Il 24 maggio del 1971 mentre consumavamo una cena all’Osteria “Zza Maria”, Ignazio Buttitta scrisse un superbo ritratto di Sebastiano Carta.
A tavola eravamo io, Buttitta, Carta e il pittore Aldo Turchiaro. Poco distante da noi due botti di vino rendevano euforico Carta, mentre in sala ad intrattenere gli ospiti, con particolare riguardo al nostro tavolo, la Zza Maria, che aveva un’espressione bonariamente minacciosa nei confronti dell’irriducibile Sebastiano, il quale ad alta voce continuava a chiedere vino.
U tirrimotu
Unni c’è acqua / C’è vinu / Unni c’è gente / C’è un parrinu / Unni c’è un parrinu / C’è cani / Unni c’è fimmini / C’è buttani / Unni c’è cannuna / C’è morti / Unni c’è patruna / Cosi torti / Unni c’è amuri / C’è u suli / Unni c’è l’odiu / C’è svinturi / Unni c’è vita / C’è mortu / Unni c’è Carta / U tirrimotu. (Poesia inedita di Ignazio Buttitta)
Visti i lunghi periodi che Carta trascorreva a Bagheria avevo trovato una sistemazione all’hotel Zagarella, dove Carta all’inizio fu ospite gradito, in seguito fu poco gradito e infine non fu gradito affatto, fino a quando il personale dell’albergo protestò con la direzione perché tutte le notti, anche d’inverno quando il personale era ridotto, chiamava la reception per ordinare alcolici creando problemi. Aveva anche imbrattato le pareti del bungalow che, nel frattempo, si presentavano simili ad opere di Pollock.
Ricordo che a quei tempi i miei amici mi apostrofavano amichevolmente tanto paga Pagano, perché, se tardavo all’appuntamento per accompagnarlo in albergo, si faceva accompagnare dal primo conoscente che incontrava e, una volta arrivati all’hotel Zagarella, offriva tequila a tutti ripetendo sempre: tanto paga Pagano.
Dopo lo “sfratto” dall’hotel Zagarella, lo ospitai nella mia casa di campagna e una mattina in cui avevamo appuntamento per accompagnarlo in paese, essendo io arrivato in ritardo di pochi minuti, non lo trovai più, e non c’era nemmeno Battista, il mio contadino, perché Sebastiano gli aveva fatto sospendere il lavoro per farsi accompagnare in paese con la sua vecchia Motom. Sulla porta di casa mi fece trovare un foglio con su scritto: Porco Pagano, se mi vuoi vedere sono nella Zia Maria; ovviamente, dopo quarant’anni, quel foglio lo conservo ancora come una reliquia. Oggi a ricordare Sebastiano Carta c’è una targa nel prospetto della mia casa che Sebastiano usava come studio, e poi c’è il Libro cortese, l’ultima sua raccolta di poesie che nel 1971 gli pubblicammo con l’etichetta editoriale ellepi, una sigla nata dalla pronuncia delle iniziali di La Tona e Pagano, perché in quegli anni Enza La Tona era mia socia nella Galleria. Dal Libro cortese vi propongo questa poesia:
Diario in treno a Ezio Pagano
Ti / lascio / o / mia / Sicilia / terra / appesa / al / petto / dell’intelligenza / oh / lacrime / amare di / nuvole / e / spiagge / consumate / dal fremito / di / frutti / Oh / e / docile / è / l’occhio/ di / territori / segretissimi / nei / fichi / d’India / ed / ancora / oh / ancora / mia / Sicilia.
Sempre nel 1971 organizzai una sua mostra personale al «Centro Studio d’arte Il Triangolo» di Palermo e, su richiesta di Sebastiano, feci collocare una botte di vino nel cortile della galleria per la gioia dei visitatori diceva lui, in realtà era per la sua felicità.
