Cultura

SENTENZE DELLA COMMISSIONE MILITARE DI BAGHERIA

Ferdinando II per la grazia di Dio, Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme ec., Duca di Parma, Piacenza, Castro ec.ec., Gran Principe Ereditario di Toscana ec.ec.ec.

Il Consiglio di Guerra di Corpo del 9° di Linea, Puglia, elevato in modo subitaneo in virtù di Ministeriale del 18 decorso mese, comunicata al signor Colonnello Cav. D. Andrea Maringli per mano del signor Generale Comandante la Colonna Mobile, Cav. D. Roberto De Sauget, che autorizza a giudicare i capi principali e gli istigatori degli avvenimenti seguiti in questa Comune di Bagheria lì 12 suddetto mese, composto dai signori:

Presidente: D. Gaetano Franchini Maggiore; Giudici: D. Giovanni Battista Cardini Capitano.- D. Nicola Hayer Capitano- Cav. D. Pietro Virgilio Capitano.- D. Giovanni Battista Mori 1° tenente - D. Domenico Zecca 1° tenente - D. Luigi Tripaldi 2° tenente -D.Giovanni Cortada 2° tenente; D. Demetrio Andruzzi Alfiere, Commissario del R. Tesoro; Cancelliere: Ladislao Luisi 2° Sergente.

Si è riunito nel locale di questo Regio Giudicato Circondariale per giudicare gli imputati Giuseppe La Corte, Ciro Spanò, Antonino Paladino, Leonardo Maggiore, Pietro Tripoli, Gioacchino Morreale, Girolamo Cangelosi, e Salvatore Scirè accusati di avere portata la devastazione, la strage, il saccheggio in questa Comune e di avere preso parte attiva negli omicidi, devastazioni e saccheggi anzidetti.

Inteso il rapporto del Commissario del R. Tesoro dell’informazione presa a carico dei detti accusati, Veduti gli estratti di morte sul conto di Giorgio e Luigi Caltagirone, Antonio Lo Gallo, Cosimo Incalsela, Bartolomeo La Corte, Carmelo Ficano d’Onofrio, Antonio Lo Medico, Leonardo Montano inteso Fontana, rei liquidati in processo dei misfatti summentovati, Attesochè i medesimi sono morti di Cholera durante la rapida istruzione compilata dal Giudice Regio Supplente di questo Circondario a richiesta del Generale D. Roberto De Sauget, Comandante summentovato, il Consiglio dichiara preliminarmente di non trovar luogo a deliberare su di loro conto. Inteso quindi il medesimo Commissario del R. Tesoro nelle orali conclusioni contro i rei presenti in giudizio non che gli accusati ed i loro difensori; il presidente dietro il riassunto della causa ha proposto distintamente la quistione di reità contro ciascuno degli accusati.

altIL CONSIGLIO DI GUERRA

Considerando essere risultati della pubblica discussione i seguenti fatti:

1-Che sviluppatosi in Palermo il morbo asiatico, il quale da lungo tempo desolato avea gran parte della bella Italia, non tardò il male d’invadere la florida Comune di Bagheria con casi ancor crescenti. Si sparsero ivi quindi, come altrove, le false e ridicole dicerie di propinazione di veleno da parte dei gentiluomini specialmente contro il popolo, e la tremenda verità di tanti morti di ogni classe ebbe forza a distruggere idee tanto basse, alimentate da pochissimi male intenzionati.

Corse in seguito voce che ordinavansi trame da persone di plebe per assassinare i detti galantuomini. Difatti nel dopopranzo del 12 del sudetto mese una banda di maleintenzionati si riunì nel vigneto di Furnari, avendo per mezzo di alcuni di loro compagni indotto artifiziosamente il popolo ad uscire le immagini dei Santi in processione per la comune, e con suono di campane a stormo, acciocchè vi fosse gran concorso ed attirar facilmente gran numero di compagni, che secondati li avessero nel di loro abominevole disegno.

Entrata poscia quella calca di gente, diè principio agli assassini con trucidare il chirurgo D. Carlo Scavotto e i di lui fratelli D. Francesco e D. Vincenzo ed Onofrio Ventimiglia che li accompagnava nell’atto che si allontanavano per giusto concepito timore. Indi con altri due omicidi commessi nelle persone di Cosmo Gattuso e Salvatore Madonia sparsero un generale allarme. Il disordine, la confusione e lo spavento ben tosto subentrarono nel popolo che abbandonato le sacre immagini andò a chiudersi nelle rispettive case.

