Il ferroviere di Bagheria e il delitto Notarbartolo - di Biagio Napoli (Prima parte)

Il ferroviere di Bagheria e il delitto Notarbartolo - di Biagio Napoli (Prima parte)

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IL TRENO  DELLA  MORTE.

Giuseppe Carollo entrò in ferrovia, come guardafreni, nel 1875, giovanissimo. Infatti, quel giovedì primo febbraio del 1893, quando in uno scompartimento di prima classe del treno n. 3, nel tratto Termini-Trabia,

venne assassinato il commendatore Emanuele Notarbartolo, marchese di San Giovanni, e poi gettato su un ponte a due passi da Altavilla (1), egli aveva trentacinque anni.

Era un uomo “magro e basso di statura” e aveva “due baffetti sottili”; adesso svolgeva mansioni di conduttore e controllore e quella sera era in servizio.

Alla stazione di Cerda “un uomo alto e barbuto, con gli occhiali”, stava per salire nello stesso scompartimento del commendatore, “già teneva un piede sul predellino” e aveva “la mano alzata per aprire lo sportello”. Il conduttore era lì per impedirlo e gli fece segno di salire in un altro scompartimento.

Il treno giunse alla stazione di Termini Imerese e l’uomo in divisa, fermo sulla banchina ancora una volta di fronte allo scompartimento del commendatore, “con in mano la lanterna delle segnalazioni, sembrava che montasse la guardia alla carrozza di prima classe”.

Stavolta, però, aveva un duplice compito: impedire che in quello scompartimento salisse chi non doveva, indicarlo a chi, invece, bisognava che vi salisse. Si trattava di “due uomini vestiti di scuro con i cappelli rigidi calcati sopra le orecchie” usciti dalla sala d’aspetto non appena il treno s’era mosso. A questi indicò dov’era Notarbartolo (2).

Essi salirono e lo pugnalarono; poi, oltrepassata Trabia, dove pure s’erano fermati (ma vigilava il conduttore), aprirono lo sportello dello scompartimento e lo spinsero fuori in modo da fargli sbattere la testa contro la spalletta laterale del ponte, si fratturò il cranio (ma era già morto). Una casellante che vide tutto si coprì la faccia con le mani, Margherita Romano non parlò né allora né dopo ma da ragazza aveva cognome Carollo, cugina del controllore  conduttore; il Romano, suo marito, le disse di non fare schiuma su quel fatto o ammazzavano pure loro.

Il treno, quando stava per arrivare ad Altavilla cominciò a rallentare, gli assassini ne scesero, furono visti allontanarsi alla coda delle vetture, andarono a lavarsi e cambiare gli abiti intrisi di sangue nel vicino fondaco, dov’erano attesi (3). Arrivato intanto a Palermo, Giuseppe Carollo lasciò il servizio e andò a casa. Anche se, per lui, non poteva essere una serata tranquilla.

Il commendatore Notarbartolo tornava in città da un suo podere; da Mendolilla, in territorio di Caccamo e sulle rive del fiume Torto, dov’era la sua proprietà, andò a Sciara. Poiché era una bella giornata , vi si recò a cavallo (a Termini, invece, sarebbe piovuto), passò il pomeriggio a veder gente. Andò poi a cavallo anche alla stazione ferroviaria, chi lo accompagnava si riprese la cavalcatura, salito sul treno sistemò il fucile dentro la reticella portabagagli.

Lo aveva scaricato perché sul treno si sentiva già a casa e un’aggressione non poteva immaginarla. Si sedette e cominciò a dormicchiare; in città lo attendevano, in carrozza alla stazione, come avveniva ogni volta che tornava dalla campagna, la moglie e le due figlie. Naturalmente non arrivò mai.

UN  UOMO  RETICENTE.

Della scomparsa fu avvertito direttamente il prefetto che “fece la girata al questore”; costui, “presi con sé alcuni satelliti, accorse alla stazione. Dov’è il treno? Gira di qua; gira di là; fu ritrovato... si cerca la carrozza...ed essa non tarda a rivelare il mistero...sui cuscini una vasta macchia di sangue, spruzzi di sangue dovunque; sul vetro la tragica impronta di una mano insanguinata... dov’è il conduttore? A casa sua? Due angeli custodi sono spiccati a rilevarlo. Arriva il conduttore Carollo, di Bagheria. Egli attesta che in quel compartimento viaggiava Notarbartolo. -Solo?

