La questione dell’arte e il mio Abbecedario- di Ezio Pagano

La questione dell’arte e il mio Abbecedario- di Ezio Pagano

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Un’idea per il dopo coronavirus. Ricominciamo all’insegna della cultura peril riscatto sociale ed economico di Bagheria: recital, musica, danza, cinema, teatro, mostre, sport, e chi più ne ha più ne metta. Riconquistiamo la nostra identità e torniamo a “camminare con la grazia degli animali e dei principi”.

BAGHERIA.
Quando i miei amici coetanei gareggiavano al bigliardino nelle sale da gioco del presidente della Stella Rossa, Vincenzo Buttitta detto “u’Marfitanu”, io andavo per mostre d’arte e iniziavo a coltivare la mia passione.
Ricordo il giorno in cui feci il mio primo acquisto, e come tutti i principianti, cercavo nell’opera certe caratteristiche: olio su tela, colori forti e luminosi, grandi dimensioni e cornice barocca veneziana, non importava s’è taroccata, purché s’intonasse col l’arredo di casa. Queste caratteristiche che all’epoca ritenevo giuste, si rivelarono in seguito un elogio al kitsch, con uno sguardo alla rappresentazione superficiale dell’opera. In pratica, consideravo il dipinto un complemento d’arredo. Ovviamente non me ne rendevo conto, non conoscendo ancora la profondità delle cose che solo i grandi pensatori conoscono. Ad esempio Frida Kahlo diceva: Se solo i nostri occhi vedessero le anime invece dei corpi, quanto sarebbe diversa la nostra idea di bellezza. Eppure in quegli anni il mercato dell’arte era fiorente così e artisti, galleristi e collezionisti, come ci ricordano le cronache del tempo, eravamo tutti soddisfatti.
Erano gli anni della passeggiata nello stradonello, e tra un andare e tornare si respirava la voglia di spensierata leggerezza.
Ricordo che quando venivano prese iniziative di carattere culturale i mass-media le promuovevano volentieri. Fu proprio in queste circostanze che presi i contatti col giornale “L’Ora”, diventandone collaboratore, ma soprattutto amico di Salvo Licata e Mauro De Mauro. Poi arrivò il “Sessantotto”, il movimento socio-culturale nato per cambiare lo status quo del Paese, che ci traghettò dalla spensierata leggerezza alla profondità della vita: i romantici leggevano Paul Éluard e Jacques Prévert; i condottieri cattolici del popolo si addottrinavano leggendo don Sturzo e i bolscevichi leggevano Lev Trotskij; gli intellettuali, che a Bagheria non mancano, leggevano le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci o i libri di Angelo Fiore. Io in quegli anni tenevo i contatti con un leader del movimento studentesco, Marco Sassano, redattore della rivista “La Zanzara” del Liceo Parini di Milano. Con queste premesse l’Italia cambiò, e cambiò anche la Sicilia e Bagheria.

Personalmente non mi feci mancare le occasioni per conoscere i grandi personaggi del mondo dell’arte, e ne ho conosciuti tanti da Peggy Guggenheim a Palma Bucarelli, da Gillo Dorfles a Leo Castelli e Bruno Bischofberger, tutti, a vario titolo, hanno forgiato il mio pensiero sull’arte, facendomi costruire giorno dopo giorno un mio decalogo per l’attività di gallerista, per la quale avevo coniato il motto: Se vendo guadagno, se non vendo guadagno di più, un enigmatico concetto che trova le sue radici nel valore pecuniario dell’arte. Un’esperienza unica che mi porterà presto ad avere grandi vantaggi con la mia attività. In questo modo, ho visto l’arte con altri occhi e ho dato una svolta alle mie acquisizioni, diventando prima un appassionato collezionista, poi un provetto gallerista e infine, il direttore di Museum.
Quando ormai i miei capelli hanno preso il colore dell’orso polare e non c’è più motivo di atteggiarmi a modesto, il che non sono, continuo nell’auto-elogio dicendo che la mia collezione oggi è degna di considerazione. Per questo vorrei condividere la mia esperienza positiva e il mio decalogo, trasformandoli in un Abbecedario dell’arte, da pubblicare, perché altri collezionisti non abbiano a fare gli stessi miei errori iniziali e magari possano avvantaggiarsi di quel godimento spirituale che solo l’arte sa donare.

Foto: Alberto Savinio,Il Gabbiano, 1950, olio su masonite, cm 40,5x32,5
(Collezione Museum Bagheria)