Fatto già notte assalirono i malfattori la caserma della Gendarmeria Reale, che disarmarono, sforzarono le prigioni e liberarono i detenuti, atterrarono porte, danneggiarono farmacie, ruppero lastre di molte case a colpi d’arma da fuoco, frugarono mercerie per trovarne polvere e palle, disarmarono fin nelle di loro case varie persone, ricercarono gentiluomini per ucciderli e dati finalmente alle fiamme gli atti degli archivi dei notari D. Andrea Castronovo e D. Giuseppe Mancuso, verso le ore sei se ne fuggirono insultando gli abitanti di codardi e vili per non averli voluto seguire.

2-Che tra tali individui che si armarono e commisero eccessi furono riconosciuti i suddetti Giuseppe Antonino La Corte, Ciro Spanò, Antonino Paladino, tra coloro che assistirono scientemente i nominati Pietro Tripoli e Leonardo Maggiore.

3-Non restò chiarito se Gioacchino Morreale e Girolamo Cangelosi presero parte attiva in detti misfatti.

4-Che fatti preponderanti non poterono stabilire di avere Salvatore Scirè istigato con segni il popolo alla strage, che all’incontro furono interpretati come innocenti e naturali i segni anzidetti

altA voti uniformi ha dichiarato

Constare che Giuseppe Antonio La Corte, Ciro Spanò e Antonino Paladino sieno colpevoli di avere portato la devastazione, la strage, il saccheggio contro una classe di persone in Bagheria, loro patria, il dopopranzo sera e notte dal 12 al 13 luglio 1837 prendendo parte attiva in detti misfatti, Constare che Leonardo Maggiore e Pietro Tripoli sieno colpevoli di avere assistito scientemente le suddette ed altre persone nei suddetti reati e di avere istigato gli altri agli eccessi. Non constare abbastanza che Gioacchino Morreale e Girolamo Cangelosi abbiano preso parte attiva sui detti reati. Constare che Salvatore Scirè non sia reo di avere istigato il popolo alla strage. Fatte le dichiarazioni suddette, il presidente ha interpellato il Consiglio sulla sorte dei suddetti prevenuti.

IL CONSIGLIO DI GUERRA

Visti gli articoli 130, 131, 74, 184 e 75 del Codice Penale, 296 2 297 della Procedura delle dette leggi, 296 dello S.P.M. adottando i medesimi, con l’uniformità di sopra, condanna Giuseppe La Corte, Ciro Spanò ed Antonino Paladino alla pena di morte ai termini di detti articoli 130 e 131 del Codice Penale del Regno da eseguirsi nel corso di cinque ore alla fucilazione. Condanna inoltre Leonardo Maggiore e Pietro Tripoli al massimo del terzo grado dei ferri in anni ventiquattro per ciascheduno e tutti solidariamente alle spese del giudizio da liquidarsi.Ordina una più ampia istruzione sommaria a carico di Gioacchino Morreale e Girolamo Cangelosi per provare la di loro parte sui mentovati misfatti rimanendo sotto custodia in carcere.

Finalmente ordina che Salvatore Scirè sia posto in stato di libertà assoluta. Riserva i dritti alle parti lese per consecuzione dei danni ed interessi innanti chi e come di ragione, e l’azione al Commissario del Re di tradurre in giudizio gli altri autori ed istigatori dei misfatti summentovati. Fatto e deciso, in continuazione del dibattimento, oggi il 6 agosto 1837, alle ore sei italiane (Seguono firme).

Aprile 2015 Biagio Napoli

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nella foto interna   Un muro del cortile interno di Palazzo Inguaggiato, che fu fortezza del presidio borbonico, dove si vedono ancora i segni dei colpi di moschetto delle esecuzioni capitali redazione bnews
 

E sette! sono ben sette le ville settecentesche di Bagheria, restaurate, aperte e visitabili: apre l‘elenco Villa Cattolica, sede del Museo d’arte moderna ‘Renato Guttuso’, seguita da Palazzo Aragona Cutò, sede della biblioteca e di altri servizi culturali, e dal ‘palazzo’ Butera, sede di rappresentanza del comune di Bagheria e l’annessa Certosa, sede ormai stabile del ‘Museo del giocattolo e delle cere Pietro Piraino’.

