“Chi non vide tanti devoti avviarsi per quella collina non vide mai cosa più commovente”.
La festa della Madonna della Mìlicia, che si svolge dal 6 all’8 settembre di ogni anno, è legata ad un’antica tradizione che affonda le radici nel Seicento.
Il documento più antico che abbiamo a disposizione è un rendiconto dell’anno 1674 da cui è possibile rilevare le spese sostenute dall’amministrazione baronale per la festa. Il programma prevedeva, oltre alla processione della Madonna, i giri di tamburo per le vie del paese, la musica bandistica, i fuochi pirotecnici ed il palio. Ecco nel dettaglio le spese sostenute: “tarì 2.5 per suonare il tamburo ad Altavilla; tarì 10 per due tamburinari e 6 picciotti per far conducere li palii; tarì 26 per nolo della barca che portò li paramenti, travi e tavole del gioco di foco in Altavilla; tarì 18 per una barca per portare ad Altavilla li sonatori e preti; tarì 24 per la seconda barca che portò i musici; tarì 4 al mastro de lo gioco di foco; onze 18 per pagare musici, sonatori, paramenti ed altri come per lista; onze 3.6 per una canna di tela d’oro per il palio bono d’Altavilla; tarì 4 per caparra ninfe; tarì 10 per il (?) laccio delle ninfe” . L’arrivo di sonatori e preti, l’illuminazione con le ninfe, la preziosità del palio da consegnare come premio al vincitore della gara equestre, sono dati che confermano, già nel Seicento, la solennità dei festeggiamenti e la diffusione del culto per la Madonna della Mìlicia.
La festa diventò però importante un secolo dopo, e più precisamente, a fine Settecento, quando il concorso dei pellegrini che saliva il colle di Altavilla per chiedere grazie e sciogliere i voti diventò numeroso. Le manifestazioni religiose in omaggio alla Madonna, si basavano sulla condotta dei doni e sulla solenne processione della sacra icona. Il carro trionfale, allestito a periodi irregolari e addobbato con apparati effimeri, veniva innalzato nella Piazza Aiace e da lì partiva, trasportato da pariglie di buoi, per il centro storico, “acchianata ru carru” nella prima giornata e “a scinnuta ru carru” a conclusione della festa. Oggi viene effettuata un’ulteriore “acchianata ru carru” per percorrere la via Loreto in direzione sud e raggiungere altre zone del paese.
Elemento quasi sempre presente fino agli anni ottanta del secolo scorso era “a cursa ri barbari”: le gare dei cavalli si svolgevano nel pomeriggio lungo la via Loreto che fin dai primi anni dell’ottocento si chiamò “Via della corsa”, proprio per i cavalli che vi correvano. Le corse venivano “bannizzate” dalla “Deputazione” della Madonna dell’Oreto nei paesi limitrofi a partire dal 26 agosto, allo scopo di potere selezionare per i giorni otto e nove settembre i cavalli per le gare.
Per attirare i pellegrini nei giorni della festa veniva organizzata anche una fiera mercato, con vendita di animali e di attrezzi per lavorare la terra a prezzi convenienti e ciò aumentava l'afflusso anche di compratori invogliati a venire alla Mìlicia dalla possibilità di risparmiare.
Attorno al 1850 si consolidarono i riti che precedono la festa, ossia l’Ottavario e la Novena della Madonna della Mìlicia. Dal 29 al 5 settembre nelle ore serali o di prima mattina, le donne si riunivano in piccoli gruppi, vestite con il “lutu” percorrevano la via della processione recitando il santo rosario e le preghiere. L’Ottavario ha poi mostrato un evidente aspetto comunitario: viene portata in processione una riproduzione del quadro della Madonna della Mìlicia e si recitano le preghiere in omaggio alla Vergine. La novena invece si ripete sempre uguale a se stessa: un cantore per otto giorni, con l’aiuto di un dilettante fisarmonicista, a pagamento, di porta in porta canta il prodigioso ritrovamento del Quadro della Madonna della Mìlicia in tempi chiaramente non precisati.
Il pellegrinaggio mattutino del 6 settembre che porta alle prime ore dell’alba i fedeli dalla stazione ferroviaria di Altavilla al santuario è un fatto relativamente recente, essendo una tradizione iniziata attorno agli anni settanta del Novecento.
