"La cosa migliore da fare al punto in cui ci troviamo, è demolire la Certosa; così si darebbe sfogo ad un intero quartiere, eliminando quell'assurda strettoia".
Strettoia, si badi bene, causata non dalla Certosa che preesisteva da trecento anni, ma dalle case abusive che le sorsero a ridosso.
Cancellare, distruggere quanto resta del passato, fare piazza pulita della storia e della memoria, dei manufatti vecchi e antichi che danno impaccio allo sviluppo arbitrario, abusivo e caotico.
Eppure, e lo diciamo a parziale discolpa dell'allora senatore Ignazio Mineo, che pronunciò quella frase e che oggi non può più difendersi, fu lo stesso che per proteggere l'arco azzurro dall'aggressione mafiosa, ci lasciò la vita.
E questa verità è consegnata alle carte e alla sentenza di un processo. Ma su questo un giorno torneremo.
Quella frase improvvida, ci costò un articolo indignato del Corriere della Sera e il giudizio sprezzante di un parte di italiani, sempre più confusi di fronte a questa città, Giano bifronte, terra e patria di grandi uomini di sapere e di cultura, e terra e patria di grandi mafiosi e politici demagoghi.
Era sindaco al tempo, siamo nei primi anni '80 Andrea Zangara, che malgrado le responsabilità che lui e il suo partito, la Democrazia Cristiana, portavano nell'esplodere del fenomeno dell'abusivismo edilizio, e le cui conseguenze ancora oggi paghiamo, è una persona che della cultura e della storia, pur non essendo né uomo di lettere o di cultura, ne intuisce il senso profondo e il valore.
Piuttosto che demolirla avviò la procedura di acquisto dei 5/9 che non erano di proprietà comunale, così come sollecitato dal'opposizione comunista guidata allora dall'onorevole Peppino Speciale.
Inizia in quegli anni l'inversione di una tendenza, non solo e non tutta baarìota, alla trascuratezza e all'abbandono se non addirittura alla distruzione dei nostri beni monumentali che aveva trovato indegna consacrazione, in tanti episodi che non è inopportuno ricordare soprattutto per i più giovani.
Si era cominciato negli anni '20 allorchè era stato sventrato e cancellato il viale monumentale di ingresso di Villa Palagonìa; si continua nei primi anni '50 quando viene lottizzato lo splendido parco del Palazzo Butera che confina con la Certosa; ma c'era già stato sempre negli anni ‘20, udite udite, l'arbitrio del grande luminare delle scienze oculistiche dell'epoca il professor Giuseppe Cirrincione che pur contro il parere dell'amminsitrazione del tempo, pretese di costruirsi la propria villa proprio tra gli ingressi di Villa Trabia e Villa Valguarnera.
E' dei primi anni '60 invece la manomissione in larga parte realizzata abusivamente del parco di Villa Valguarnera e degli anni '70 l'approvazione della lottizzazione del parco di Villa Trabia.
Ed a completare il quadro va ricordato un episodio: nel 1953, di fronte al bivio se procedere con un mutuo agevolato all'acquisto, allora possibile, di Villa Palagonia, l'Amministrazione del tempo preferì stipulare un mutuo ordinario con il Banco di Sicilia per realizzare l'attuale campo sportivo.
Ed è proprio nei primi degli anni '80 che questa sciagurato rosario di aggressione alle ville e ai loro parchi viene invertito: ed oggi dopo trenta anni si possono contare i successi.
Nell'ordine: l'acquisto della totalità e il restauro sia pure parziale della Certosa, l'acquisto e la completa ristrutturazione di Palazzo Cattolica, oggi sede prestigiosa del Museo Guttuso; l'acquisto e la ristrutturazione di palazzo Aragona Cutò; l'acquisto, in questa caso da parte della Provincia Regionale di Palermo, di Villa San Cataldo; l'acquisto di Palazzo Butera, e la sua pressocchè totale ristrutturazione, e la cui prossima presentazione alla città è stato il pretesto per scrivere queste considerazioni; se a ciò si aggiunge che almeno tre dimore storiche, Villa Spedalotto, Villa Trabia e Villa Sant'Isidoro, sono (o sono state di recente) abitate e sono quindi ben tenute; che due tra questi manufatti settecenteschi, Villa Ramacca e Villarosa, sono stati ristrutturati e vengono utilizzati da privati; che Villa Palagonìa è visitabile, e che qualche timido spiraglio si apre anche per Villa Valgurarnera, non ci si può che ritenere soddisfatti.
I meriti? Un po' di tutti.
Di quanti ci hanno creduto: dai semplici cittadini, alle associazioni e ai partiti, a quei politici, ai sindaci e li dobbiamo citare tutti, da Zangara di cui dicevamo ad Antonio Gargano, da Giovanni Valentino al suo assessore Franco Lo Piparo, da Pino Fricano a Biagio Sciortino, nella doppia veste prima di assessore e poi da sindaco.
Un nome tra tutti però va ricordato come quello che più si è battuto per questi risultati, e che oggi sarebbe veramente un uomo felice, perché avrebbe visto realizzato un sogno: ed è quello di Giuseppe Speciale.
Oltre che politico e giornalista di vaglia, fu una delle coscienze critiche della città, di cui oggi si sente la mancanza.
Fu lui a guidare queste battaglie, fu lui, che già trenta e passa anni fa, a tutti i sindaci che si succedevano, non faceva che ripetere, che la sede della municipalità di Bagheria doveva essere Palazzo Butera, perché in quel luogo si poteva considerare che fosse nata la nostra città.
Ed è a Lui che andrebbe dedicata la giornata in cui Bagheria tornerà al palazzo dei Branciforti