-Solo fino a Termini; a Termini salirono altri due viaggiatori. -Li riconoscereste? -Non so; andavo tanto di fretta! -E dove sono scesi? -Non so; non li ho più veduti. -E non vi siete accorto che erano scomparsi e che era scomparso Notarbartolo? -Non ci ho badato. -E questo compartimento? Chi ha fatto la visita, dopo l’arrivo, per accertare che tutto fosse in ordine e nulla guasto?

-L’ho fatta io. -E come mai non vi siete accorto di questa rovina? -Non so, avevo fretta di andarmene a casa. Non ci ho fatto caso”.

L’uomo “appartenente ad una famiglia di briganti e manutengoli”, è “asciutto, pallidissimo, occhi cavi, labbra fini e serrate. Quell’uomo possedeva fino all’inverosimile l’energia del silenzio” (4).

A Palermo Giuseppe Carollo non rispondeva alle domande e si trincerava, circa la scomparsa del commendatore, dietro i suoi “non so”; sulla linea ferroviaria, subito dopo la stazione di Trabia, già era stato rinvenuto il cadavere di un assassinato. Si collegarono, anche se non proprio subito, le due cose: il morto era Emanuele Notarbartolo? Quella notte il cadavere rimase tuttavia sul ponte Curreri; lo vegliarono, forse stendendosi per terra e addormentandosi, due carabinieri.

Al mattino successivo, alle sette e trenta e col sole appena alzato, dopo tredici ore dal delitto, il barone Alessandro Minneci, recatosi su quel ponte, identificò i resti dello zio. A quel punto la polizia, coadiuvata dai funzionari delle Ferrovie Sicule, dispone la sua brava inchiesta. Che fa Giuseppe Carollo? Afferma di avere controllato i biglietti a quei due che, a Termini, erano saliti nello stesso scompartimento del commendatore, il primo della sua carrozza.

Gli contestano che, in quella stazione, non è stato staccato alcun biglietto di prima classe. Dei viaggiatori di quella classe uno, che occupava lo scompartimento di mezzo, era l’ ingegnere delle ferrovie Gaetano Sindona, mentre altri occupavano il terzo scompartimento dove era andato anche Giovanni Raineri, grosso commerciante d’armi salito a Termini ma con un biglietto d’andata e itorno staccato a Palermo.

A questo signore lo stesso Carollo aveva controllato il biglietto, il commerciante d’armi lo aveva consegnato, c’era il foro rotondo della sua pinza, gli altri controllori avevano pinze che facevano fori di forma triangolare.

E dunque? Giuseppe Carollo si confonde. Potrebbe essere complice dei due assassini che ha fatto salire senza biglietto e nel primo scompartimento, quello occupato dal commendatore.

Viene arrestato; sono passati cinque giorni da un delitto che era stato organizzato davvero per bene: bastava che la vittima restasse sola, e poichè i tre scompartimenti della carrozza non erano comunicanti, gli assassini avrebbero potuto agire del tutto indisturbati.

Pure lo uccisero nel tunnel che c’è lasciata Termini col fragore e nel rimbombo che nascondevano agli scompartimenti vicini i rumori della colluttazione, le grida del ferito. E per ammazzarlo, nel chiarore azzurrino dell’illuminazione ad olio, quei due dovettero colpirlo ventisette volte. Ora, in mancanza di mandanti e killer, si arrestava uno senza la cui complicità non si sarebbe potuto consumare il delitto.

Emanuele Notarbartolo

GLI  ALTRI  COMPLICI.

Gli assassini, tuttavia, tra i ferrovieri avevano almeno altri due complici. Uno era il guardasala di Termini Imerese, tale Francesco Comella, che aveva, anche lui, il compito di controllare i biglietti dei viaggiatori in partenza. Non disse le stesse cose che aveva detto Giuseppe Carollo?

