La Chiesa di San Domenico - di Emanuele Tornatore

La Chiesa di San Domenico - di Emanuele Tornatore

attualita
Typography

Pochi conoscono la storia della nascita della comunità parrocchiale di san Domenico, io c’ero, ragazzino, ma c’ero e ne voglio parlare oggi, giorno in cui si è posta la prima pietra della nuova chiesa. 

Ci troviamo nel territorio a monte dell’autostrada, un cavalcavia divide il territorio, diverse contrade, piccoli centri abitati strade non asfaltate, nessun servizio, zone popolate grazie – ed è triste ma reale- all’abusivismo degli anni ’80. Siamo nei primi anni ’90, l’unica realtà presente è l’Istituto San Domenico, il cosiddetto “Convitto san Domenico” o meglio ancora “nni patri Buttitta”, una struttura imponente, un labirinto di stanze che accoglie la scuola materna, gestita dall’Opera Pia, con la mensa, la palestra, il teatro e la scuola elementare come sede distaccata del circolo Didattico “L. Pirandello”.

 All’interno una piccola cappella, una chiesetta umilissima dove tutti i bambini che frequentavano la scuola si riunivano prima delle lezioni. Quella chiesetta, piccolissima diverrà l’aula di preghiera della parrocchia San Domenico, prima comunità parrocchiale della zona. 

Primo parroco fu nominato Don Antonio Cellini, originario di Campofelice di Fitalia, un intellettuale, un uomo colto, figlio del concilio vaticano II, studioso, cultore della filosofia e della letteratura.

Si presentò con un pantalone blu, una polo rosa, senza nessun cerimoniale, e noi ragazzini aspettavamo invece questo primo parroco con talare nera, con i segni distintivi convenzionali.

Rimanemmo sbalorditi, incuriositi dal suo linguaggio semplice ma nello stesso tempo elegante, dai suoi studi, dalla sua conoscenza ma soprattutto dalla sua presenza in una zona “dimenticata” e in una struttura senza locali, senza servizi.

La parrocchia era formata dalla chiesetta, da un salone grande e da una stanzetta, un bagno quasi sempre inutilizzabile, umidità, sistema elettrico quasi sempre fuori uso. Don Antonio Cellini non si perse d’animo, anzi, accetto la sfida con grande coraggio, e in pochi mesi la chiesetta non poté più contenere il numero dei giovani, dei bambini e delle famiglie presenti alla messa domenicale.

Da subito istituì insieme ai giovani della parrocchia la “Scuola di Barbiana” sulla scia di Don Lorenzo Milani, era il 1996, doposcuola pomeridiano gratuito frequentato da tutti i bambini del territorio e poi ancora le feste con le famiglie, con i giovani, la formazione cristiana, l’animazione domenicale con i bambini, gli incontri di riflessione sulla mafia, il cineforum estivo, gli spettacoli.

Potrei raccontare tante altre cose, ma volevo semplicemente condividere la gioia di sapere che in quel territorio, dopo tanti anni, dopo molti sacrifici dei membri della comunità parrocchiale, sorgerà una struttura che sarà certo una chiesa, quindi un luogo di culto ma anche e soprattutto uno spazio per la promozione umana, per la crescita sociale, e religiosa di nuove generazioni.

Sono consapevole del momento di gioia che sta vivendo in questo momento Don Antonio, tanti sono stati i nostri limiti, le nostre assenze, ma tanto è anche il nostro grazie per quello che ha fatto.

La zona a monte dell’autostrada avrà una nuova chiesa, una tenda sul territorio, un luogo e una comunità che accoglie che si fa vicina, che promuove la corresponsabilità, tenendo sempre insieme il vangelo e la costituzione italiana.

Emanuele Tornatore

alt

Nella foto l'area sulla quale sorgerà la nuova Chiesa di San Domenico

 

Vogliamo aggiungere qualche stralcio di ricordi personali sul Convitto San Domenico, che nasce per analogia con gli esclusivi convitti religiosi palermitani; anche noi convittori a Bagheria, ed io lo fui tutti e cinque gli anni della scuola elementare, come quelli del "Don Bosco" avevamo una divisa feriale ed una festiva, che dovevamo rigorosamente indossare durante le lezioni; c'eravamo gli "interni" che rientravamo a casa la sera e gli "esterni", palermitani soprattutto, ma anche ragazzini della provincia che tornavano solo a casa a fine settimana e dormivano presso il Convitto.

Avevamo insegnanti giovani e fortemente motivati e le lezioni erano "a tempo pieno", dalle 8.30 del mattino sino alla e17.00 del pomeriggio con un breve intervallo per il pranzo che veniva consumato nella sala mensa del Convitto..

Nei primi anni '50  l'Istituto San Domenico fu espressione di due tendenze di costume e politiche molto presenti nel territorio e nella società di allora: in primis la grande fiducia nel futuro che caratterizzò una comunità in forte crescita economica e sociale, come quella bagherese, che dalla ricchezza dei "verdelli" traeva linfa e risorse che davano spazio alla cultura e all'mprenditorialità.

E in secondo luogo fu appunto una delle manifestazioni della "imprenditorialità religiosa", che a ben vedere diede vita ad una sorta di paesana "Compagnia delle opere" ante litteram: negli anni che vanno dal 1950 al 1960 monsignor Domenico Buttitta oltre al Convitto San Domenico, edifica alla Traversa il  villaggio "La Madonnina", una serie di villette residenziali per le vacanze estive della buona borghesia bagherese, realizza  due grandi immobili, uno dei quali l'ecomostro recentemente demolito, sul monte Consuono, che dovevano essere destinati a  ricovero per anziani, cosa che mai avvenne; oltre ancora all'immobile che ancora oggi fa pessima mostra di sè allo svincolo autostradale e che per un certo periodo fu appunto utilizzato come ricovero per gli anziani.

Non solo: Monsignor Buttitta inventa una linea di trasporto fatta di "torpedoni", autobus di un tempo, cosiddetti perchè costruiti dalla Torpedo, un'azienda specializzata del settore,  che partivano al mattino col buio da piazza Sepolcro e, pieni di contadini con i loro attrezzi, raggiungevano le contrade collinari di Bagheria, Bellacera, Accia, Pitrusa, Torretta, Traversa ecc...e tornavano nel tardissimo pomeriggio; mentre un altro "torpedone" portava i ragazzini interni ogni mattino da piazza Sepolcro al Convitto e li riportava dopo le lezioni.

A ciò si aggiunga anche la gestione di un negozio sempre in piazza Sepolcro che vendeva libri e articoli religiosi.

Allo stesso periodo risalgono gli investimenti di Don Armando Trigona della Floresta, un altro sacerdote imprenditore che ristruttura l'edificio della  "Trasfigurazione", e scende quasi in concorrenza con monsignor Buttitta.

Angelo Gargano