Tutti edifici nella disponibilità del comune di Bagheria, e pertanto visitabili, mentre aperta al pubblico è anche villa Palagonìa, la villa, tra quelle del nostro patrimonio architettonico del Settecento, più nota al mondo.

In mano privata, però visitabili e aperte per cerimonie, mostre e convegni, ci sono anche Villarosa e Villa Ramacca.

Nelle prossime settimane a queste sei complessi monumentali si andrà ad aggiungere Villa S Isidoro sino a qualche tempo fa abitata dalle eredi del Marchese Pietro di S.Isidoro, le sorelle Antonietta e Maria Teresa De Cordova.

altE l’orientamento dell’attuale proprietà è di farne una casa Museo visitabile da chi, studente, turista o comunque visitatore, lo volesse.

E’ stata creata all’uopo una Associazione di cui è responsabile Stefania Randazzo che è anche consulente artistico del Museo Mandralisca di Cefalù, oggi Fondazione, che con il suo Ritratto di Antonello è uno dei musei più visitati di Sicilia.

Se a quanto detto in premessa aggiungiamo che villa Valguarnera, la più sontuosa delle nostre ville, Villa Spedalotto, e Palazzo Inguaggiato, (di cui un appartamento al piano nobile è stato di recente comprato e ristrutturato dal regista Peppuccio Tornatore), e villa Trabia sono abitate dagli eredi degli antichi baroni e nobili, che Palazzo Larderia è occupato dalle suore e che palazzo San Marco, anche questo abitato dai proprietari, periodicamente viene aperto ai visitatori, viene fuori che la frase che talvolta sentiamo pronunciare sull’abbandono e sulla decadenza delle ville settecentesche di Bagheria è un luogo comune che prescinde dalla reale situazione ed è di fatto una affermazione che è fondata solo per quanto riguarda la spoliazione di quanto nelle ville, tra mobili, arredi, quadri, libri, abiti e suppellettili varie era un tempo custodito.

Chi lo volesse, e se solo qualcuno lo proponesse, per conoscere ed apprezzare la ricchezza ed in certi casi l’originalità di alcuni modelli architettonici nati con le ville bagheresi, i visitatori avrebbero una buona mezza giornata o volendo anche una giornata intera.

Ed è questo il progetto ambizioso o il sogno ad occhi aperti che cullano Domenico Angileri e i suoi collaboratori: un programma che nel breve periodo, si parla di giugno,  vedrà l'apertura della Casa Museo, nel medio periodo un restauro work in progress, a villa aperta, mentre nel lungo periodo si parla di ricostruzione della cappella e di un uso più intensivo di questo bene architettonico.

Una mano dovrebbe arrivare dalle sinergìe che si pensa di mettere a sistema con il Mandralisca di Cefalù, mentre un'altra grossa mano potremmo darla noi, intendiamo come comunità e come amministrazione.

A partire dalla sistemazione del lunghissimo viale di accesso, detto appunto di S.Isidoro, il rettifilo ante litteram, nella parte finale nel passato di solito trasformata in discarica ed oggi ancora ingombra di materiale di risulta.

Il primo aiuto in vista dell'apertura che ripetiamo si pensa a giugno con tutta la solennità che l'evento richiederà, (si parla della presenza dell'ambasciatore spagnolo, spagnoli erano infatti i Del Castillo fondatori della villa casale), potrebbe essere la sistemazione dignitosa di un percorso che in un  futuro prossimo dovrebbe vedere pullman di turisti e visitatori.

L'altra mano la potrebbe dare il nostro assessore alla cultura, Rosanna Balistreri, accelerando quel percorso di un biglietto unico per visitare tutte le ville e i musei di Bagheria che potrebbe rappresentare un eccellente incentivo. Insomma ognuno per la nostra parte potremo fare qualcosa, perchè quel sogno coltivato da Angileri, possa diventare anche il nostro.

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Diciamo subito che, per lo stato di conservazione degli interni, ma soprattutto degli arredi, della quadreria, della biblioteca, del guardaroba e di tante altri arredi domestici, Villa S. Isidoro sarà una vera miniera di informazioni, a partire da quel piccolo Museo etno antropologico che la proprietà si propone di sistemare nei corpi bassi mettendo in esposizione tutti quegli oggetti della cultura e del lavoro contadini di cui i locali erano ancora pieni e che la pazienza certosina di alcuni volontari sta riportando alla luce.