Ma, alle stesse obiezioni, se ne uscì dicendo che, forse, quei due che erano saliti a Termini, furbi, li avevano presentato dei biglietti scaduti e magari non se ne era accorto. L’altro complice, Pancrazio Garufi, era invece il frenatore del vagone di coda. Dal suo posto, appunto alla coda del treno, avrebbe potuto vedere, avvertire, far scoprire subito l’assassinio; disse di non aver visto ma...avrebbe, appunto, potuto vedere, non poteva che essere della partita. C’era dell’altro comunque. Perché il Garufi, se non vide, impedì ad altri di vedere quello che sarebbe accaduto presso il ponte Curreri. Un giovanetto, Marino Longo si chiamava ed era figlio di ferroviere, viaggiava nel penultimo vagone di quel treno, era un vagone senza scompartimenti, tipo pulman, e aveva due terrazzini, uno sull’avanti e uno dietro. Ebbene su quest’ultimo terrazzino s’era affacciato quel ragazzo e il Garufi lo aveva minacciato di sequestrargli la tessera con cui viaggiava gratis se non fosse rientrato. Altri due complici dunque!

Tuttavia, rispetto ad essi, il ruolo del Carollo era sicuramente maggiore. E se il conduttore andò in galera gli altri, almeno all’inizio, non ci andarono. Il Garufi, per esempio, se ne stette tranquillo ancora alla fine di quell’anno e il Comella, peraltro, andato al creatore, sarebbe uscito definitivamente di scena.

Alfredo Cervis, quell’ispettore di P.S. il cui rapporto su Raffaele Palizzolo mandante del delitto subito venne fatto scomparire (come tanti altri del resto), a proposito del conduttore Carollo, confermando quanto già sappiamo, dice ch’egli era “uomo di panza” e “apparteneva a una nota famiglia di mafia”. Mandato a Girgenti per servizio vi trovò “capo mafia lo zio del Carollo” (5).

IL  BANCHETTO  ALLA  MONTAGNOLA.

Passano due mesi precisi e il primo di aprile, a Villabate, nella proprietà del deputato Raffaele Palizzolo, si tiene un banchetto. Vi partecipano, oltre al padrone di casa, i capi mafia, i leoni di Trabia, Villabate, Monreale e Palermo ( Albergheria, Capo, Fieravecchia ). L’onorevole padrino è colmo d’orgoglio per avere tutta quella bella gente alla sua tavola. Il leone di Villabate, don Giuseppe Fontana, è l’assassino, o meglio, uno degli assassini del commendatore Notarbartolo, l’altro essendo stato tolto di mezzo col veleno nel caffè perché inaffidabile.

Oltre che parlare della eliminazione di costui, cioè del malacarne Lauriano, durante il banchetto si brinderà alla riuscita di quell’impresa sul treno e di Giuseppe Carollo si parlerà, di uno che in quel momento si trova in galera, rischia l’ergastolo, ma ha la bocca cucita. Si è provveduto per il ferroviere? A quanto pare gli sono state date soltanto mille lire; ma Carollo ha quattro figli piccoli e una moglie e questa in giro comincia a dire che il marito è in carcere per coprire qualcun altro. Bisogna sostenere quella famiglia, sborsare due o tremila lire, almeno fino al processo, o a Carollo la testa può fargli dire di vuotare il sacco. Ma il leone dell’Albergheria dice: “Carollo non parlerà, nemmeno se lo condanneranno all’ergastolo. Ne rispondo personalmente. E’ un uomo d’onore, come lo erano suo padre Santo e suo nonno Carmelo” (6).

L’ ALIBI  DEL  PRESUNTO  ASSASSINO.

L’istruttoria, condotta da gente pavida o, addirittura, collusa, termina con un nulla di fatto. Raffaele Palizzolo non è mai stato interrogato e il confronto di Giuseppe Fontana con Salvatore Diletti che dice di averlo veduto dentro lo scompartimento del commendatore ucciso, dalla banchina a Termini mentre il treno cominciava a muoversi, non c’è neppure stato. Il capo mafia ha presentato un alibi cui polizia e magistratura hanno prontamente creduto: la sera del delitto, per un commercio di agrumi, si trovava in Tunisia (7). Figurarsi! Fu visto ad Altavilla sia prima che dopo il delitto, a Ficarazzelli fu visto, sul treno, che parlava col ferroviere di Bagheria, a Villabate dove la sera si recava nella bettola d’un cugino suo omonimo e vi stava con gli altri della cosca, a Marsala uno o due giorni dopo il delitto in una piccola locanda ma per partirvi andando per mare, stavolta sì in Tunisia. Nella locanda di Marsala non si trattenne infatti, perché subito venne a rilevarlo un proprietario di barche.

