Ricostruiamo i primi giorni di quel mese di aprile 1860 quando “Bagheria vivrà la peggiore Pasqua della sua storia”. ( 1 ) Teatro di quanto avvenne furono la casina Inguaggiato nel corso Butera ( allora stradone grande ) e la torre Ferrante, nei pressi dell’Arco del Padreterno. Il 4 aprile c’era stato il fallimento della rivolta antiborbonica al convento della Gancia di Palermo. Tuttavia, nonostante quel fallimento, i tempi erano ormai maturi e i paesi attorno alla Capitale, Bagheria fra i primi, erano in fermento. Non certo perché lo fossero i galantuomini, la classe borghese; lo erano invece gli elementi del popolo e, tra questi, taluni delinquenti che ritennero giunto il momento di prendersi anche le loro vendette nei confronti di rondieri e compagni d’armi, cioè di quelli che per loro erano sbirri. In paese non c’era autorità in quei giorni perché il giudice regio, don Guglielmo Capozzo, aveva ritenuto opportuno andarsene portando con sé, ovviamente, la famiglia mentre il sindaco, don Giuseppe Farina, abbandonato dai decurioni, aveva chiuso il Municipio.
L’unico scampolo di potere è rappresentato dalla truppa borbonica acquartierata nella casina Inguaggiato. E’ là che si andranno a rifugiare rondieri e compagni d’armi. Sono le nove del mattino del 5 aprile e Giuseppe Sparacino, di anni 44, rondiere, viene ammazzato a colpi di fucile. Non è che l’inizio: i soldati si barricano dentro il palazzo in attesa di rinforzi da Palermo, inizia l’assedio. Si spara dalle due parti . Nel pomeriggio un nuovo morto. Sono le quattro e stavolta viene colpito uno dei rivoltosi, Antonio Speciale, di anni 22. Passerà solo un’ora perché muoia, tra gli assediati, Francesco Raspanti, di anni 55, rondiere. Il primo giorno di scaramucce tre morti. Quella notte non succede altro. Bisogna attendere le tre del pomeriggio del giorno successivo perché ci sia un altro morto, Pietro Salamone, di anni 53, ex compagno d’armi. A questo punto la truppa, per rompere l’assedio, tenta una sortita; si avrà un vero e proprio scontro, muoiono Ignazio Morana, di anni 20, da Casteldaccia e Giacomo Pietrasanta, di anni 36, della Milicia. Ma i borbonici vengono ricacciati dentro, di essi ne muoiono quattro, non si conoscono i loro nomi, i feriti sono numerosi ed “è certo che quel giorno, di sangue, la polvere dello “Stradone Grande” ebbe ad assorbirne copioso, da una parte e dall’altra”. (2) Questo resoconto, con gli uccisi, lo dobbiamo a Nicola Previteri .(3) Ma Francesco Michele Stabile, che ha consultato il libro dei defunti (APM Ba, vol. 116) ne dice le mogli, se sposati, o i genitori in caso contrario, e ne aggiunge altri due, Salvatore Cuffaro, di anni 24 e un altro di cui in quel libro il nome non risulta. Non precisa lo Stabile da quale parte combattessero e, altra differenza, quelle morti erano tutte avvenute il 5 di aprile. (4) Il 7 e l’8 aprile non succede niente, la truppa è affamata, giunge da Palermo il generale Surry con 2000 uomini, avviene il fatto di torre Ferrante.
Sappiamo che, anche a proposito della operazione Surry, si inserisca in essa o meno lo scontro presso il Padreterno, esiste un problema di date. Il Surry a Bagheria vi giunse, come scrive il Previteri e come noi abbiamo riportato, l’8 di aprile, giorno di Pasqua? (5)
E fu quel giorno che i Coffaro, padre e figlio, con le moglie e l’artificiere Giacomo Restivo attaccarono una colonna borbonica? La Guida Bagheria-Solunto ( 1911 ), molto prima di Previteri, e affermando di raccontare la verità dei fatti avendola raccolta “con indagini e per interviste locali presso uomini tuttora viventi e che presero parte ai moti rivoluzionari”, ( 6 ) scrive che lo scontro si era verificato il 9 aprile, giorno di Pasquetta. Il resoconto che ne farà successivamente Oreste Girgenti si basa su quanto scritto nella Guida.