Sarà una miniera anche per quello che potrà venir fuori dalle cataste di documenti che potranno fornire agli studiosi che lo vorranno informazioni preziose non solo sulle ville, ma sull'economia e più in genrale sulla vita del territorio,ed a questo proposito si pensa già di coinvolgere l'Università di Palermo.

Ma non solo cultura materiale quindi ma anche cultura aulica. Pare che l’attribuzione a Pietro Novelli ed a Jusepe De Ribeira, detto Lo Spagnoletto, di due dei quadri ritrovati, sia solo una delle prime ‘scoperte’ che la villa ci ha riservato.

Le due opere dopo  l’attribuzione fatta dal critico Vincenzo Abbate ed il lavoro di restauro eseguito presso il laboratorio del Museo Diocesano,  sono in questi giorni esposti al Mandralisca, in un allestimento curato dallo stesso Abbate e da Stefania Randazzo.

In questi giorni fervono i lavori, decine di persone, sono impegnate chi nel recupero, chi nella catalogazione, chi nella sistemazione, chi nel restauro vero e proprio di centinaia tra mobili, abiti, armi, e arredi vari che sono stati trovati nella villa dall’attuale proprietario Domenico Angileri, cui l’immobile è stato trasferito dopo la scomparsa dell’ultima componente della famiglia De Cordova, Maria Teresa.

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Di tutto questo ne parliamo con Domenico Angileri, il proprietario cui brillano gli occhi quando pensa a quello che potrà diventerà questa villa, che esordisce come tante nel XIV secolo come un baglio con torre al centro di un'area destinata alle colture de tempo, e che anche se non è tra quelle considerate ‘auliche’, perché i Del Castillo, marchesi di Sant’Isidoro, quando la edificarono verso la fine del XVIII secolo tale la concepirono, come residenza di campagna

La villa però presenta oltre ad alcune ricercatezze, le porte laccate, affreschi di pregio nelle stanze di rappresentanza, ha anche una serie di soluzioni originali che ne fanno un pezzo ‘unico’ a partire dal doppio ingresso della villa, uno da sud che guarda Bagheria e l’altro a nord che guarda all’Aspra che è un elemento unico nelle ville di quel periodo.

Villa S. Isidoro era una delle ville inoltre che possedeva in assoluto la maggiore superficie intorno, circa sessanta ettari, una estensione notevole se si pensa che i pilastri d’ingresso sono facilmente identificabili all’incrocio tra via Sant’Isidoro, la strada che conduce al cimitero, e la S.S.113 mentre i pilastri dell’uscita sono in via Pietro Tempra ad Aspra. 

Quando verrà aperta al pubblico, sarà una tappa obbligatoria per tutti noi abitanti del territorio, per i ragazzi delle scuole, e per quanti apprezziamo che in una realtà difficile e complessa quale la nostra, c'è sempre qualcuno che sperimenta, che vuole trovare strade nuove e che non si rassegna.

Lasciamoci coinvolgere anche noi in questo progetto di fiducia nel futuro.

Angelo Gargano
 

Dagli all’untore

“La credenza che peste e colera venissero artatamente sparsi tra le popolazioni è antica. La registra Livio…”, anche se pare “si fosse del tutto spenta nei secoli successivi, e fino al XIII e XIV. Non ne troviamo traccia, infatti, nei cronisti, che pure abbondano di notizie sulle epidemie pestifere, del due e del trecento. Nelle loro pagine, le tremende epidemie non trovano altra causa che il volere di Dio o l’influsso degli astri; e la propagazione del morbo ad altro non è attribuita che agli scambi e ai viaggi. …Ma nel secolo XVII ecco ridivampare e diffondersi quella lontana credenza…nel secolo XVII un tale sospetto non solo viene formulato ma arriva alla certezza, medica e giuridica, tramandandosi…fino a un tempo cui arrivano i nostri ricordi. Del colera del 1885-86 e della «spagnola», ultima mortale epidemia che si è avuta in Italia subito dopo la guerra del ’15-18, abbiamo infatti sentito favoleggiare come di provvedimenti, per così dire, malthusiani; …Questa opinione… nel colera dell’85-86 diede sanguinosi esiti in Sicilia …” (1).

