeta il copione che vede oggi un tentativo di uscire dignitosamente dalla bagarre delle tante ingiustizie venute fuori gettando una spugna intrisa dei problemi a cui non si è riusciti a trovare soluzione.
La speranza è che per una volta vi saranno persone che con la giusta professionalità e competenza affrontino gli impegni dell'amministrazione con una visione orientata al raggiungimento di obiettivi concreti in tempi certi.
Anche noi cittadini avremo il dovere di non seguire lo stesso copione fatto di indignazione e impegno a partecipare al processo di cambiamento attraverso l'espressione di un voto razionale e onesto, salvo poi gettare la spugna in cabina elettorale e accordare la nostra preferenza all'amico che ci ha promesso l'aiutino.