Nel bilancio per la festa del 1846, “senza però togliere alcun divertimento o manifestazione al popolo, che male ciò soffrirebbe” venivano previste le seguenti uscite: ”Banda militare ducati 60; Preti per assistere d. 24; assistenza dell’economo cappellano e Sagrestano d. 07,50; Paratorio d. 45; Pittura del gioco di fuoco artificiale da riformarsi ogni tre anni d. 18; Falegname pel carro e gioco di fuoco suddetto d. 34; tamburri d. 04,5; corsa di barbari d. 75; Guidatore del carro e bovi d. 04; Mortaletti d. 30; Illuminazione d. 36; Figure della SS.ma vergine d.45; Gioco di fuoco artificiale d. 72; chiodi d. 01,50; carraffine per l’olio benedetto da darsi ai devoti d. 45; affitto di materassi pei preti e pei musici d. 20; affitto delle case per mantenere la legname e gli altri oggetti della cappella d. 32; Per persone che assistono nei giorni della festa d. 12; Per musica d. 40 Fanaletti pel carro d. 06; orzo pei giannetti della corsa d. 06; Imprevedute e spese a minuto d. 40” .
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, per il divertimento del popolo accorso alla Mìlicia, la “Congregazione di Carità” programmava il volo dell’aerostato ad aria calda: l’aeromobile portava in alto una donna tra lo stupore e l’attesa degli astanti per l’esito del volo.
Le luminarie venivano raccolte in piramidi e poste nei crocevia per illuminare le strade del paese in occasione della festa, mentre la chiesa veniva addobbata con le ninfe prese in affitto per l’occasione. In questo stesso lasso di tempo la processione della Madonna venne arricchita con la volata degli angeli: da due balconi dirimpettai vengono calate per mezzo di robuste funi due bambine vestite da angeli e giunte al cospetto del quadro alternativamente declamano antichi versi. Da più di venti anni “a vulata ri l’ancili” è ripetuta durante la processione tre volte, mentre precedentemente veniva proposta solo lungo la via Loreto e la via Roma, essendosi aggiunto successivamente il “volo” di via Gagliano.
Risale all’Ottocento anche la caratteristica degustazione della salsiccia, la prima della stagione dato che il governo borbonico per motivi igienici ne vietava il consumo nei mesi estivi. Mangiare la salsiccia e la carne per la festa significava per molti pellegrini violare le ristrettezze economiche ed alimentari, oggi la “manciata” nei tavoli ha perso questa funzione ed è solo il modo per trascorre in modo “tradizionale” una serata ad Altavilla. La festa della Mìlicia, come tutte le feste patronali, rispondeva soprattutto alle esigenze dei ceti poveri e subalterni, offriva a livello psicologico il modo ed il tempo per sentirsi rassicurati, a livello sociale rappresentava il luogo per incontrarsi e per fare piccole spese non necessarie. La festa patronale voleva dire un vestito nuovo, un paio di scarpe nuove, un giro sulle giostre per i piccoli, la rottura del quotidiano fatto di privazioni.
L’eccezionale testimonianza di Giuseppe Pitrè consente di conoscere il rito della festa nei sui elementi costitutivi, così come si erano delineati alla fine dell’Ottocento: l’arrivo dei pellegrini, gli eventi ludici, gli aspetti pagani, la processione. Rimandiamo ad una lettura integrale delle straordinarie pagine di Pitrè per rivivere l’atmosfera dei giorni della sua visita alla Mìlicia, qui riportiamo i passaggi che richiamano la struttura della festa.
L’arrivo dei pellegrini: “chi non vide tanti devoti avviarsi per quella collina nella vigilia della festa non vide mai cosa più pittoresca, più commovente. A piedi, a cavallo, sopra carrette, in carrozza, su sciarabba, per ferrovia, su barche, in vapori, da Lercara, da Alia, da Cerda, da Cefalù, da Termini, da Bagheria, da Palermo, da Monreale, da Carini, da Montelepre, da Partinico, da Balestrate, da paesi anche più lontani, giungono ad ogni ora, ad ogni istante, di continuo, devoti e devoti: Salgono per la stradicciuola che conduce al poggio benedetto, desiderio e sospiro di tante anime, di tanti corpi affranti da sventure”.
Gli eventi ludici: “Ieri (6 settembre) si fecero le corse; oggi, oltre le corse, il carro per la via Loreto, il cassaro d’Altavilla nel quale la festa si accentra. I Milicioti, che guardano a Palermo come al tipo da imitare, vogliono se non gareggiare col carro di S. Rosalia, imitarlo alla meglio, e ne fanno uno ridotto, appariscente per drappi, vago per colori, e lo ripetono ogni anno a un modo, con la conca alla base, la colonna in alto e la statua della Fama in cima. Fan salire sulla conca una banda musicale, un’altra ne vogliono innanzi, come per far largo alle otto pariglie di buoi che tirano la mole, ed esigono che la rappresentanza del comune: il Sindaco, il Segretario, gli assessori, i membri della congregazione di carità, facciano seguito ad essa: così sarà domani, quando il carro illuminato tornerà nella piazza”.