La suddetta opinione aveva però già dato esiti altrettanto sanguinosi in Sicilia durante l’epidemia colerica del 1837 di cui Leonardo Sciascia, autore delle considerazioni sopra riportate, stranamente, non scrive.

altA proposito di quella epidemia avvenuta durante il regno borbonico, lo storico termitano Alfonso Sansone scrive: “Il male incrudisce. Il popolo, ignorandone l’occulta potenza, lo crede opera della malvagità umana, e pronunzia la strana parola: veleno. Questa è accolta subito dai creduli, dai facinorosi e da coloro che agognano vendicare private offese…la plebe guarda sospettosa gli agenti del governo, spia i moti e gli atti dei passanti, dubita, palpita e scorge ovunque avvelenati e avvelenatori. …Il quattro luglio, dì in cui il morbo aveva ucciso quasi mille persone, essendo arrivato nella rada di Palermo un piroscafo regio, corse voce che Ferdinando II, sbarcato furtivamente da quello, attraversasse vestito da monaco benedettino la città per incoraggiare gli avvelenatori; che si fosse poi ritirato nel convento di San Martino; e dopo d’essere andato alla Favorita, risalito a tarda notte sul piroscafo, fosse tornato a Napoli” (2).

E ancora: ”I rumori, i pregiudizi e le paure descritte s’estesero altresì in molti comuni della valle di Palermo nei quali, essendo più grave l’ignoranza, più debole il freno delle autorità regie, più aspro il dissidio fra i possidenti e la plebe, avvennero scene crudeli. Ivi, tutti coloro che bramavano vendicare vecchi arbitrii, recenti sopprusi e private offese, assalirono sotto il pretesto del veleno, le persone e le case dei funzionari del governo, dei capi delle amministrazioni comunali, dei presunti propinatori del morbo e dei più cospicui possidenti, che, per la lotta non mai intermessa tra chi ha e chi non ha, erano e sono forse tuttavia in grande odio alle classi rurali” (3).

La ricostruzione delle vicende del 1837 fatta dal Sansone, risente di una certa enfasi, ma appare puntuale per i continui riferimenti alle fonti, per la descrizione meticolosa dei fatti. Racconti particolarmente drammatici sono quelli che riguardano i misfatti verificatisi a Villabate e a Misilmeri.

VILLABATE:  SCEMPIO  DI  DONNE  E  DI  CIVILI

“L’undici luglio, corse voce d’essere la frutta, le droghe e le vivande avvelenate, la plebe si unì sulla pubblica piazza…Giovanni Pitarrese, detto il Napoleone e altri danno la caccia agli impiegati, ai rondieri, ai gendarmi ed uccidono l’avvocato Giuseppe Rodanò, giudice dell’Orto Botanico…. Indi, guidati da Michele Alaimo, Antonino Lazzaro, Stefano Miano e Gaetano Spina, assaltano la farmacia di Pietro Arcabasso gridando: Viva la misericordia di Dio!

A quel grido Giuseppe Pisciotta afferra una scala, vi monta, entra per una finestra nella casa dell’Arcabasso, l’afferra e lo colpisce con uno stile. L’infelice si affaccia insanguinato alla finestra chiedendo soccorso; ma la folla, incitata dalle grida dei malvagi, gli risponde con una scarica. Tra il fumo, lo sparo e l’urlio orrendo, Stefano Miano e Antonino Lazzaro montano la scala, ghermiscono l’Arcabasso e lo precipitano dalla finestra sulla strada, dove è finito dal Miano. Infellonito il popolo alla vista dell’ucciso, va in cerca di Antonio Montaperto, lo scova nella casa del principe di Baucina, lo tortura, gli estorce confessioni inverosimili, e l’uccide. Poscia, diviso in tre schiere, scorazza il paese.

La prima schiera, guidata da Giovanni Pitarrese, trucida Antonina Mazzerba al cospetto del suo vecchio genitore; la seconda, condotta da Filippo Alaimo, detto l’addannato, scanna Salvatore Filippone tra i suoi, e la terza, guidata da Stefano Miano, soprannominato Chiuviddu, spegne barbaramente l’ispettore Diez, Anna Giardina sua consorte, il capo-ronda Francesco D’Angelo ed il possidente Filippo Caravello” (4). Pare che Antonina Mazzerba “che credeano stipendiata a propagare veleni… Benedetto D’Amico 25 colpi di conciarro le vibra, e ne rimane esangue, e sullo spirante corpo al suolo disteso, altro ancor più malvagio scaricò il fucile”; e che, ucciso l’ispettore Diez, fecero “strazio della uccisa Anna Giardina, sua congiunta, a cui taglian le poppe” (5).

