Non trasformiamo corso Umberto in un match di football, perchè è qualcosa di più - di A. Belvedere

Non trasformiamo corso Umberto in un match di football, perchè è qualcosa di più - di A. Belvedere

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Da tempo penso di scrivere alcune riflessioni sulla questione che sta animando, con toni a volte troppo accesi, le giornate dei miei concittadini.

Se non l’ho fatto finora è perché ho avvertito la difficoltà al dialogo tra le parti in causa, e soprattutto la demonizzazione di chi “non la pensa come noi”.

Chi scrive è uno che ama camminare a piedi o in bicicletta (l’ho usata sempre, dovunque mi sia trovato ad abitare: Bagheria, Parigi e, ora, Palermo), che usa pochissimo la scassatissima macchina che possiede (solo per reali necessità, accompagnare un anziano parente, uscire fuori città ecc), e che trova l’esagerato uso dell’auto come il frutto (avvelenato) di una incapacità a modificare le proprie abitudini e di una scarsa consapevolezza dei problemi del mondo in cui viviamo.

Non faccio dunque parte di una ipotetica lobby degli automobilisti.

E tuttavia, pur avendone tutti i prerequisiti – vedo già i miei amici pedonalizzatori urlare al tradimento – non riesco ad abbracciare la causa di chi sostiene che il Corso Umberto senza auto sia un punto di non ritorno.

Per farvi capire come la penso – cosa non facile, lo so – voglio spiazzarvi un attimo parlando di un’altra cosa: la pista ciclabile Bagheria-Aspra, della cui esistenza mi sono accorto solo pochi giorni fa. Non ho visto nessun ciclista, vi erano decine di auto parcheggiate, era piena di erbacce e in stato deplorevole.

La cosa comica è che si tratta di una pista unidirezionale - cioè Bagheria-Aspra - senza possibilità di ritorno, manca cioè il tratto Aspra-Bagheria.

Sarà forse ancora da realizzare, intanto, il tratto di andata è già vecchio e in abbandono.

Se la cosa vi può consolare, nella vicina Palermo le cose non vanno affatto meglio. La pista ciclabile tracciata tanti anni fa su un tratto della via Libertà è stata smantellata e disabilitata; la recente pista che da via Lincoln raggiunge il Foro italico e poi la spiaggia di Mondello, si trova nelle stesse condizioni di quella bagherese.

Va detto subito che l’idea sbagliata di fondo – tipica di chi non usa la bicicletta - è che le piste ciclabili debbano essere fatte per le gite fuori porta o solo per l’allenamento sportivo.

Chi usa la bici in città invece sa bene quanto essa sia comoda proprio per gli spostamenti urbani, i piccoli spostamenti, per andare al lavoro, fare la spesa (ci puoi montare dei portabagagli comodissimi), andare al cinema la sera. Chi l’ha capito non la molla più, la bici.

E a proposito di aree pedonali, vale la pena accennare brevemente a quanto accaduto sempre a Palermo in zona Piazza Marina, dove le buone intenzioni della giunta Orlando di pedonalizzare le aree della movida sono naufragate di fronte alla assoluta incapacità – della stessa giunta - di tradurre operativamente il proprio stesso progetto, non coinvolgendo i residenti, non fornendo le informazioni dovute, pasticciando su multe, rimozioni e segnaletica inesistente.

Sono tanti i motivi del fallimento di questo tipo di iniziative. Ma ce n‘è uno forse più centrale di tutti.

Non possiamo certo tirare in ballo il teorema delle cattedrali nel deserto. Perché certo di cattedrali non si tratta, non stiamo parlando di grandi opere.

altMa il deserto però c’entra, e come. Creare un’area pedonale o una pista ciclabile nelle nostre amate città del sud, appare – purtroppo, ancora - come l’operazione di piantare un albero in pieno deserto, con il risultato di vederlo crepare di lì a poco.

 

Nell’uno e nell’altro caso però, queste operazioni un significato ce l’hanno, anche se non è un significato di vero progresso.

Si tratta di operazioni simboliche: anche a Bagheria abbiamo la pista ciclabile , anche a Bagheria abbiamo il centro pedonale, anche noi siamo moderni, anche noi, anche noi. Ignorando il fatto che nelle realtà dove queste cose si fanno e funzionano esse nascono da contesti sociali e urbanistici di cui non sono simboli isolati, ma quotidianità, tessuto, trama della vita e delle politiche urbane.

Una mamma col suo bambino che abita alla Certosa o un anziano con canuzzo al guinzaglio abitante in via Consolare, tanto per fare qualche esempio, che se ne fanno del Corso Umberto pedonalizzato?

Una piccola area pedonale attrezzata vicino casa non sarebbe molto più funzionale? O no?

Non credete che prima di pedonalizzare il centro si dovesse prima creare una pedonalizzazione diffusa e comoda, sotto casa ?

A vantaggio vero del cittadino invece che al servizio dell’inutile propaganda politica.

Perché prima di pensare a sperperare soldi in piste ciclabili inutili, sindaco e giunta non si sono messi a pedalare (a Londra, il Sindaco va al lavoro in bici, ma appunto è Londra) per far circolare il messaggio che è ora di cambiare abitudini ?

Simboli e bandiere creano solo divisioni e contrapposizioni da stadio. Forse è la cosa che ci riesce meglio, e non parlo solo di Bagheria.

Forse è il momento che dallo scontro tra commercianti accecati – e acciaccati - dalla crisi e pedonalizzatori accecati dall’ideologia si passi al confronto civile, analizzando tutti i risvolti della situazione in cui ci siamo cacciati.

Vedendone gli aspetti positivi e quelli negativi, per trovare una soluzione condivisa, senza pregiudizi, senza sconfitti né vincitori. Perché non è un match di football.

E’ molto di più.

Antonio Belvedere.