Vi proponiamo qui di seguito, la conversazione avuta con l'architetto Rosario Scaduto, autore del volume "Villa Palagonia, Storia e Restauro", edito da Eugenio Maria Falcone.
Una domanda un po’ scherzosa e provocatoria per cominciare: nella sua introduzione afferma che alla voce Villa Palagonia, inserita in uno dei più noti motori di ricerca vengono fuori, in un quarto di secondo, oltre 62.000 riferimenti.
C’era proprio bisogno di un altro libro su Villa Palagonia?
Quanto più conosciamo un monumento-documento delle civiltà trascorse tanto più abbiamo la possibilità di conservarlo e nella complessità e autenticità trasmetterlo alle generazioni che ci seguiranno.
Ma nello stesso tempo tanto più la nostra società ha conservato tanto più le generazioni future avranno la possibilità di conoscere.
Villa Palagonia rappresenta certamente una testimonianza delle civiltà passate che necessita di essere conservata, in quanto costituisce una parte fondamentale della nostra memoria singola e collettiva e fonte d’identità non solo bagherese.
Il tema del rapporto di Villa Palagonia con il territorio di Bagheria, o più correttamente con il territorio del’ex Baronìa di Solanto, quello con la famiglia committente, i Gravina di Sicilia, principi di Palagonìa, e con l’ipotizzato autore del progetto, il frate domenicano Tommaso Maria Napoli (ipotesi che in questo suo lavoro trova conferma): quali sono i terreni su cui si articola questo rapporto?
Nell’ex baronia di Soltanto, della quale l’odierno territorio del Comune di Bagheria faceva un tempo parte, il complesso di Villa Palagonia è certamente uno fra i più noti e rappresentativi dell’Italia Meridionale.
Infatti studiosi internazionali e nazionali come, solo per indicarne alcuni, Wittkover (1958), Norberg-Schultz (1989) e Boscarino (1981) hanno riconosciuto alle ville suburbane di Bagheria, e principalmente a Villa Palagonia e Valguarnera, uno straordinario e inusuale disegno architettonico, paragonabile alle contemporanee esperienze maturate nel Centro dell’Europa.
La famiglia dei Gravina, principi di Palagonia, furono gli esigentissimi committenti della villa.
Essi possedevano migliaia di ettari di terreni, soprattutto nella Sicilia Orientale, castelli (Palagonia e Francofonte) palazzi e ville, ma proprio a Bagheria fecero realizzare la loro residenza più festosa e rappresentativa dell’intera famiglia.
L’architetto ipotizzato è il frate Tommaso Maria Napoli (1659-1725) dei padri domenicani di Palermo. A Bagheria il frate architetto (conosciuto in tutta Europa: Roma, Dubrovnik, Vienna) progettò (1712) e diresse i lavori per la costruzione di Villa Valguarnera per Anna Maria Gravina e Gravina, vedova del conte di Assoro Giuseppe Valguarnera e sposa, nel 1706, di Giuseppe del Bosco e Sandoval, principe di Cattolica. Come si può notare forti furono i legami fra le famiglie committenti e i progettisti nel territorio bagherese.
In una parte del volume , lei sviluppa l’analisi e lo studio del “progetto”, vale a dire della composizione architettonica del complesso monumentale, definendolo “frutto della cultura barocca ed esaltazione della geometria”. Perché e in che senso?
A Villa Palagonia assistiamo al trionfo dell’arte barocca e tardo barocca e della geometria, cioè dell’insieme dell’architettura con la scultura e pittura.
La villa è il frutto del gioco geometrico e sapiente dei volumi. La forma del complesso scaturisce dal rapporto e compenetrazione di circonferenze (che formano ellisse) e triangoli equilateri ed isoscele per determinare spazi e volumi proporzionati secondo una precisa metrologia e proporzione, data dall’unità di misura utilizzata: la canna siciliana. Essa corrisponde a mt 2,064, ed era divisibile in otto palmi corrispondenti a mt 0,258. Anche il palmo era divisibile in otto parti corrispondenti a mt 0,032. Tutto nella villa dei principi di Palagonia doveva soggiacere alla proporzione e dunque alla matematica, solo in tal modo si poteva aggiungere bellezza alla bellezza dell’insieme.
Lei affronta anche il tema della “notorietà della villa dei mostri”, che definisce uno dei monumenti più noti della Sicilia. Come nasce e si sviluppa questa fama di Villa Palagonìa?E’ anche uno dei monumenti più visitati, che lei sappia?
La fama di Villa Palagonia è contemporanea alla sua stessa realizzazione. Non vi era visitatore che giungeva in Sicilia che non desiderava visitare la residenza, che già nella seconda metà del Settecento, veniva definita: “ la villa dei mostri”.