Gli aspetti pagani: “In men che non si pensi, della migliaia di lire entrano nella cassa della deputazione della festa; su tavoli si ammonticchiano migliaia di ex-voto in forma di teste, cuori, occhi di cera, tabelle dipinte, superbe trecce di capelli, apparecchi ortopedici deposti da pellegrini; ed intieri vassoi sono gremiti di orecchini, spille, bracciali ed altri oggetti d’oro e di argento. Pure da questo al compimento della scena ci corre. Mentre le offerte succedono alle offerte, lì, innanzi l’altare della Madonna, protesi al suolo, i poveri devoti piangono, singhiozzano, sospirano, gridano, implorando grazie non ottenute ed al loro pianto ed ai loro gridi, il visitatore anche più indifferente prova un cruciamento interno, uno stringimento di cuore, un vero strazio. Il dolore si comunica e la sventura si impone. Manco male che un po’ di chiasso allegro di fuori la chiesa può distrarre da codeste malinconie! Altri devoti, ma molti, molti, girano per le strade con ex voto alle mani e con tamburri o la musica allato”.
La processione: “la bara cammina lentamente: ma nel camminare ha degli istanti di assoluta impossibilità a procedere innanzi. Oh come avviene codesto con tanti giovani forti che levan di peso, il fiore dei giovani palermitani venuti quassù nel costume occasionale di giacca rossa e calzoni bianchi? oh che gravità può essa avere una bara con quel po’ di quadro sopra? eppure è così: la bara diviene tanto grave che il sollevarla da terra è la più ardua impresa anche a cento persone: Gli è che al posto nel quale la Madonna s’è fermata, proprio a quel posto, qualcuno ha una promessa da compiere, e o non ebbe voglia di compierla o se n’è dimenticato. la fermata è opera della Madonna: e in modo o in un altro, il devoto moroso bisogna che faccia qualcosa o per placare la sacra immagine o per togliere lo scandalo di una lunga fermata co l’attender corto”.
Dai tempi del Pitrè la festa ha subìto alcune modifiche, inevitabilmente sono cambiate alcune forme del sacro e del ludico, ma il trascorrere degli anni non ha affievolito il culto della Madonna della Mìlicia né ha sgretolato usanze plurisecolari.
Ferdinando Scianna, fotografo di fama internazionale, ricostruendo la propria infanzia e adolescenza nella Bagheria degli anni cinquanta, ricorda: “alla festa della Madonna nera della Mìlicia, miracolosissima, la prima settimana di settembre andavano migliaia di pellegrini. A piedi scalzi, da Bagheria fa un cinque chilometri. Mia madre e mia nonna partivano col buio alle quattro del mattino per farsela col fresco. Io andavo più tardi, con mio nonno. Dal mare vedevamo sorgere il disco rosso al sole. Mio padre mi comprava gli azzalori, agrodolci, una barchetta o un salvadanaio di terracotta, qualche volta un giocattolo di legno. Per l’occasione si arrostiva la prima salsiccia che i pellegrini mangiavano su grandi tavolini sparsi per il paese”.
Le foto, in numero di otto presenti nel testo “Quelli di Bagheria”, restituiscono un suggestivo spaccato della festa con gli ex voto, la preghiera di una famiglia, la piccola mano di una bambina che tocca il quadro della Madonna, le bancarelle, la salsiccia e i pellegrini in attesa di mangiarla. Ma ancora prima di Ferdinando Scianna, il maestro Renato Guttuso, in un dipinto del 1927, documenta il “Viaggio alla Mìlicia” di alcuni pellegrini con un tipico carretto siciliano e potrebbero essere attribuiti allo stesso artista bagherese alcuni ex voto dipinti su lamine di metallo ricavate da scatole di sardine.
Dal 1960 al 1982 la festa continuò ad aderire al modello tipo di festa religioso-popolare, quale emerge dalle varie feste singolarmente prese. Tale modello prevedeva le manifestazioni più simbolicamente religiose, gare sportive, la banda musicale ed elemento qualificante lo spettacolo di chiusura con l’intervento del cantante e del complesso famosi. Nel 1983 la chiesa locale decise di chiudere con tale tendenza e per alcuni anni la festa si svolse con un programma incentrato sulle sole manifestazioni religiose.
Dal 1998 opera il comitato laico dei festeggiamenti della Madonna della Mìlicia che ha il compito di sostenere ed organizzare la festa del 6,7 e 8 settembre, essendo diventati elevati i costi degli eventi tradizionalmente programmati per la ricorrenza.
Quella di quest’anno è una festa patronale insolita, con un programma ridotto a causa dell’emergenza Covid: i fedeli non potranno seguire la processione né accompagnare la sfilata del carro trionfale tirato dai buoi, ma ciò che continua a rendere straordinaria la festa è sempre il forte ed intenso legame dei pellegrini con la Madonna della Mìlicia.
Prof. Salvatore Brancato