E pare che “alle nove vittime accennate si arrestarono per quella notte tremenda, rimettendo alla vegnente la continuazione della strage, per estinguere la classe, così detta dei Cappeduzzi… guidate sempre le turbe dai duci, Giovanni Pitarrese il Napoleone e Filippo Alajmo il Generale… Il generale fatto montare un carro, ritornarono ai luoghi dove giacevano i cadaveri degli estinti, e presili sul carro, li portarono in campagna, gettandoli in un disseccato pozzo” (6).

altA  MISILMERI  DISSOTTERRANO  ANCHE  I  MORTI.

“La sera del 13 luglio… un messo spedito dal Regio Giudice in Villabate, onde chiedere soccorso, venne ucciso dai sediziosi…assalgono la casa del barone Furitano : ivi erano riparati il Regio Giudice e famiglia, pochi urbani, tre gendarmi e, col Baroncino Furitano, capo urbano, opposero valida resistenza ed i sediziosi vennero respinti. Inaspriti di non essere riusciti in questa pugna, attaccano da ogni parte il paese, uccidono la moglie di D. Antonino Torchiani e la casa messa a sacco ed incendio: lo stesso avvenne a quella di Bellittieri, Mosca e di Mariano Leone. Aggiornò il funesto dì 14, replicano l’assalto alla casa del barone Furitano, uccidono il Regio Giudice e moglie, D. Vincenza Liura, D. Domenico Moralda, Francesco Dell’Orto e moglie, ed un gendarme: infine saccheggiano ed incendiano interamente quel vasto e ricco edificio.

Fu in questo crudele macello che il baronello Furitano si troncò la vita con un colpo di pistola per non cadere nelle mani dei rivoltosi: il barone padre, per miracolo, scampò da quell’eccidio. Non sazii ancora di tanto innocente sangue sparso si diè morte all’usciere Lo Carufo e la casa messa a ruba, fu ucciso il percettore Caracciolo e suo figlio, la casa bensì saccheggiata, le teste recise di questi disgraziati furono portate in trionfo e i corpi bruciati in pubblica piazza. Si diè morte a D. Stefano Caraffa ed il cadavere fu bruciato e la casa messa a sacco; del pari quella di Rositani, Cagliura, Vasselli, Santoro e del Comune. Abbenchè un certo ordine si fosse ristabilito nel 14 pur tuttavia si disumò il cadavere di un certo Scozzari, morto di colera da 4 giorni, che infettò il Comune e per questo si diè morte al medico Carlotti, incolpandolo autore di avvelenamento nella sua professione. Il giorno 15 alla fine si compie la crudele carneficina dando la morte all’usciere Bellittieri” (7).

UNA  REAZIONE  FEROCE  COME  LE  STRAGI

I primi tumulti ( dall’8 al 10 luglio ) scoppiano però a Villagrazia. Seguiranno quelli di Villabate ( dall’11 al 12 luglio ), di Bagheria ( 12 luglio ), di Capaci ed Isola delle Femmine ( dal 12 al 13 luglio ), di Misilmeri ( dal 13 al 15 luglio ), di Marineo ( dal 14 al 16 luglio ), di Carini ( 16 luglio ), di Corleone ( dal 21 al 23 luglio ), di Prizzi ( dal 23 al 24 luglio ), di Termini Imerese ( dal 23 al 25 luglio ).

La reazione del governo non si fece attendere. “Le ferocie descritte…sdegnarono, non a torto, le autorità primarie della Valle… Il luogotenente… elesse il 16 luglio alcuni Consigli di Guerra per giudicare in modo subitaneo gli istigatori primi e capi delle rivolte. Il 18 il Comandante della Valle comunicò tale ordinanza al presidio di Palermo e la notte del 20 partirono da questo il 7° di linea Napoli comandato dal colonnello Raffaele Del Giudice, il 6° Cacciatori guidato da Roberto De Sauget, il 3° Cacciatori diretto dal Cavaliere Gioacchino Ninì e l’8° reggimento Calabria condotto da Orazio Atramblè. Giunte le truppe ai luoghi assegnati convocarono le commissioni militari composte ciascuna di un presidente, di sette giudici, di un commissario del re e di un cancelliere” (8) .