Leggiamo dunque Girgenti: “Il 9 aprile dal palazzo Inguaggiato uscì una colonna di soldati borbonici e, percorrendo un tratto del corso Butera, si immetteva dai “tre portoni” nella via Palagonia sparando fucilate. Superato l’Arco del Gigante della “cappella del Padreterno”, la colonna nemica venne attaccata da un serrato fuoco di fucileria e bombardata dai Coffaro e dai Restivo…”. (7) Conosciamo il destino dei Coffaro. Il giovane Giuseppe, appostato sulla terrazza della torre Ferrante, (foto a sinistra) venne colpito a morte. Andrea Coffaro, la moglie e la nuora, vengono arrestati. Queste ultime, secondo la Guida, quando il Coffaro sarà condotto a Palermo per essere rinchiuso nella fortezza del Castello a mare “vengono, nella via Consolare sotto Cattolica, rimesse in libertà ed allontanate fra uno strazio indicibile”. (8) Alle otto antimeridiane del 13 aprile, nello stesso luogo dove il nostro era detenuto, si riuniva il Consiglio di guerra per un processo farsa. La sentenza, che stabiliva la pena di morte, fu pubblicata alle cinque del mattino successivo. L’esecuzione della condanna doveva avvenire dopo undici ore di cella. Così avvenne: la sentenza venne infatti eseguita alle quattro precise del pomeriggio di quello stesso giorno 14. Quel processo farsa aveva riguardato altre dodici persone, gente del popolo, che avevano partecipato alla rivolta della Gancia. La morte li coglierà davanti la non più esistente porta San Giorgio in quella che, dopo di allora, prenderà il nome di piazza Tredici Vittime. “Poscia raccolti i cadaveri in tre carrette li tra- scinarono per tutte le vie di Palermo a ludibrio degli insorti ed a spavento della popolazione”. (9) E Giacomo Restivo? Leggiamo nella Guida: “Intanto le bombe sparate dal Restivo decidono sulle sorti di Bagheria: il presidio scemato e ferito di fronte al fuoco del baldo fuochista, si raccoglie e si ritira”. (10) L’artificiere sarà dunque l’unico a non perdere la vita; c’è, a Bagheria, una strada a lui dedicata, si trova tra la via Bixio e la via Del Cavaliere, vicino alla via Fuxa e alla via dedicata a Pietro Inserillo morto, quest’ultimo, nella battaglia del ponte dell’Ammiraglio, il 27 di maggio. Giacomo Restivo è perciò in ottima compagnia. Anche ad Andrea Coffaro è stata dedicata una strada ( ma non, per quello che ne sappiamo, a Giuseppe). Ancora un’altra cosa ci risulta e cioè che, a villa Cutò, tra i cimeli conservati, cè la camicia rossa di Giacomo Restivo che, evidentemente, divenne dopo poche settimane , garibaldino. C’è da chiedersi, a questo punto, se la scaramuccia antiborbonica organizzata nei pressi del Padreterno sia stata qualcosa di più della semplice difesa di una proprietà agricola dalle devastazioni della truppa borbonica. ( 11 )
Note
1)Nicola Previteri, Verso l’unità. Gli ultimi sindaci borbonici di Bagheria. Assessorato ai Beni Culturali del
Comune di Bagheria, Bagheria 2001, p. 270.
2)Ivi, p. 271.
3)Ivi, pp.267-274.
4)Francesco Michele Stabile, La parrocchia della Bagaria dallo spazio del principe al patronato municipale
( 1708-1858 ) in Le acque del Salvatore nel villagio di delizie della Bagaria, a cura di Rosario Scaduto e
Francesco Michele Stabile, Provincia regionale di Palermo, 2009, p. 70, nota n. 264.
5) “Nel Comune di Bagheria alloggiavano tre compagnie d’un reggimento di linea. Ai primi rumori degli
abitanti si chiusero, apparecchiate a resistere…nella notte del 5 un intero battaglione movea con cannoni
a liberarle e ricondurle in Palermo…”. Isidoro La Lumia, La restaurazione borbonica e la rivoluzione del
1860 in Sicilia dal 4 aprile al 18 giugno: Ragguagli storici, Palermo 1860, pp.54-55 ( on line ); “Il giorno
sette, nella lusinga di dividere le forze degli insorti, un battaglione di fanteria comandato dal generale
Sury uscì dalla città per assaltare il villaggio della Bagheria”. L’insurrezione siciliana ( aprile 1860 ) e la
spedizione di Garibaldi, per cura di L.E.T, Milano 1860, p. 63 ( on line ).
6)Bagheria-Solunto Guida illustrata, Edizioni “Casa di Cultura “, Bagheria 1911, Ristampa anastatica
1984,pp. 23-24.
7)Oreste Girgenti, Bagheria origini e sue evoluzioni, Edizioni Soleus, Bagheria 1985, p. 205.
8)Bagheria-Solunto, op. cit., p. 26.
9)Giovanni La Cecilia, Storia dell’insurrezione siciliana, vol. I, Milano 1860, p. 52 ( on line ).
10)Bagheria-Solunto, op. cit., p.26-27.
11) “Andrea Coffaro non aveva abbandonato il suo posto di guardia nella tenuta della famiglia Viola.
Il suo compito di “castaldo” era di vigilare sulla proprietà facente capo ad una torre merlata, la secen-
tesca torre Ferrante, dove abitavano i suoi familiari: costituiva il centro di un grande fondo agricolo,
posto in località “Case Vecchie” ( oggi ad angolo con via Ciro Scianna )”. Giulia Sommariva, Bagaria il
territorio e le ville, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2009, p. 87.
Biagio Napoli - Ottobre 2012
Ringrazio Antonino D’Amico per avermi segnalato l‘illustrazione dei “Tre portoni “ risalente al 1860 Invitandomi a pubblicarla.