Doveva ripartire da Bagheria la rinascita di "cosa nostra"

Doveva ripartire da Bagheria la rinascita di "cosa nostra"

cronaca
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Era scomparsa dal 1993. Da quando era stato arrestato Salvatore Riina. Nell’ultimo anno le famiglie mafiose del palermitano lavoravano per ricostituire la commissione provinciale.
Ma l’operazione dei carabinieri, imponente nei numeri, ha neutralizzato quasi tutti i capi mandamento e moltissimi quadri inferiori di Palermo e provincia.
89 i soggetti sottoposti a fermo.
Ma il numero finale, come ha sottolineato il procuratore capo del capoluogo siciliano, Francesco Messineo, è destinato a crescere.
Un aspetto fondamentale dell’inchiesta è che, attraverso gli elementi acquisiti, si è fatto un balzo in avanti nella conoscenza del fenomeno mafioso, soprattutto grazie alle importanti intercettazioni telefoniche, che saranno esaminate ed analizzate fin nei minimi dettagli.

Insomma con l’operazione Perseo si è impedito, almeno al momento, a Cosa Nostra di ricostituirsi. I primi segnali di un nuovo fermento sono arrivati, all’attenzione degli investigatori, nel marzo scorso, a Bagheria, dove Giuseppe Scaduto, noto mafioso scarcerato nel 2007, aveva avviato relazioni e contatti.
In un garage vengono registrati i primi incontri fra Scaduto ed i palermitani Salvatore e Giovanni Adelfio, padre e figlio.

I primi di maggio, la prima riunione effettiva nel corso della quale si capisce quello che sta realmente accadendo, e cioè il progetto di ricostituzione della commissione provinciale.
A Scaduto il compito di mediare.
Il progetto, messo in atto con la sovrintendenza del superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro, soltanto come interlocutore, (a Palermo decidono i palermitani) è stato stroncato nel timore non solo di fuga dei destinatari del provvedimento ma anche di una possibile ripresa delle ostilità, considerato che
due famiglie di Palermo città si opponevano alla nomina di quello che era stato individuato come il nuovo capo della commissione, Benedetto Capizzi, anziano boss di Villagrazia.
Attorno a lui alcuni tra i nomi storici di Cosa Nostra, vecchia capimafia ottantenni, da Gerlando Alberti a Gregorio Agrigento di San Giuseppe Jato, da Giovanni Lipari a Gaetano Fidanzati a Salvatore Lombardo, boss di Montelepre che, con i suoi 87 anni, è il più anziano degli arrestati.
Immancabile nell’inchiesta, anche se “tirato” a forza, il nome dei Riina.
Dall’inchiesta, si evince che il figlio di Totò, Giuseppe Salvatore, scarcerato da alcuni mesi, sarebbe stato invitato a tenersi fuori e a non uscire da casa, evidentemente per volere del padre intenzionato a non farlo rischiare oltre, visto che il primogenito ha già un ergastolo sulle spalle.

Capo del mandamento di Corleone è Rosario Lo Bue: da lui il giovane Riina non si sarebbe neanche presentato al suo ritorno a Corleone dopo essere uscito dal carcere. Assume così una nuova luce la decisione del giovane di chiedere al tribunale di sorveglianza di potersi recare nel nord d’Italia dove avrebbe trovato lavoro.
Durante le indagini, il Nucleo radiomobile di Monreale ha acquisito riscontri anche su un traffico internazionale di stupefacenti, confermando in tal modo l’interesse di Cosa Nostra nel settore.