“Se gli assediati di Leningrado riuscirono a tenersi in vita per quasi 900 giorni, con viveri razionati e insufficienti, il merito fu certamente della cultura. Non è vero che in momenti di crisi la gente tagli nel bisogno di cultura, anzi, è vero l’esatto contrario: c’è più bisogno di cultura in momenti di difficoltà.
E’ il passo più applaudito dell’intervento di Peppuccio Tornatore ieri pomeriggio a villa Cattolica in occasione della riapertura della civica galleria Guttuso.
Il premio Oscar, affezionatissimo alla sua Baaria, ha fatto riferimento ai suoi ultimi studi in merito proprio all’eroicità dimostrata dagli abitanti di Leningrado durante la seconda guerra mondiale, che resistettero alle forze di Hitler dal 8 settembre 1941 al 27 gennaio del 1944, facendo teatro, scrivendo, organizzando mostre, elevando il pensiero.
Ad ascoltarlo con vivo interesse, un folto e attento pubblico, rimasto però per lo più in piedi o al di fuori delle due salette allestite, per l’occasione, in uno dei corpi laterali del complesso monumentale, per la verità assai insufficienti per capienza e infelici nella funzione loro assegnata.
Tornatore, ospite d’onore, con la semplicità e la modestia che da sempre lo contraddistinguono, ha parlato per ultimo, dopo un nutrito drappello di politici e addetti ai lavori: dal sindaco Biagio Sciortino alla Direttrice Dora Favatella Lo Cascio dalla soprintendente Adele Mormino al presidente della provincia Giovanni Avanti.
Il regista bagherese ha parlato, poi, anche della sua esperienza presso il circolo culturale bagherese di cui tratta il libro presentato, in concomitanza della riapertura del museo (con penalizzazione conseguente per il poco tempo che vi si è potuto dedicare): "I ragazzi di via S. Angelo n.15" a firma di Mimmo Aiello e Biagio Napoli:
“Avevamo pochi mezzi ma tanta voglia di fare cultura- ha ricordato in merito Tornatore- si organizzavano convegni e proiezioni con un impegno che rasentava l’eroicità.
Era un circolo culturale che consentiva l’ingresso agli associati- bastavano cinquecento lire per abbonarsi- ma ogni tanto aprivamo le porte anche al pubblico.
Certo il locale non era in regola per farlo ma le forze dell’ordine chiudevano un occhio e facevano bene. ”
Tra folate di vento e pioggia, subito dopo la duplice presentazione, è stato poi possibile visitare i locali museali che erano stati chiusi per dieci mesi.
Peccato che l’afflusso davvero notevole di persone e la mancanza di un percorso tracciato e facilmente individuabile all’interno e/o di un depliant illustrativo, non abbia consentito una fruizione ordinata delle opere presenti mentre le didascalie a corredo delle opere, troppo piccole e a caratteri lillipuziani (ma sarà un vezzo cittadino viste le nuove tabelle indicatorie dei monumenti a sfida di lince), hanno costretto gli audaci ad una continua e faticosa flessione della colonna vertebrale.
Peccato, poiché molto interessante e coraggioso è sembrato il nuovo assetto al cui interno opere di nuovi autori, tra cui, ad esempio, la nostra brava Filly Cusenza, sono esposte al fianco dello stesso impareggiabile maestro.
Per non parlare della poesia dei bambini di Pina Calì accanto alle sculture del marito Silvestre Cuffaro.
Ma a caval donato non si guarda in bocca, e nella cittadina delle case popolari a sette metri dalla Certosa, e della cementeria arrugginita -che non si capisce bene perché continui a restare dov’è: archeologia industriale o memento mori?- la riapertura di una struttura come quella di villa Cattolica, forse davvero il più grande polo culturale del meridione, non può che far ben sperare.
Specialmente di questi tempi.
D’altronde, l’assedio è solo all’inizio e anche Primo Levi, nella notte oscura di un lager, citava Dante.
Maria Luisa Florio