“La fucilata rimbombò nel silenzio della notte, echeggiò fra le rocce della montagna che sorgeva nera e massiccia nella purezza del cielo, dolcemente soffuso del chiarore lunare”. (William Galt)
La lettura di questo incipit risvegliò in me un brutto ricordo di dodici lustri fa, quando era ormai assopito. Essendo il protagonista del ricordo un personaggio pubblico, don Armando Trigona, discendente da una famiglia nobile imparentata con Coriolano della Floresta*, lo voglio raccontare.
Sessant’anni or sono, nel primo pomeriggio del 6 settembre 1960, il tempo scorreva fluido come da “copione” e nessuno poteva immaginarsi che la “rappresentazione” potesse diventare drammatica. Tutto faceva presagire una giornata tranquilla mentre l’arcobaleno, incastonato nell’ubertoso paesaggio mediterraneo, invogliava ad abbandonarsi alle gioie della vita.
Con questo scenario, io e Giovanni Chiarello, studenti dell’Istituto della Trasfigurazione, prendemmo una grande pentola dalla cucina e via, verso la Montagnola a raccogliere lumache. Una cosa che facevamo d’abitudine dopo la pioggia.
Lungo il sentiero che avrebbe dovuto tracciare la strada per la chiesa della “Beatitudine”, che non fu mai costruita, con Giovanni si camminava lentamente e si parlava di frivolezze mentre raccoglievamo le lumache, che affioravano numerose tra l’erba e i cespugli.
D’un tratto, dalla finestra del piano nobile di Villa Serradifalco, si affacciò un signore con un fucile di precisione con tanto di binocolo, tale cavaliere Vincenzo Alicò, minacciandoci - al grido di “andate… andate via”! - e inveendo contro don Armando Trigona, proprietario dell’Istituto.
All’epoca, io e il mio compagno avevamo rispettivamente 12 e 13 anni, quindi, sia per l’incoscienza, sia per voler fare gli eroi, sia perché eravamo in zona di pertinenza del Collegio, lasciammo cadere nel nulla quelle minacce. Fu così che da lì a poco il cavaliere Alicò, dalle parole passò ai fatti. Pam! pam! pam! e il piombo colpì più volte la pentola, ma anche Giovanni che, accasciandosi per terra, gridò “aaaah”! Preoccupatomi lasciai cadere la pentola, che iniziò a rotolare per la montagna, e corsi in Istituto informando la prima persona che incontrai, la cuoca che, gridando a sua volta per chiamare aiuto, attirò l’attenzione del direttore e tutti insieme ci avviammo di corsa a soccorrere Giovanni, mentre il cavaliere Alicò, come se nulla fosse successo, rientrava nella sua Villa aristocratica, che fu di Domenico Antonio Lo Faso Pietrasanta, duca di Serradifalco.
Mentre portavano Giovanni al Pronto Soccorso di Bagheria, venne rintracciato don Armando, che si trovava a Roma e che rientrò col primo aereo. Una volta a Bagheria, dopo aver preso coscienza dell’accaduto, don Armando, che non le mandava a dire, convinse il cavaliere che, per evitare di complicare la sua posizione e finire il resto dei suoi giorni in prigione, sarebbe stato meglio che gli cedesse la Villa.
Infatti, andò così: il cavaliere Alicò dovette vendere la Villa a don Armando, che così scrisse la parola fine ad una vecchia diatriba della quale non si conoscono le motivazioni.
In questo modo il reverendo padre don Armando Trigona della Floresta diventò il “capo” incontrastato di contrada Serradifalco, dove fece costruire la sua nuova dimora stabilendovi il suo quartier generale. Da qui governò la sua intrigante vita privata e l’”Impero” che aveva costruito, mentre, la campana della chiesetta della Villa, che chiamò “della Beatitudine”, iniziò a rintoccare tutte le domeniche.
• Nel mio libro “Dai mitici anni Sessanta all’alba del terzo millennio” scrivo: … Don Armando fu il primo prete di Bagheria a non indossare la talara, a fumare in pubblico e a guidare auto di grossa cilindrata non di colore blu, come si conveniva ai prelati dell’epoca. Ricordo che un giorno che mi accompagnò a casa vide nella mia biblioteca tre volumi di “Coriolano della Floresta”, dato che mio padre, dopo avere raccolto per anni le dispense che uscivano col “Giornale di Sicilia”, le aveva fatte rilegare. Don Armando prendendoli in mano disse: “Questi sono la storia della mia famiglia e me li porto io”, e se li portò davvero.
Foto di copertina: vista dalla Montagnola oggi,
Foto in bianco e nero: La Montagnola e Villa Serradifalco; Don Armando Trigona ed Ezio Pagano.