“… e di che dovrei parlarvi, ora …” - di Ezio Pagano

“… e di che dovrei parlarvi, ora …” - di Ezio Pagano

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L’esperienza appartiene al pensiero razionale e a volte al sogno. Quando la razionalità s’incontra con il sogno nasce quasi sempre una storia. Questa è la storia di una grande passione per l’arte divenuta collezione.

La magnificenza del salone di Palazzo Butera a Bagheria richiamava gli spiriti dei potenti, tutto lasciava presagire la potenza dei personaggi che l’abitarono, persino le scene degli affreschi che dal soffitto incombevano su di noi. Non rimaneva che godersi l’aristocratica bellezza della sala e lasciarsi sedurre dalle emozioni. Ma non era facile, perche nonostante i filtri del tempo, si avvertiva il caustico orrore del baciamo le mani pronunciato in segno di sottomissione più che per rispetto, acclarato dal reale bacio di mano.
Quella volta però, gli ospiti al Palazzo erano stati invitati alla presentazione di un libro, con tanto di invito di cortesia, che lo scriba, un austero monaco amanuense, aveva provveduto a stilare su carta pergamena recante in calce lo stemma della Città.
Il fatto che sto raccontando s’incrocia con due libri, quello vero, un libro già tra gli scaffali della libreria, e quello immaginario, ma non tanto immaginario, dal momento che è già pronto e deve essere solo dato alle stampe. In realtà, nel secondo libro emerge il pensiero dell’autore, che in qualche modo si svela anche nel primo, solo che nel secondo per agevolarne la scrittura, ma anche la lettura, il protagonista è menzionato col suo vero nome di battesimo, Ignazio.
L’autore considerava l’evento importante e per questo pensava che meritasse il massimo rispetto, come quando si ascolta l’inno nazionale: proprio per questo, Ignazio, all’inizio del suo intervento si porta la mano sul petto.
Ignazio bramava da tempo di parlare a sguardo esteso del suo personale pensiero sull’arte, e non della pittura solo pittura, quella che arreda le case dei nuovi ricchi, ovvero di quelli che, arricchitisi in fretta, hanno trascurato, per saper far di conto, la conoscenza delle “Scienze Lettere ed Arti”.
Puntualmente però arriva l’emozione e Ignazio è costretto a poter dire solo poche cose, ma gli vengono in soccorso tre suoi amici che lo gratificarono troppo, a detta dello stesso Ignazio, immeritatamente.
Il primo, Aurelio Pes, scrittore, e in passato Direttore dell’Ufficio regionale per la valorizzazione del patrimonio culturale della Regione Siciliana. Una persona importante per Ignazio, perché ha creduto nel suo Museum prima di qualunque altro; il secondo, Franco Lo Piparo, del quale alla fine voglio raccontare un grazioso aneddoto, emerito professore dell’Università di Palermo e Premio Viareggio; il terzo, Maurizio Padovano, docente nei Licei e scrittore. Maurizio, dopo aver letto il libro Dai mitici anni Sessanta all’alba del Terzo millennio, dichiarò ad una emittente televisiva: “Non si tratta di un’autobiografia ma di una auto multi biografia, perché rappresenta l’idea, il sogno e l’ossessione dell’autore per il suo Museum, ma anche quella, in un certo senso, di Bagheria e della situazione artistica in Italia”. Questa dichiarazione a Ignazio piacque molto, perché il Museum per lui è si l’idea, il sogno e l’ossessione, ma è anche di più: la vita!
“Non ho alcuno magistero da svelare.” Disse Ignazio impossessandosi del microfono. “Ho solo un abbecedario che vi voglio presentare” e muovendo la mano col gesto di buttar le reti in mare, continuò dicendo: “Se la lettura vi sarà di gioia vuol dire che il mio racconto se ne andrà in gloria”. Una frase improvvisata, che però fece presa su tutti, intellettuali e ignoranti! A questo punto l’intervento non doveva e non poteva concludersi qui, quindi Ignazio suo mal grado, diede fiato alle corde e continuò dicendo: “Se l’arte è il cibo che Dio ci ha dato, è tanto nostra quanto del Creato” e poi, per strappare un nuovo applauso: “Sono discepolo, profeta e predicatore, questo mestiere lo faccio con passione, per questo, amici, vi chiedo solo amore, perché è questo che vuole nostro Signore. So di non aver titoli da predicatore, ma son certo che l’arte può essere dottore.”
Ci fu ancora un lungo applauso, questa volta tutti in piedi, e si alzò pure Ignazio per accogliere l’ovazione, continuando a parlare in versi, che il pubblico dimostrava di apprezzare. “Penso a Monna Lisa di Leonardo e al suo immenso assoluto sguardo, ma anche alla Guernica di Picasso, che mai in libertà arretrò di un passo.