Lo videro dunque in tutti quei posti ma, soprattutto, ci fu un giovane francescano, parroco di Nabeul da cui dipendeva Hammamet, che affermò come il Fontana non si trovasse in Tunisia durante quei giorni. Don Guttilla disse che il mafioso aveva noleggiato un legno a vela, la “Concettina”, che andava a Susa, dove non arrivò mai, e, invece, fece sicuramente scalo in Sicilia.

Inoltre, lo abbiamo già detto, quel killer fu visto a Termini, alla stazione, sul treno n. tre che andava a Palermo, in piedi a guardar fuori nello scompartimento del commendatore: che volto truce aveva, sicuro meditava una brutta idea!

Salvatore Diletti, vicecapo stazione, dando il segnale di partenza aspettava di vedere l’ingegnere delle ferrovie che sapeva sul treno, naturalmente in prima classe, per salutarlo; e invece il suo sguardo fu calamitato dall’espressione terribile di quell’individuo che gli diede un senso di tristezza. In una lettera del 4 febbraio alla Commissione d’inchiesta diede i connotati dell’assassino e tre giorni dopo venne ascoltato. Tutto finì lì.

IL  FERROVIERE  CAROLLO E  UN  ASSISTENTE  FARMACISTA.

L’alibi del mafioso non viene smontato, il ferroviere di Bagheria viene prosciolto e scarcerato il 10 agosto 1895. Anche Pancrazio Garufi viene liberato. Giuseppe Carollo si trasferisce a Catania. Dopo quasi due anni, il 28 aprile 1897, lo ritroviamo però nuovamente a Palermo; e in casa di Raffaele Palizzolo. Un farmacista, Paolo Costanzo, rappresentante della categoria, andatosi ad informare su ciò che l’onorevole avesse ottenuto alla Camera nell’interesse degli assistenti farmacisti, nel salotto dove era stato invitato ad attendere, aveva ascoltato l’interessante conversazione che si svolgeva nella stanza accanto.

Due voci aveva riconosciuto: quella dell’onorevole Palizzolo e quella, “che aveva un timbro del tutto particolare” e che, secondo lui, apparteneva al ferroviere Carollo. Conosceva bene quest’ultimo perché egli “aveva lavorato per anni in una farmacia di via Sant’Antonino, quasi di fronte alla stazione ferroviaria, e Carollo era stato uno dei suoi clienti più assidui, un po’ perché era - o si credeva di essere- pieno di malattie, e un po’ perché quella bottega di farmacista era un luogo di ritrovo abituale, a Palermo, per il personale fuori servizio delle ferrovie siciliane”. Almeno fino a quando Carollo non si era trasferito a Catania. Cosa dicevano i due? Di sicuro l’oggetto della conversazione era il delitto Notarbartolo tornato agli onori della cronaca da alcune settimane.

Il ferroviere sembrava disperato; per gli amici si era fatto la galera e temeva di dovervi ritornare. Ma ora aveva non più quattro ma sei figli. Palizzolo parlava invece di soldi, di arretrati che gli avrebbe fatto corrispondere dalle ferrovie e di duemila lire che gli dava adesso, tornasse a Catania tranquillo, avevano “santi in paradiso e amici dappertutto”. A Catania. Tornare a Catania. In quella città lo avevano pestato, disse. Poi uscirono dalla stanza e il farmacista lo riconobbe (8).

Cos’era avvenuto?   CONTINUA....