Su 12 imputati di Villagrazia 3 verranno fucilati (9); di 68 imputati per i reati commessi a Villabate, la Commissione Militare ne condannerà 8 alla pena di morte (10); di 138 imputati di Capaci ed Isola delle Femmine, 85 arrestati e 53 latitanti, avremo ben 62 condanne a morte riguardanti tutti i latitanti e 9 degli imputati in arresto (11); altre 2 condanne a morte riguarderanno latitanti successivamente arrestati (12); i fatti di Misilmeri verranno giudicati in 10 Consigli di Guerra con altrettante sentenze protraendosi i giudizi dal mese di luglio al mese di ottobre. Saranno 156 i soggetti imputati di cui 17 verranno fucilati (13) ; a Marineo vennero arrestati 118 individui; dall’agosto all’ottobre verranno riuniti 6 Consigli di Guerra; 8 saranno gli imputati condannati alla fucilazione (14); a Carini su 29 imputati avremo una condanna in contumacia alla pena di morte (15); a Corleone, tra agosto e settembre, si riuniranno 5 Consigli di Guerra emettendo altrettante sentenze riguardanti 67 accusati con 14 condanne alla fucilazione (16); a Prizzi, l’1 e il 4 settembre, verranno condannati alla fucilazione 8 imputati (17); a Termini, tra luglio ed agosto, in tre Consigli di Guerra, giudicati 48 imputati, 8 saranno i fucilati (18).

“La severità dei Consigli di Guerra, le continue esecuzioni capitali e gli arresti numerosi in questo o quel paese spaventarono anche molti di coloro che non avevano preso parte essenziale ai tumulti dello scorso luglio; onde popolarono le campagne di un numero straordinario di latitanti che, non avendo sempre i mezzi di sussistenza, cercavano di procurarseli, con la forza” (19) . Ma, “ancora una volta il ricorso alla politica della mano forte e alla repressione violenta risultava mezzo insufficiente e inidoneo “, andando a costituire una delle cause del fenomeno del brigantaggio che, evidentemente, non è fenomeno solo postunitario (20).

altBAGHERIA  NON  SI  DISTINGUE.

Anche quell’anno “era giunto apportatore di una dolce primavera il mese di maggio…la nobiltà, ricca di censo, scevra di cure, correva su splendidi cocchi alle superbe ville della Bagheria, dove applaudiva le produzioni drammatiche del duca di Misilindino” (21). Lo scenario, naturalmente, prestissimo cambierà ed a Bagheria, come negli altri paesi, al flagello del colera si aggiungerà la strage.

Dall’agosto all’ottobre, nella sede del Regio Giudicato, verranno riuniti 9 Consigli di guerra per giudicare 66 imputati. “Le commissioni militari, dando ascolto ai lamenti degli offesi, ai reclami passionati di proprietari, alle denunzie prave dei perversi ( i quali coglievano la presente occasione per isfogare vecchi rancori ed invendicati oltraggi ) ed alla collera propria, arrestavano in massa gli abitanti che cadevano nelle loro mani, comunavano ad una sorte rei ed innocenti e li sottoponevano tutti ad un severo giudizio “ (22). Una delle sentenze che riguardarono Bagheria, riferendo le colpe per cui taluni erano giudicati, mostra l’evidenza di questo aspetto.

Erano imputati “Silvestre Caltagirone di avere fatto visita domiciliare per ricercare veleno, Serafino Albanese di avere invocata vendetta dell’altissimo contro i creduti avvelenatori, Orazio Foresta, Francesco Chiello e Pietro Lo Dico d’avere insultato D. Paolo Scavotto, fratello degli uccisi Scavotto Don Carlo, D. Francesco e D. Vincenzo; Giuseppe Lavore qual detentore di una nota di supposti avvelenatori che dalla plebe dovevano uccidersi… Riguardo a Pietro Campagna risultando di avere assistito alle uscite delle bare dei Santi, fatto che porterebbe alla complicità dei reati avvenuti nella giornata del dodici essendosi con tal mezzo eccitata la rivolta la dove venga a provarsi d’aver egli agito con dolo” (23).

Vedremo che i delitti efferati di Bagheria si verificarono durante una processione religiosa organizzata allo scopo di commetterli. La risposta dell’esercito fu principalmente la condanna a morte, mediante fucilazione, di 5 delle 66 persone sottoposte a giudizio e ritenute tra gli organizzatori e i capi della sommossa popolare. Tre condanne a morte vengono erogate durante la prima sentenza che, in appendice, riportiamo.

