Per una scuola indisciplinata e multirazziale - di Maria Luisa Florio

Per una scuola indisciplinata e multirazziale - di Maria Luisa Florio

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Un’Italia ferma da vent’anni su posizioni retrograde ed etnocentriche. Colpa di una politica sorda ai richiami di una società sempre più multiculturale. Una situazione che si riflette anche a scuola, dove quasi nulla è stato fatto per garantire vera integrazione e intercultura. Una riflessione per una scuola più aperta alle esigenze del reale ce la offre Giusto Catania, ex deputato di Rifondazione Comunista al Parlamento europeo (attualmente assessore a Palermo nella giunta Orlando), nel suo ultimo libro: A lezione di antirazzismo. Elogio della scuola indisciplinata, interculturale e di frontiera, Istituto Poligrafico Europeo Casa Editrice, 154 pp. 12 euro.

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Meno nozionismo e più cittadinanza attiva, è questa la ricetta per la scuola interculturale e di frontiera che Catania, nelle vesti di neo Dirigente Scolastico, delinea nel suo interessante saggio. Invece, “L’Italia manca di un’idea di scuola e mostra un proliferare di pulsioni razziste e xenofobe”.

Eppure una circolare del 1994 aveva chiaramente espresso un’apertura verso una vera integrazione in cui si legge che “ l’educazione interculturale nelle sue articolazioni costituisce la risposta educativa alle esigenze delle società multiculturali.” Circolare per lo più disattesa e poi dimenticata dalle varie riforme, in primis quella Gelmini, miranti al contenimento della spesa pubblica con tagli selvaggi e istituzionalizzazione del precariato. La scuola non può limitarsi alle nozioni e alle competenze, continuamente richieste anche dall’assillo INVALSI, ma, come sottolinea Catania, deve preparare gli alunni ad essere cittadini del mondo. 

Così come prevedono le otto competenze chiave che dovrebbe avere ogni studente italiano al raggiungimento del 15 esimo anno di età. Competenze che vanno dal progettare, elaborare e realizzare progetti ad individuare collegamenti e relazioni tra fenomeni, eventi e concetti diversi, passando per una lettura critica delle informazioni acquisite. Più parole che fatti: quante istituzioni scolastiche, infatti, possono oggi in Italia vantare tale traguardo? Ma soprattutto: quanti quindicenni di oggi mostrano di avere tali capacità analitiche? Eppure, tali competenze possono maturare solo in una scuola che insegni a pensare la complessità, che aiuti l’incontro, promuova la multiculturalità.

Che ce ne facciamo di un diplomato con 100/100 se è poi omofobo e razzista? Solo una scuola multiculturale può dare la possibilità di ampliare le prospettive, educare alle differenze. In ogni caso è questa la scuola del futuro sia perché abbiamo bisogno di alunni stranieri, sia perché la cronaca del quotidiano ci consegna la realtà di un’ Europa sempre più terra di immigrati.

E in questo, certamente, i media in Italia non aiutano, creando, spesso, inutili allarmismi, con cronache che, nel migliore dei casi, inducono all’intolleranza e rendono ancora più difficile, anche nell’immaginario collettivo, la costruzione di una vera politica di accoglienza. Che fare dunque? Innanzi tutto cercare di allargare il proprio concetto di identità a qualcosa che è in continuo divenire, che può solo arricchirsi del contributo delle altre culture. Smetterla con l’etnocentrismo, promuovere la formazione permanente, aprirsi alla contaminazione culturale. A tal riguardo, potrebbe essere utile, per i docenti, un piccolo esperimento che l’eretico neo Dirigente propone a chiusura del suo libro: sospendere per un mese il programma delle materie letterarie e leggere in classe gli autori stranieri contemporanei che scrivono nella nostra lingua.

Ne propone anche una piccola e interessante antologia alla fine del libro. Un modo per uscire anche dai compartimenti stagno delle discipline e dei programmi. Ed è questo il significato e il senso di una scuola indisciplinata e, in buona parte, del saggio in questione. Una lettura interessante per genitori, docenti e anche per coloro che intendono affrontare il prossimo concorso per Dirigente Scolastico. Tutti, infatti, debbono concorrere alla formazione di una scuola che deve fare politica nel senso più alto del termine: costruire il cittadino della grande polis del futuro.

Maria Luisa Florio