Quella volta in cui Giulio Turcato chiamò i carabinieri- di Ezio Pagano

Quella volta in cui Giulio Turcato chiamò i carabinieri- di Ezio Pagano

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La vicenda di Giulio Turcato¹ che vi racconto ha tutte le caratteristiche della “commedia degli errori”, di cui allora fui co-protagonista e vittima.

Sentite:

Nell’ottobre del 1971, andai a Roma, per farmi autenticare due opere dal pittore Giulio Turcato acquistate in una galleria di Palermo. Dissi al poeta Giacomo Giardina di accompagnarmi per dargli l’opportunità di riabbracciare il suo amico pittore e poeta futurista Sebastiano Carta e, prima di partire da Bagheria presi appuntamento con Carta che viveva a Roma, chiedendogli di accompagnarmi dal Maestro Turcato che lui conosceva bene e frequentava per via della comune “passione per l’alcol”. La mattina in cui Carta ci raggiunse nel nostro albergo vicino via Margutta, le strade erano ancora deserte, iniziavano ad aprire i primi bar e così con Sebastiano e Giacomo andammo a fare colazione, aspettando che si facesse l’ora in cui sarebbe arrivato il Maestro Turcato allo studio. Quel giorno non mancarono i drammi: il primo lo provocò Sebastiano Carta durante la colazione. Eravamo entrati in un bar in prossimità di Piazza di Spagna, io chiesi un cappuccino e un cornetto - dopo avrei preso anche un caffè -, il poeta Giardina, come era solito, chiese un the al limone, mentre Carta ordinò due doppi whisky, che a me, a dire il vero, sembrarono esagerati a quell’ora del mattino. Comunque per discrezione non dissi nulla. Mentre Giardina si allontanava per andare alla toilette, Carta, all’insaputa di tutti, versò uno dei due whisky nella tazza del the; poco dopo, quando Giardina ritornò, con le bevande ci sedemmo ad un tavolo all’interno del bar ed è facile immaginare la scena quando Giardina si abbandonò al primo sorso di the: un dramma! Mi affrettai, quindi, a pagare il conto ed uscimmo in fretta dal bar e Giacomo, offesissimo, tornò in albergo, senza che ci fosse modo di fargli cambiare decisione, mentre io e Carta ci avviammo verso via del Babbuino, dove da lì a poco sarebbe passato Turcato, senza sapere che stava per consumarsi il secondo dramma. Mentre camminavamo intanto, notai un giovane alto e magro che avanzava con passo spedito e con una tela bianca sotto il braccio, e subito dopo un “signore” alto e robusto, dall’andatura barcollante, che si muoveva nella direzione di via Margutta mi venne indicato da Sebastiano come Giulio (Turcato). Ci affrettammo quindi a raggiungerlo e quando fummo nelle sue vicinanze Carta lo chiamò: «Giulio!», ma Giulio non rispose e Sebastiano aumentando il tono della voce, tornò a chiamarlo: «Giuliooo!», ma Giulio non prese in considerazione nemmeno la seconda chiamata, mentre noi nel frattempo eravamo proprio dietro di lui, e Carta per la terza volta, continuando ad aumentare il tono della voce e portandosi le mani ai lati della bocca, come fosse il gesto futurista dell’intonarumore, chiamò ancora: «Giuuuuliooooo!», ma Giulio non mostrò segni di cedimento. Quando io stavo per consigliare a Sebastiano di desistere dal continuare a chiamarlo, lui fece il contrario gridando nel silenzio agghiacciante di Roma a squarciagola e in modo prolungato: «Giuuulioooooo sei uno strooonzooooo», mentre Giulio impassibile proseguiva il suo cammino, senza curarsi di lui, anzi di noi, perché io, anche se pietrificato, ero lì. Carta, allora, infastiditosi a sua volta, decise di andarsene anche lui, lasciandomi questa volta completamente solo. Ma i drammi non finirono, anzi, quello vero doveva ancora cominciare! Turcato nel