Baarìa è solo un film: che non sia pretesto di scontri politici

Baarìa è solo un film: che non sia pretesto di scontri politici

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Saranno frastornati quanti, baarioti e non, non avendo ancora visto il film di Peppuccio Tornatore, leggono e vedono i dilaganti resoconti di giornali e televisioni, o interrogano quelli che hanno avuto l’opportunità di vedere la proiezione a Venezia Purtroppo però, nei giudizi sul film, talora contrapposti, si sta manifestando una interferenza di giudizi o meglio pre-giudizi che esulano dal terreno strettamente cinematografico.
Ci riferiamo in particolare alla polemica strumentale e fuori luogo innescata dal governatore del Veneto Galan, cui è seguita la replica di Lombardo, ed ai giudizi particolarmente lusinghieri del premier Berlusconi e dei suoi giornali, che danno una lettura di comodo del film.
Pensiamo anche alla polemica tutta nostrana della Regione Sicilia che investe e produce film e fiction.



Berlusconi è da tempo che parla di Baarìa come di un grande film che ha tutti i titoli per potere aspirare all’Oscar: non crediamo, ad esser sinceri, che lo faccia per un interesse personale.
Lo fa perché ci crede, perché è un ottimista inguaribile, e perché promuove un prodotto nazionale all’estero.
Lo fa anche perché dà una lettura fortemente riduttiva e, se ci è consentito di dirlo, molto superficiale e di comodo, della posizioni politiche del protagonista del film.

E cioè quelle di una sorta di comunista pentito. Non è affatto così.Anzi.

Il protagonista invece, comunista riformista, denuncia sì i drammi del paese in cui il comunismo si sarebbe “inverato”, l’Urss, ma si sforza di trovare nel proprio paese una via originale, nazionale per costruire una società di maggiore giustizia sociale ed eguaglianza di diritti.
Altri ancora mettono in risalto la “liberalità” di Berlusconi che ha generosamente finanziato la produzione di un film, in cui si tessono in buona sostanza le lodi di un impegno politico di sinistra sincero, leale, coerente.

Noi una prima valutazione a caldo del film l’abbiamo fatta: è vero che la “prescia” non è mai però buona consigliera, però richiamando con calma alla memoria quello che abbiamo visto, non possiamo che confermare quel primo giudizio: fermo restando che torneremo a guardare il film, con maggiore serenità e meno presi dalla inevitabile emozione per la prima.

Qualche inopportuna anticipazione, la dimensione dell’investimento, la scenografia, il cast, il mistero che sino ad un certo momento ha circondato la realizzazione del film sono stati tutti elementi che hanno fatto crescere una aspettativa forse eccessiva.

Ma non è soltanto questo il problema.

L’errore che tendiamo a fare noi “baarioti” può essere quello di guardarlo con un’ottica paesana e localistica: di cercare di ritrovare cioè, a seconda della nostra età e della nostra esperienza, una sorta di corrispondenza con le nostre memorie.

E questo è sommamente sbagliato: in primo luogo perché il regista incrocia, scompone e ricompone eventi, episodi, situazioni e circostanze della sua memoria; e poi perché, come ha giustamente detto Tornatore, non va trascurata una componente tutta personale, onirica o fantastica, del regista che quelle vicende rielabora e trasferisce in immagini ed emozioni.

Ed è proprio questa la chiave di lettura più giusta: non guardare a Baarìa come ad un film fatto per noi, per farci rivedere e ritrovare nella memoria emozioni e sensazioni di un mondo che non è più: ma Baarìa, pretesto e metafora di storie e vicende umane, che possano essere comprese ed in cui si possano ritrovare, mutatis mutandis, anche gli spettatori di altri paesi.
Molte cose del film sono belle e convincenti, qualcuna meno.
Per esempio non ci ha convinto invece la iterazione–tormentone di Fiorello: ”Vi scanciu i dollari”.
Questa espressione buttatà là, e che ritorna, non ha trovato nel film sufficiente motivazioni.
Erano tempi in cui anche le piccole rimesse in dollari degli emigrati negli U.S.A. e i pacchi di abiti dismessi, aiutavano nel dopoguerra ad andare avanti.

Efficacissimo invece per disegnare i caratteri quasi antropologici di una grande categoria quale quella dei braccianti, non immune naturalmente da difetti, l’episodio reiterato del bracciante, splendidamente interpretato interpretato dal nostro Orio Scaduto, il cui papà, Tanino, e qua vogliamo ricordarlo per quanti non lo sapessero, fu tra i fondatori della Camera del Lavoro di Bagheria, e tra i primi segretari della sezione comunista.
Present, ma non sufficiente mnete approfonditi, i temi del rapporto dei siciliani con la religiosità e la morte, tema su cui Tornatore avrebbe potuto pescare a piene mani nella letteratura di Tomasi di lampedusa, Sciascia, Pirandello e Verga.

Pagine di grande cinema, quando viene rievocato lo sciopero di protesta con il bottone nero in segno di lutto, dopo la strage di Portella: il corteo nel corso Umberto sembra una rielaborazione dinamica del famoso “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, o le scene di massa dell’occupazione delle terre, con gli “omaggi” dichiarati a Francesco Rosi, a Lattuada con la riproposizione della scena de “Il mafioso” con Alberto Sordi, girato allora a Villa Palagonìa, e a Fellini, con il nostro scirocco al posto del vento primaverile di Romagna, o con i personaggi mostruosi o grotteschi.
O ancora la scena dell’assalto al Comune, fatto vero accaduto nel marzo del 1971 durante uno sciopero generale, in cui emerge sempre il vecchio vizio del potere di impaniare e coinvolgere, per far perdere di credibilità le classi dirigenti popolari.
E poi la parte più tenera e sentimentale del film: la storia d’amore di Peppino e Mannina che è, a nostro avviso, una delle cose più belle e delicate del film.
Bravissimi Ficarra, Sastri, Scaduto, Frassica e Picone, tra quelli che per primi ci vengono in mente.
Sacrificati Fiorello e Monica Bellucci.

Semplicemente straordinari fotografia e scenografia.
Insomma un film che si beve d’un fiato, senza un attimo di pausa o di stanchezza.
Un film, che, come era ampiamente prevedibile, piacerà al pubblico francese e americano, meno, almeno così pare, ai tedeschi, e che è già stato venduto ad una ventina di paesi.
Insomma Berlusconi, Medusa e Tarak Ben Ammar possono stare tranquilli: i loro soldi con Baarìa li riprendono con gli interessi.