Il giorno del vernissage, stavamo raggiungendo con Sebastiano a bordo della mia BMW la galleria in via De Spuches a Palermo, quando alla vista di una sala da barba mi dice di fermarmi perché doveva farsi la barba. La scena dal barbiere fu teatrale e vale la pena raccontarla. Quel giorno Sebastiano indossava una camicia a tinte vivaci, che aveva dipinto lui stesso. Aveva la barba lunga e incolta, alla maniera di Tiziano, e come sempre camminava barcollando, anche quando era relativamente sobrio, perché quell’andatura era ormai modellata sul suo corpo. Una figura imponente, un gigante buono come lo chiamavamo, che si faceva amare e soprattutto notare da tutti. Infatti, entrati nella sala da barba, un anziano signore seduto nella poltrona con la faccia già insaponata, alla vista di Carta si alzò, si tolse la tovaglia dal collo e invitò Carta a sedersi, dicendo più volte: Maestro si sieda! Maestro si sieda! Chi sa come aveva fatto a capire che era veramente un Maestro? Carta, con molta disinvoltura, prese posto nella poltrona e il barbiere continuando a chiamarlo Maestro: Maestro, cosa facciamo?, La barba rispose lui. Il barbiere spunta qua e là qualche pelo, gli pettina la barba e i capelli, lo inonda di profumo, gli toglie il telo, lo spazzola e indietreggiando lo invita col gesto della mano ad alzarsi. Una volta in piedi Carta chiede al barbiere quanto deve pagare e il barbiere: Maestro, offre la casa! Carta, per tutta risposta, rivolgendosi a me, mi chiede diecimila lire (siamo negli anni Settanta, lo stipendio medio non superava le 100 mila lire), io gli do le dieci mila lire e lui con nonchalance le porge al barbiere dicendogli: Si prenda un caffè (il costo del caffè si aggirava sulle 50-60 lire). Il barbiere stupito e incredulo non capisce, ma incassa lo stesso, riprende a spazzolarlo e a fare inchini e con una mano gli apre la tenda. Io, dopo questa scena non potevo deludere i due spettatori, il barbiere e il cliente gentile, che dall’interno del Salone guardavano estasiati, e prima di mettermi alla guida faccio la mia parte, apro lo sportello del passeggero, faccio salire in macchina Sebastiano e solo dopo avergli chiuso lo sportello mi metto alla guida, dirigendomi a tutto gas verso la Galleria, dove ci aspettava una folla di gente per il taglio del nastro, con tanti amici preoccupati per il nostro ritardo. Dopo l’inaugurazione e qualche bicchiere di vino, Carta fu invitato a recitare una sua poesia dal Libro cortese, quindi prese posto al centro della Galleria e noi tutt’intorno. C’erano Lia Pasqualino Noto, Nino Buttitta, Flora Buttitta, Francesco Carbone, Ignazio Apolloni, Lillo Rizzo, Enza La Tona, Vincenzo Drago, i suoi amici poeti Ignazio Buttitta, Giacomo Giardina e Castrense Civello, venuti da Bagheria, c’era il critico d’arte Franco Grasso, lo scultore Disma Tumminello, il pittore Guido Colli e molti altri artisti, qualcuno venuto persino da Priolo, suo paese d’origine, ma soprattutto c’erano tanti bagheresi, fra i quali Carta era popolarissimo. Carta aprì il libro e iniziò a leggere una poesia, ma già al secondo capoverso si addormentò in piedi con il libro aperto tra le mani. Qualche istante dopo, uno scrosciante applauso riportò Carta alla realtà e fu grande festa.
Lo ricordammo nel 1979 a Bagheria, a sei anni dalla sua morte e, per l’occasione il poeta Giacomo Giardina scriverà: ... In sintesi esalto la sua pittura rivoluzionaria satirica spesso umoristica amara che colpisce gli stati d’animo saettanti musicali. Sebastiano amò Bagheria da vicino lontano ispirandosi ai mostri ai vini forti che lo addomesticarono per sempre. La Galleria Pagano orgogliosa mostrarlo e commemorarlo tra noi stasera.
Sebastiano Carta, siciliano di Priolo aderisce al Futurismo e ad appena vent'anni, dopo aver ricevuto l'apprezzamento di Marinetti si trasferisce a Roma. Produce tavole parolibere (1933), espone da Bragaglia e firma nel 1936 il Manifesto della Poesia Murale. Poeta, pittore, attore, nel 1944, terminata l'esperienza futurista, insieme a Dorazio, Zavattini, Guttuso fonda la “Casa Rossa”, gruppo di cultura antiborghese, legandosi di amicizia con Roberto Melli e Antonio Marasco. Negli ultimi anni si lega d’amicizia a Ezio Pagano e trascorre lunghi periodi a Bagheria. Morirà a Roma nel 1973.
Ezio Pagano
Foto - da destra: Vincenzo Drago, Ezio Pagano e Sebastiano Carta. Hotel Zagarella, Santa Flavia, 1971