frattempo era arrivato in via Margutta e io dietro di lui. Entrato nel cortile dello studio vidi che, sul lato destro, un signore distinto si apprestava ad aprire lo studio al piano terra: era lo scultore Nino Franchina, a cui chiedo informazioni su Turcato: gentilmente mi indirizza dal portiere. Questi, presomi in simpatia, mi consiglia di farlo prima entrare nello studio e poi di suonargli alla porta, per evitare di essere spedito via all’istante. Seguo il suo consiglio e dopo alcuni minuti, saliti i pochi gradini esterni che portavano al suo studio, suono il campanello; mi apre un giovane, che riconosco immediatamente, come quello che avevo notato poco prima per strada con la tela bianca sotto braccio, che si presenta come l’assistente di Turcato. Quando dopo molte insistenze riesco ad entrare, vedendo la tela bianca che poco prima il giovane aveva sotto il braccio, già dipinta come opera di Turcato, non posso fare a meno di fare alcune riflessioni... A quel punto, dico finalmente che ho due dipinti da fare autenticare dal Maestro e l’assistente mi dice di mostrarglieli, io insisto per avere un incontro col Maestro, mentre lui prova a scoraggiarmi. Ma io affermo le mie ragioni: il viaggio dalla Sicilia, l’acquisto delle opere con riserva, la necessità delle autentiche o delle dichiarazioni di falsità e sottolineo anche di avere sostenuto spese per il viaggio, l’albergo e quant’altro. Turcato, udendo le insistenze dal soppalco, dove si era abbandonato in qualche poltrona in compagnia, quasi sicuramente, di una bottiglia di vino, senza farsi vedere, interviene gridando: «Sono falsi! Sono falsi!», io aspettando con pazienza che l’eco delle grida si spegnesse, gli replico garbatamente e sotto tono: «Maestro, li veda, se sono falsi me lo scriva, così torno a Palermo e posso riavere i miei soldi». Ma il Maestro dal soppalco continuava a gridare: «Sono falsi! sono falsi!». Io non mi scompongo più di tanto, ma inizia invece a preoccuparsi l’assistente, che mi consiglia di non insistere e di andarmene: io non ci penso nemmeno, a maggior ragione che le opere sono ancora imballate. A questo punto la scena è la seguente: io decido di alzare il tono della voce e dico con forza: «Maestro, non me ne vado se non li vede!», mentre il Maestro per tutta risposta, grida: «Se non se ne va, chiamo i carabinieri!». A questo punto, mi tranquillizzo, perché inizio a intravedere una possibile soluzione e prontamente gli rispondo: «Chiami pure i carabinieri!». Subito Turcato ingiunge all’assistente di chiamarli - cosa che questo fa -. Appena i carabinieri sono in linea, Turcato dal telefono del soppalco inizia una conversazione ad alta voce affermando: «Sono Turcato!» e poiché dall’altra parte gli avranno sicuramente chiesto: «Turcato chi?», lui arrabbiato: «Turcato, quello dei quadri falsi!». Il piantone, a questo punto, resosi conto che stava parlando con una persona sui generis, gli avrà certo chiesto: «Perché chiama?» e Turcato: «Qui c’è uno che ha quadri miei falsi» e suggerendogli il carabiniere di dirmelo e rispondendo Turcato che lo aveva già fatto, l’assistente mi passa il telefono e mi ritrovo all’improvviso a parlare col carabiniere, mentre Turcato ascolta la telefonata dall’altro telefono dal soppalco. Io spiego chi sono e per quale motivo mi trovo nello studio di Turcato, dico anche che i dipinti sono ancora imballati e che il Maestro non li ha visti, ripetendomi solo che sono falsi per sua convinzione. A questo punto il carabiniere vuole riparlare con Turcato, per ingiungergli di vedere i quadri e di scrivere dietro il suo giudizio. Turcato interrompe bruscamente la telefonata, scende i