Il murales di via Roccaforte, un'occasione da non sprecare- di Franco Lo Piparo

Il murales di via Roccaforte, un'occasione da non sprecare- di Franco Lo Piparo

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Per motivi indipendenti dalla mia volontà non ho visto il murales in Via Roccaforte raffigurante Ennio Morricone, compositore di musiche eccellenti e cittadino onorario di Bagheria, nel tipico gesto di chi invita al silenzio. Ne ho visto la fotografia e ho seguito il dibattito che ha provocato sui giornali online e sui social. Mi permetto di dire la mia opinione.

Consentitemi di prenderla da lontano. In cosa un quadro differisce da un murales? Un quadro spostatelo da un luogo all’altro, portatelo da Parigi a Roma o a Bagheria, il suo significato rimane inalterato. Se ne discuterà, come accade a tutte le cose umane, ma non in relazione al luogo in cui temporaneamente si trova. Un murales è parte costitutiva e inseparabile del luogo in cui è stato realizzato e viene fruito. Arricchisce di significati nuovi il contesto urbano in cui artista e committente l’hanno collocato e, contemporaneamente, assorbe in se stesso la storia del luogo. Se l’operazione è ben riuscita tra murales e luogo avviene col tempo una fusione: il murales diventa il pezzo di città in cui si trova, quel pezzo di città viene identificato col murales.

Sto dicendo forse una banalità ma è utile dirla. Consentitemi una seconda considerazione di ordine generale. Il tema del murales e della fotografia che l’ha ispirato è il silenzio.

Sul silenzio sono state scritte intere biblioteche e vengono organizzati seminari e congressi scientifici. Del silenzio si è sempre parlato molto. Il silenzio è loquace perché non è univoco. Il silenzio può essere una minaccia ma anche un atto di amore comprensivo, un invito a farti gli affari tuoi ma anche un invito a esercitare la nobile e difficile arte dell’ascolto, eccetera.

Il silenzio va sempre chiarito con parole. Il silenzio da solo non esiste. Vive accompagnato con delle parole, non necessariamente dette, che gli diano senso. Non a caso la fotografia che l’artista ha preso come modello ha una didascalia: «silenzio, parla la musica». La didascalia è parte della fotografia. La fotografia senza la didascalia potrebbe significare tutto e il contrario di tutto.

Il murales, privato della didascalia che accompagnava la fotografia, involontariamente rischia di travisare il pensiero di Morricone perché consente al luogo in cui è collocato di diventare la sua didascalia silenziosa. Prima o dopo darà il pretesto a una firma nazionale del giornalismo di imbastire il solito pezzo sulla Sicilia del «nenti sacciu, nenti vitti e si chistu c’aiu dittu è dittu un aiu ditti mancu chistu».

I primi a dispiacersene sarebbero il committente e l’artista. Non erano queste le loro intenzioni.

Per stroncare qualsiasi strumentalizzazione malevola basterebbe ripristinare nel murales la didascalia che accompagna la fotografia (silenzio, parla la musica) e aggiungere una frase , ad esempio, come questa: Il silenzio musicale crea, il silenzio omertoso uccide.

Concludo tornando al punto da cui sono partito. Committente (Rotary club di Bagheria) e artista (Andrea Buglisi) non solo eliminerebbero ogni equivoco malevolo ma scriverebbero un capitolo importante della storia urbanistica e civile di Bagheria. Via Roccaforte e il suo murales potrebbero diventare simbolo della Bagheria colta e non mafiosa. Senza polemiche e col consenso di tutta la Bagheria onesta.

Franco Lo Piparo 

Professore Emerito Università degli Studi di Palermo