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Biagio Napoli     CONTINUA

 

NOTE
1. A. Manzoni, Storia della colonna infame, Introduzione di Leonardo Sciascia, Sellerio Editore, Palermo, 1981.
2. A. Sansone, Gli avvenimenti del 1837 in Sicilia ( con documenti e carteggi inediti ), Palermo 1890, p. 53.
3. Ivi, p. 71.
4. Ivi, p. 73.
5. Ivi, Appendice, Sentenza del 20 ottobre 1837, Documento n. LXVII, pp. 307-323.
6. Ibidem.
7. Ivi, Appendice, Sentenza del 26 luglio 1837, Documento n. LXX, pp. 345-351.
8. Ivi, p. 78.
9. Ivi, Appendice, Sentenza del 2 settembre 1837, Documento n. LXVI, pp.298-307.

10. Ivi, Appendice, Sentenza del 20 ottobre, cit.
11. Ivi, Appendice, Sentenza del 2 agosto 1837, Documento n. LXIX, pp. 332-339.
12. Ivi, Appendice, Sentenza dell’1 settembre 1837, Documento n. LXIX, pp.339-341.
13. Ivi, pp. 82-83 e Appendice, Sentenza del 26 luglio 1837, cit.
14. Ivi, p. 89 e Appendice, Sentenza del 16 agosto 1837, Documento n. LXX, pp. 351-355.
15. Ivi, Appendice, Sentenza del 15 settembre 1837, Documento n. LXIX, pp. 342-345.
16. Ivi, p. 83 e Appendice, Sentenza dell’1 agosto 1837, Documento n. LXXII, pp. 356-359.
17. Ivi, p. 89 ( non viene riportato il totale dei giudicati ) e Appendice, Sentenza dell’1 settembre 1837, Documento n. LXXIII, pp. 359-362.
18. Ivi, p. 83 e Appendice, Sentenza del 29 luglio 1837, Documento n. LXXIV, pp. 363-365.
19. Ivi, p. 87.
20. E. D’Alessandro, Brigantaggio e mafia in Sicilia, Casa Editrice G. D’Anna, Messina-Firenze, 1959, p. 53.
21. A. Sansone, Gli avvenimenti del 1837 in Sicilia, cit. , p. 46.
22. Ivi, p. 82.
23. Ivi, Appendice, Sentenza del 21 agosto 1837, Documento n. LXVIII, pp. 329-332.



 

Nel 70° anniversario della Liberazione, esce per Navarra Editore "Testimonianze partigiane" di Angelo Sicilia, storie vere di chi ha vissuto in prima persona la guerra contro il nazifascismo e che restituiscono uno sguardo inedito e spesso intimistico su una delle pagine più tristemente note della Storia italiana.

Testimonianze partigiane raccoglie le testimonianze di oltre sessanta partigiani siciliani che hanno combattuto, in varie parti d’Italia, contro l’occupazione nazifascista nel terribile biennio 1943-1945, sorretti dalla forza di un ideale e affrontando paura, torture, perdite care e anche la terribile esperienza dei lager tedeschi.

Tra queste, spicca la storia di Flora Buttitta, figlia del celebre poeta e antifascista Ignazio Buttitta. Nonostante la giovane età, Flora ha partecipato attivamente alla lotta di Liberazione come staffetta partigiana nella bassa provincia milanese di Codogno, dimostrando un coraggio e una determinazione ammirevoli per una ragazza di soli quindici anni.

Angelo Sicilia che ha intervistato Flora Buttitta il 04 ottobre 2014 riporta nel libro le sue parole:

“ Siamo stati due anni lì, una vita terribile, perché tutti sapevano che mio padre non era fascista. C’erano quelli che gli volevano del bene, ma c’erano anche quelli che denunciavano. Io andavo spesso in bicicletta a Codogno, senonché ogni tanto passavano i tedeschi con le loro automotrici, avevano delle cose incredibili. Un giorno io non mi ero accorta del passaggio di questa colonna e mio padre per un soffio mi salvò spingendomi in un fosso nel ciglio della strada.

C’era da aver paura perché i tedeschi prendevano dei civili che incontravano per la strada e li mettevano davanti alla loro colonna, per evitare così eventuali attentati nei loro confronti. […] Le SS vennero tre volte in casa nostra. Io avevo un vero terrore. Noi avevamo nascosto tutti i libri, perché se ci trovavano anche solo un libro perfino di letteratura russa, Tolstoj o Dostoevskij, eravamo tacciati di antifascismo.”

"Testimonianze partigiane", saggio storico ma anche libro di memorie risultato di un lavoro di ricerca decennale sarà disponibile in tutte le librerie dal 4 maggio.

 

 

 

 

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