Un eterno presente - di Giusi Buttitta

Un eterno presente - di Giusi Buttitta

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Pubblichiamo un articolo inedito scritto da Giusi Buttitta un paio d'anni fa per la presentazione d'una mostra (mai realizzata) dell'artista Bartolomeo Maria "Lillo" Rizzo.

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Artista. E’ questa la definizione ultima da attribuire a Lillo Rizzo, dopo aver osservato le sue opere, dopo aver scavato nella sua biografia. Semplicemente - o se si vuole, definitivamente -artista. Un caso tutt’altro che frequente, dove l’opera richiama un modo di intendere l’arte che sottintende un approccio assoluto, privo di compromessi. Verrebbe da dire: puro.

L’arte di Lillo Rizzo è un’arte che non si fa mai artigianato, che non flirta con i gusti del pubblico, che non accondiscende, che rifiuta ogni compromesso con il mercato, che non si pone la questione dell’essere compresi e popolari. La produzione artistica di Lillo Rizzo è rigida e si confronta soltanto con la vena espressiva dell’artista.

Un dissidente non disponibile a piegarsi alle logiche di mercato che sottopongono l’arte alle stesse leggi di una produzione tout-court. In questo senso,impressiona la definizione che Rizzo, riferendosi al movimento siciliano, da delle gallerie d’arte, definendole “putie” (piccoli negozi di alimentari e mercanzie varie), colpisce, e rassicura, questo sano, ed oggi inusuale, disprezzo per il mercato, non tanto sotto l’aspetto ideologico o di principio, quanto sotto l’aspetto dell’integrità, si è certi che quello che mostrano i quadri di Lillo Rizzo è pura arte, e basta, intendendo con ciò la necessità espressiva, l’assecondare una pulsione creativa senza dover fare i conti con altro, nemmeno col messaggio.
Lo stesso artista ebbe modo di affermare “non ho la pretesa di raccontare nulla, meno ancora di spiegare qualcosa” e in questa essenzialità dell’arte che è, che si attesta senza nessun altra ricerca.

E’ questo che rende unica l’arte di Lillo Rizzo.

Ogni artista trova sempre nelle sue origini, nei suoi percorsi, degli episodi che ne preannunciano il compimento. Rizzo non sfugge a questa regola, sino a far pensare che artista, nel suo caso, si nasce.

Nato nel 1949 a Santa Flavia (Pa), Rizzo trascorre la sua fanciullezza nella cornice, allora incantata, dell’Olivella, località flavese in riva al mare, ed in questo contesto tra mare, canneti ed agrumeti, comincia a coltivare la sua passione per il disegno, per i colori. Ma l’infanzia di Rizzo è un’infanzia segnata da peregrinazioni, spostamenti, frequenti traslochi, luoghi di passaggio in procinto di abbandono.

Nel 1968, conseguito il Diploma al Liceo Artistico di Palermo, si iscrive all’Accademia delle Belle Arti, in questi anni subisce il fascino di artisti come Otto Dix, James Ensor, Barbieri (detto il Guercino).

Sono gli anni delle sue prime produzioni, una serie di dipinti dal titolo “gli specchi”, tele dipinte su fondo argento caratterizzate da molte lumeggiature che funzionano come riflessi speculari, e un’altra serie di dipinti dal titolo “uccisori di colombe e uccisori di farfalle”.

Conseguito il diploma nel 1972, di lì a poco dipingerà la serie “Letti”, questa serie di dipinti ha nel percorso artistico di Rizzo una valenza particolare, essa infatti rappresenta il momento di distacco da una pittura fatta di figuralità neo gestuale ad una pittura talmente realistica da risultare “astratta”.

I letti, disfatti, sono rappresentati nel loro crudo realismo utilizzando un algido bianco e nero con piccole zone di colore (uno dei quadri della serie “letti del Cardinale” è oggi esposto al Museo di Gibellina).

Ma il percorso artistico di Lillo Rizzo è fatto anche di eclissi, di esili volontari, di assenze prolungate figlie di una difficoltà di comunicazione con gli operatori, con quelli che agli occhi di Rizzo sono i “mercanti” d’arte, nell’accezione più dispregiativa, portatori di uno squallore culturale, nonché di un’incapacità di fornire un reale supporto agli artisti nell’operazione di proposizione della produzione artistica di questi.

Rizzo avverte fortemente questo disagio e ciò lo porta ad una scelta di silenzi lunga cinque anni.

Ma la disillusione e l’amarezza legate all’esperienza all’interno del “circuito” artistico, non compromettono – di certo – la produzione artistica di Rizzo, il quale continua a dipingere sperimentando nuove tecniche e modalità espressive, approfondendo gli studi, in particolare, su i lavori di Gastone Novelli, Rauschenberg e Twombly.

Gli anni del silenzio, sono anni molto fecondi e portatori di novità tecnico/stilistiche, proprio in questi anni l’artista comincia ad adoperare le carte fotosensibili e le carte eliografiche e le trasforma come supporto base delle sue opere d’arte.

In questi anni incontra la giovane imprenditrice bagherese Enza La Tona che colpita dalle opere dell’artista e comprendendo il travaglio interiore che lo attraversa, lo aiuta supportandolo sia da un punto dal punto di vista economico che da quello logistico.

Impara a riprodurre per ammonizzazione, adattando questa tecnica a scopi pittorici; interviene successivamente sui supporti cartacei con le sue tecniche miste a cartapesta ribassata.
Sperimenta per anni l’uso compatibile di colle viniliche diluite pervenendo infine al definitivo utilizzo di quelle acriliche.

L’esperienza di Lillo Rizzo, non è comunque, quella dell’artista isolato, si interessa sia alla vita politica, sia alla vita culturale collaborando assieme a Giuseppe Tornatore alla nascita del circolo culturale “L’Incontro” di Bagheria, che rappresentò in quegli anni un baluardo culturale all’interno di una terra oppressa dalla presenza oscura e minacciosa della mafia e del malaffare politico.

Pur ritornando a partecipare in maniera sporadica e saltuaria a delle mostre collettive, Rizzo rimane un artista poco incline a gestire il suo rapporto con l’establishment e con l’ambiente artistico in genere, causa del suo carattere schivo e scontroso che lo porta all’assenza, un carattere che se da un lato può rappresentare un suo limite dall’altro rappresenta un suo punto di forza, la forza dell’artista che non piega la sua arte a nessun potere, producendo l’arte che sovverte e non quella che si piega (che dell’arte ha solo l’apparenza).

La produzione artistica di Rizzo è un crocevia dove si intersecano le radici arabe testimoniate da una decorazione dal sapore islamico che spesso aleggia nelle sue opere, unita a forti richiami alla pop-art e, in alcune produzioni, con tracce riconducibili alla lezione di Andy Wharol, sino ad arrivare a contaminazioni che giungono direttamente dal mondo del fumetto.

Osservando le opere di Lillo Rizzo sovviene alla mente una frase che recita: “l’amore migliore è quello che non ha futuro”.

L’amore di Rizzo per la sua arte - letto attraverso le sue opere - è un amore senza costruzione, senza percorso e, per questo, senza possibilità di consumarsi, di esaurirsi, di finire.
Un’arte che - pur affondando le sue radici in tanti passati e proiettandosi nella sperimentazione di tanti futuri - alla fine trasmette la forza di un opera che invade un eterno presente.

Nella foto di copertina un'opera di Lillo Rizzo