pochi gradini che lo separano da me, mentre l’assistente mi invita ad aprire il pacco: cosa che faccio. Ma il Maestro, sopravvenuto, mi toglie bruscamente i dipinti dalle mani, quando ancora sono appoggiati l’uno sull’altro dalla parte dipinta e protetti da uno strato di velina nel mezzo, e tenendoli con forza uniti con una sola mano, senza vederli, con l’altra mano e un pennarello che l’intraprendente assistente prontamente gli aveva porto, scrive a stampatello dietro una tela: QUESTA OPERA (più sotto) È FALSA (ancora sotto) TURCATO, quindi ruotandoli, fa lo stesso sul retro dell’altro dipinto. Io rimango esterrefatto e amareggiato, raccolgo laccio, carta, pluribol e dipinti, saluto senza essere ricambiato e vado via. Una volta fuori dallo studio sistemo al meglio i dipinti e mi auto-complimento per il coraggio dimostrato. Attraversando il cortile, saluto con un cenno del capo il portiere, ma non rivedo lo scultore Franchina. Uscito dal cortile, invece di andare verso l’albergo dove alloggiavo, all’angolo di via Margutta, mi dirigo verso via del Babbuino dove il mio amico Salvatore Provino teneva una mostra personale alla Galleria Molino. Si erano fatte già le 10,30 e in Galleria, oltre a Provino, c’era un altro signore e il proprietario della Galleria. Con i nervi a pezzi (durante il tragitto avevo metabolizzato l’accaduto) appoggio bruscamente i dipinti per terra e Provino giustamente, non apprezza il mio gesto. Intanto, l’altro signore dopo aver ascoltato il mio sfogo mi dice che ero fortunato perché ero riuscito a farmi autenticare le opere: bastava solo, infatti, che con un pennarello dello stesso colore si aggiungesse NON e la scritta si sarebbe letta QUESTA OPERA NON È FALSA, piuttosto che QUESTA OPERA È FALSA. Lui stesso si propose per farlo, ma naturalmente io non accettai la proposta. Allora ero un giovane idealista - e tutto sommato idealista lo sono ancora - con un’educazione collegiale che non ha lasciato spazio per simili scorrettezze: ero amareggiato al punto che d’impeto pensavo di smettere con la professione di mercante d’arte. Tornato a Bagheria, cercai conforto presso una persona più adulta, il dott. Nino Amico, amico di famiglia e collezionista, che mi consigliò di fare “tesoro” di quanto accaduto e di andare avanti a testa alta: così ho fatto. Naturalmente ho restituito i dipinti e recuperato i soldi, ma sono certo che quei dipinti erano buoni!
Per formazione ho sempre frequentato persone più grandi e migliori di me, merito anche di mio nonno Ignazio che mi ripeteva sempre: ricordati che è meglio essere il peggiore tra le persone che si frequenta, piuttosto che il migliore. Questo mi ha consentito di fare buone esperienze e scambiare opinioni che mi hanno forgiato bene e fatto crescere, sia sul piano umano che intellettuale; ma anche incontri come quello con il Maestro Giulio Turcato si sono rivelati altrettanto utili, in quanto, la professionalità è frutto dell’esperienza acquisita e, l’esperienza è la somma degli errori commessi dei quali però, si è preso coscienza.
Con queste premesse iniziava la mia ascesa nel mondo dell’arte, ma anche in quello delle insidie, che mi riservarono colleghi invidiosi del mio successo ed artisti dal temperamento sui generis: per fortuna i colleghi invidiosi nel tempo scomparvero uno dopo l’altro dalla scena e i pochi rimasti oggi, con ipocrisia, si proclamano da sempre amici; i pittori sui generis, che non godevano della mia attenzione, perché non mi interessavano, sono finiti quasi tutti in soffitta.

¹ Giulio Turcato è uno dei grandi artisti astratti del XX secolo

Foto: Ezio Pagano e Sebastiano Carta negli anni Settanta