Poi Ignazio interruppe il suo blabla, perhe preferiva ascoltare i relatori ufficiali e gli interventi dalla sala, tra questi quelli graditissimi di Anna Maria Ruta ed Arrigo Pasquini.
Al termine della presentazione in modo spontaneo si formarono tre capannelli, uno di intellettuali che disquisivano su quello che ancora si poteva dire e non si era detto; qui Franco Lo Piparo sostiene: “Qualche volta bisognerà scrivere dei diversi modi in cui l’intellettualità siciliana ha vissuto nella storia il proprio rapporto con la Sicilia. Ne accenno qui a due. Quelli che scappano in giovane età dalla Sicilia e dicono di portarsi la Sicilia addosso. Vittorini è il caso esemplare ma anche Guttuso, Giuseppe Tornatore e Fernando Scianna e molti altri. Sono la maggioranza. Credo che anche Verga rientri in questa tipologia: “I Malavoglia” li ha scritti stando a Firenze e rifiutandosi durante la scrittura di andare a visitare i luoghi evocati nel romanzo.
Quelli che rimangono in Sicilia e si propongono di immettere cultura e stili di vita non siciliana nel luogo dove sono nati e vivono. Sciascia è l’esempio più recente e luminoso. Ma anche Tomasi di Lampedusa. Questi ultimi sono una minoranza. Ezio Pagano fa parte della seconda tipologia”…
L’altro capannello, composto da buongustai amanti del cibo etnico, si radunò attorno al tavolo del buffet, dove tra diverse leccornie fu molto gradito lo sfincione bianco del pluripremiato forno Valenti di Bagheria; infine, i veri amici di Ignazio che lo accerchiarono continuando a ripetere: a quando il prossimo?
Ovviamente ci furono quelli che non si fecero mancare nulla di tutto questo, come l’assessore alla cultura Romina Aiello che, in compagnia del Principe di Corleone appagarono l’esigenza culturale della discussione e si complimentarono con l’autore che sognava ad occhi aperti. Insomma, tutto si svolse secondo il diritto del “libero arbitrio”.
Sull’evento si potrebbe dire ancora tanto, come della recita di Ornacif o la proiezione del video firmato da Yaren, ma preferisco non aggiungere altro e, per non dire e di che dovrei parlarvi, ora, chiudo raccontando l’aneddoto che vi ho anticipato.
Ignazio era andato in America col suo amico Franco, precisamente a New York, per curare una mostra all’Intrepid Museum di Manhattan, mentre Franco doveva tenere una conferenza all’Istituto Italiano di Cultura, diretto da Gioacchino Lanza Tomasi, il figlio del celebre Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
La sera dell’arrivo nella Grande Mela cenarono in un ristorante-pizzeria per il solo fatto di essere stati attratti dal nome del locale, “Bella Italia” e, sedutisi ad un tavolo insieme agli altri dello staff, iniziarono a parlare in siciliano, dal momento che la comitiva era tutta del continente Sicilia. Non è un segreto che i siciliani parlano ad alta voce e così la lingua sicula si diramò per tutta la sala, arrivando alle orecchie del pizzaiolo, che abbandonò la sua postazione per raggiungere il tavolo e, come se si trattasse di avvicinamento di cortesia, disse: siete italiani? e un coro per risposta: si! Lui continuò: siete siciliani? e per tutta risposta un’altro si! collettivo. Poi arrivò il bello: il pizzaiolo infatti disse ancora -io palermitano sono! e questa volta, tra la meraviglia di tutti, perche questa conversazione accadeva con la prima persona con cui parlavamo in America, Ignazio rispose dicendo: -io sono di Bagheria e quello: -io esattamente di Ficarazzi sono. E visto che la conversazione si era focalizzata tra loro due, il signor pizzaiolo precisò a Ignazio: -io mi chiamo Macchiarella e sono il fratello del Sindaco di Ficarazzi e lei come si chiama? -Pagano risposi. E il pizzaiolo incalzò dicendo che a Bagheria abitava una sua cugina, che aveva in affitto un appartamento proprio da un Pagano, in via Città di Palermo. Incredibile!!! quel Pagano era Ignazio e la casa dove abitava sua cugina era di sua proprietà.
Forse questo aneddoto c’entra poco con la presentazione del libro, ma serve a ricordare a Ignazio da quale pulpito gli siano arrivate le gratificazioni: da amici, e in particolare da uno col quale aveva diviso esperienze, viaggi e sogni, così in futuro, non abbia a vantarsene troppo.
Questi son racconti e storie d’amare, scritte da un uomo dai capelli color orso polare”.