In pieno Illuminismo, in tempi nei quali la “Ragione” rischiarava le tenebre della superstizione e dei saperi tradizionali, tutti gli intellettuali d’Europa non potevano fare a meno, appena giunti a Palermo, di visitare la villa del principe Ferdinando Francesco Gravina e Alliata (1722-1788).
Come dimostrano gli scritti di Brydone (1770), Hoüel (1776), De Borch (1782), Swinburne (1783), Münter (1785), Goethe (1787), Colt Hoare (1790), Bartels (1791), Seume (1812), Rezzonico della Torre (1828), Hittorf, Zanth (1835), fino a giungere a Berenson e Maraini (1953), Borges (seconda metà del XX sec.), Cartier-Bresson (seconda metà del XX sec.), e Guttuso della seconda metà del novecento.
Proprio Renato Guttuso ebbe con la "Villa dei mostri” un rapporto speciale ed essa fu fonte inesauribile di ispirazione.
Moltissimi viaggiatori e studiosi non mancarono di evidenziare che Villa Palagonia non possedeva solamente una bizzarra decorazione di “mostri” (a volte era la stessa biocalcarenite o “pietra d’Aspra” deteriorata che faceva apparire mostruose normali rappresentazioni di personaggi e animali), ma anche uno straordinario disegno compositivo.
Certamente ancora oggi Villa Palagonia è uno dei siti più visitati di Sicilia.
I suoi visitatori rappresentano un significativo segmento del più vasto flusso turistico isolano. In generale, si osserva che il numero dei turisti in visita della “Città delle Ville” è in aumento, anche per lo straordinario impulso costituito dal Museo Guttuso di Villa Cattolica.
Infine, la conservazione e il restauro per rendere fruibile nel tempo questo manufatto che il tempo, oltre che gli agenti atmosferici e l’uomo, corrodono e degradano.
Cosa bisognerebbe (e cosa si potrebbe) fare, secondo lei, nel breve e nel medio periodo?
Il naturale scorrere del tempo, gli agenti atmosferici, l’uso aumentano i degradi cui sono soggetti i nostri monumenti. Considerato che la conservazione del nostro patrimonio deve rappresentare un preciso impegno di questa generazione di uomini e di donne, occorre curare Villa Palagonia come si cura una persona cara quasi trecentenaria, affinché possa essere trasmessa alle generazioni che verranno, quale eredità collettiva della nostra civiltà e delle civiltà trascorse.
Parlavo di prendersi cura, quindi di effettuare una periodica e coordinata manutenzione, per esempio del sistema delle coperture, delle superfici murarie, dei pavimenti e degli infissi, al fine di bloccare o rallentare sensibilmente i degradi dei materiali e i dissesti delle strutture.
Villa Palagonia è un monumento che oltre ad essere ancora visitabile è anche destinata ad abitazione di alcune famiglie. Per favorire la fruizione di quante più persone possibili, cioè per una “utenza allargata” (anziani, diversamente abili, ecc...) occorrerebbe, per esempio, nel corpo di fabbrica principale inserire un elevatore, occorrerebbe creare dei servizi igienici e prevedere altri spazi per una migliore accoglienza.
Inoltre penso che sia per tutto il complesso che per gli ambienti interni visitabili del corpo centrale di fabbrica, occorrerebbe installare una adeguata cartellonistica che aiuti il visitatore nella sua individuale scoperta del fantastico mondo di Villa Palagonia.
Penso che proprio questo ultimo tema potrebbe rappresentare uno strumento utile alla conoscenza e quindi un maggior stimolo alla prevenzione e cura del complesso monumentale.
Un’ultima domanda: cosa l'ha mosso a realizzare questa ricerca?
Il volume, “Villa Palagonia: storia e restauro”, tende a fare memoria di uno dei monumenti-documenti della civiltà barocca e tardo barocca europea con l’obiettivo di individuare un idoneo percorso progettuale per la sua conservazione.
La mia ricerca nasce dal desiderio di "maggiormente conoscere per maggiormente conservare", nella complessità e nella autenticità, questa testimonianza, affinché né l’incuria, né l’oblio, né insani interventi di restauro possano accelerare i naturali processi di invecchiamento o portare lo stesso edificio alla sua lenta distruzione.
Il mio vuole essere un contributo alla, mai concludibile, ricerca, un ulteriore punto di partenza per ulteriori e auspicabili analisi, sempre finalizzate alla conservazione di questo straordinario patrimonio culturale siciliano d’Europa.
Rosario Scaduto (1959) è architetto e ricercatore di restauro nella Facoltà di Architettura di Palermo. E' autore di vari contributi nell'ambito delle teorie e della storia del Restauro dei Monumenti.
Ha progettato e diretto interventi di restauro e allistemento musueale.
Ricordiamo, fra le altre, la pubblicazione "La pietra d'Aspra: storia e utilizzo", edito da Flaccovio.