NOTE

(1) Il delitto avvenne in quel tratto, e non dopo, perchè:
-Il casellante Tomasello Rosario, in una cunetta della linea ferrata, nei pressi del casello n. trentadue, cioè un po’ prima di arrivare alla stazione di Trabia, trovò una delle armi omicide, il coltello a lama triangolare intriso di sangue. Il pugnale bitagliente, invece, non si trovò mai.
-Dalla stazione di Trabia al ponte Curreri, dove il cadavere fu rinvenuto, il treno percorse un tratto di un km. e novecentoottanta metri impiegando due minuti. Agli assassini sarebbe mancato il tempo per aggredire quell’uomo, ucciderlo e gettarlo fuori dal treno.

(2) Sebastiano Vassalli, Il cigno, Einaudi, Torino 1993, pp. 7-11

(3) Quel fondaco era situato presso la stazione ferroviaria, in un punto però isolato e tale da poter servire come primo rifugio per i sicari. La polizia vi rinvenne indumenti macchiati di sangue. Ma, forse per depistare, c’erano stati messi dopo la perquisizione che i carabinieri, per proprio conto, avevano eseguito trovando, anche loro, capi di vestiario insanguinati. I misteri di quella casa e il ruolo di Andrea Barone e Angela La Monica, proprietari di essa, non furono mai svelati.

(4) Leopoldo Notarbartolo, Memorie della vita di mio padre Emanuele Notarbartolo di SanGiovanni, Tipografia Pistoiese, Pistoia 1949, pp. 282-283. Molte pagine di queste Memorie( pp. 165-182 ) sono dedicate al racconto del sequestro paterno, avvenuto quasi undici anni prima. Infatti il 12 aprile 1882, mentre da Mendolilla si recava alla stazione di Sciara (anche quella volta) a prendervi il treno, Emanuele Notarbartolo fu catturato dalla banda Rini.Verrà liberato il 18 aprile dietro pagamento d’un forte riscatto. Cinque erano i briganti, quattro travestiti da bersaglieri, uno da carabiniere. Quest’ultimo, il brigante Rotino, era di Bagheria, come Giuseppe Carollo. Catturato il 29 maggio, avrà la galera a vita.

(5) Paolo Valera, L’assassinio Notarbartolo e le gesta della mafia, G. Nerbini Editore, Firenze 1899, ristampa anastatica 1977, p. 300. Della banda fu anche uno che con la ferrovia nulla aveva a che fare. Quella sera una donna, Santa Sorge, col figlio, tornava a piedi lungo i binari, dalla stazione di Trabia al suo casello, ch’era un po’ più avanti rispetto al ponte. E qui trovò un uomo ansante che si sollevava dal cadavere. Giuseppe Sanfilippo, guardia campestre d’Altavilla, dirà che, recandosi a Trabia a comprar viveri, s’era imbattuto in quel morto. Incredibile: aveva abbandonato il servizio di guardia per fare dodici chilometri a piedi e, per giunta, stava per fare scuro , magari a Trabia trovava i negozi chiusi. Perché non farli ad Altavilla quegli acquisti? Si giustificò parlando d’un prestito che il fratello, che stava a Trabia, doveva fargli. E invece fu sospettato di essere lì ( per questo, affaticato, ansava ) a nascondere il cadavere in qualche anfratto sotto il ponte Curreri per ritardarne la scoperta o a trascinarlo sulle rotaie perché il treno successivo ( ormai dell’indomani essendo quella del delitto l’ultima corsa ) lo dilaniasse rendendolo irriconoscibile. Il sopraggiungere della casellante non glielo permise. Suonò il corno per richiamare altre guardie e, quando ne giunsero altre due, si dileguò. In seguito, quando sarà cercato, non lo si troverà. Aveva avuto tutto il tempo per fuggirsene in America.

(6) Vassalli, op. cit., pp. 15-22

(7) L’aria che tirava era particolarmente favorevole all’onorevole Palizzolo e alla mafia che egli rappresentava. Giovanni Giolitti, nel dicembre del 1893, aveva ceduto il governo a Francesco Crispi. E Raffaele Palizzolo era, per il momento, filo crispino.
Crispi aveva portato lo stato d’assedio in Sicilia, faceva sparare sui lavoratori dei Fasci, li arrestava e ne faceva incarcerare i dirigenti. Magistratura e forze di polizia avevano impegni più gravosi che dedicarsi seriamente all’assassinio del treno, per quanto eccellente.