I fratelli Ducato, Renato Guttuso e altri ricordi - di Peppuccio Tornatore

I fratelli Ducato, Renato Guttuso e altri ricordi - di Peppuccio Tornatore

attualita
Typography

Pensiamo sia doveroso nel momento in cui Peppino, l'ultimo dei fratelli Ducato, cultori mirabili dell'arte della pittura del carretto, ci lascia, pubblicare una riflessione di Peppuccio Tornatore sui suoi personali ricordi dei fratelli Ducato. L'intervento è tratto da un opuscolo:" Pittura del carretto siciliano - Scuola Ducato- Bagheria" pubblicato dalla Galleria d'arte moderrna e contemporanea "Renato Guttuso" nell'ottobre del 2007.

Qualche anno dopo avrei conosciuto anche gli altri fratelli. Giovanni, Minico e Peppino. Ma quando incontrai Onofrio Ducato avevo appena nove anni.

Lo ricordo benissimo perché quella fu la prima volta che misi piede in una cabina di produzione cinematografica al Capitol di Bagheria.

Che cosa ci faceva un pittore di carretti siciliani in una cabina di proiezione ? Semplice.
Giocava con il proiezionista e fotografo Mimmo Pintacuda, mio futuro maestro.

Il proiettore Cinemeccanica crepitava in quella stanzetta affumicata dalle esalazioni della lampada a d arco, Onofrio era seduto su una vecchia poltroncina con gli occhi puntati sulla Settimana Enigmistica stesa su una tavoletta di compensato,e leggeva ad alta voce le definizioni.

Talvolta i due davano la risposta in coro, altre volte era Mimmo a precederlo, oppure aprivano un dibattito, contavano le caselle, verificavano gli incroci, finalmente, quando giungevano alla soluzione, il pittore allungava un lapis accuratamente appuntito e riempiva le caselle.
 

Dire che scrivesse non è esatto.
Onofrio Ducato celebrava la parola, effigiandola con mano ferma e raffinata, disegnando le lettere con una cura ed un’eleganza smisurata rispetto alla banalità di un cruciverba.

Solo in seguito avrei scoperto che si trattava della stessa precisione con cui dipingeva i paladini, i cavalli, gli ippogrifi e gli arabeschi dei carretti siciliani che da più di mezzo secolo varcavano lo studio dei Ducato.

Lo stesso che più di un decennio dopo avrei frequentato quotidianamente per la realizzazione dl mio documentario “Il carretto”.

Fu una stagione esaltante.

Vedere i Ducato all’opera ed ascoltare i loro racconti sul passato glorioso di quell’arte in via di estinzione credo abbia segnato indelebilmente il mio modo di guardare attraverso la macchina da presa.
Ciò che più mi colpiva, in quell’animo pieno di vecchie reliquie dalle quali si traevano spunti per i soggetti dei “masciddara”, era il clima di totale autosufficienza.
A parte i colori e pochissime altre materie prime, i Ducato realizzavano da soli tutto ciò che serviva a decorare carretti, tavole votive, insegne ed i cartelloni che i compagni del PCI o della Camera del Lavoro commissionavano per le feste del l’Unità o altre manifestazioni elettorali.

Lo stucco lo facevano con le loro stesse mani, con la creta di Sciacca naturalmente, la migliore.
Anche i fogli di carta da ricalco li creavano da soli.

Con i peli delle capre costruivano persino i pennelli della per filatura delle figure, ma non peli qualunque, solo quelli tagliati dalla pancia, ch’erano più sottili e permettevano di tracciare linee finissime, indispensabili per disegnare gli occhi dei personaggi o lo sfavillio. Delle sciabole in battaglia.

Grazie ai Ducato conobbi e frequentai molti artisti di quella catena che ruotava intorno al lungo processo di costruzione e decorazione di un carretto.
Intagliatori, carradori, fabbri, sellai, e amici pittori di altri paesi della Sicilia.

Fu grazie a quel documentario che si consolidò la mi amicizia con Renato Guttuso. Lo vede e ne fu attratto.
Specialmente dalla scena della cerchiatura delle ruote.

Tempo dopo realizzai un documentario sulla sua vita e lo condussi nello studio dei Ducato dove girai una sequenza e lo intervistai.

Adorava quei pittori di carretti. Scrutava le loro opere con occhio incantato, illuminato da una familiarità antica.

Una volta il maestro aveva visto un bellissimo carretto dipinto dai Ducato e restò folgorato da uno dei quattro scacchi delle fiancate.

Raffigurava in miniatura la sua grande Battaglia sul Ponte Ammiraglio. “E’ più bello del mio” - disse-, poi prese un pennello e lo firmò.

Lo aveva già fatto un’altra volta su una riproduzione dello steso soggetto che i fratelli Ducato avevano realizzato per la sezione del partito comunista “G.Li Causi” di Bagheria, e che per anni ha sovrastato la sala delle riunioni permettendo a Garibaldi di relegare agli angoli i ritratti di Marx e Lenin.

In occasione dei settant’anni di Renato Guttuso, il consiglio comunale di cui facevo parte in qualità di consigliere del gruppo comunista, mi affidò l’incarico di progettare un dono per il maestro di Bagheria.

Corsi dai Ducato e raccontai la mia idea di un singolare “masciddaru” raffigurante la più grande battaglia che si fosse mai dipinta su una fiancata di carretto.
Tra la folla di cavalieri che combattevano impugnando lo scudo e volteggiando in aria la durlindana ve n’era uno che , a ben guardare, non indossava alcuna armatura.
Al posto della spada stringeva in pugno un pennello e invece dello scudo aveva la tavolozza di colori.
Era Guttuso.

Chissà se gli piacque. Ma per me fu un vero privilegio avere partecipato alla nascita di quell’opera.

L’immagine che non potrò mai dimenticare è la giacca che Onofrio Ducato indossava quando dipingeva.
Usava solo quella per pulirsi le mani.

Dopo anni e anni di lavoro vi erano stampate, una sull’altra, milioni di impronte digitali di tutti i colori. Un autentico capolavoro.

Nella foto di copertina Un pannello realizzato da Giuseppe Ducato e dal figlio Michele nel 1990 in occasione del 30° anniversario della nascita della Cooperativa "La Sicilia"