Era da tanti, tantissimi anni che a Bagheria non si parlava di limoni, diciamo dagli anni '80, quando ancora ci ostinavamo a pensare che la crisi non fosse strutturale e irreversibile, ma che con opportuni rimedi fosse possibile il rilancio di un comparto economico
che aveva garantito sviluppo, ricchezza e cultura.
Se ne parlerà sabato alle 17, in un convegno dal titolo:" La coltura del limone a Bagheria: passato e futuro", organizzato dai Lions all'I.T.C. "L.Sturzo"
Ne parleranno esperti di storia del territorio, di problematiche legate alla produzione e alla commercializzazione e della reddività che questa coltura ebbe negli anni d'oro.
Si cercherà di ricreare quello spirito presente in "Baarìa" e cioè quello di una comunità povera, che credeva tanto però in sé stessa e nel futuro.
Encomiabile l'iniziativa dei Lions, anche se non si comprende bene cosa si intende nel sottotitolo per "futuro" della coltura del limone, ed anche se noi, agli studiosi e agli esperti di indubbio valore che cireranno le relazioni, avremmo accostato anche qualcuno in grado di sviluppare qualche considerazione socio-politica sulla società bagherese, nel momento in cui il limone fu traino per la crescita, e poi sui motivi della decadenza, e sui fenomeni deteriori innescati dalla crisi.
Forse, solo un intervento previsto sul Consorzio idro-agricolo rimanda a questi aspetti, oltre che agli aspri conflitti sociali che in quel periodo si manifestarono.
Perché per esempio intorno agli anni '60, per gran parte i profitti realizzati con i limoni furono indirizzati dai commercianti e dai grossi proprietari bagheresi verso investimenti che portarono all'acquisto in mezza Sicilia, (da Campofelice di Roccella a Sant'Agata di Militello, da Capo d'Orlando ad Acate , da Floridia a Rosolini a Vittoria ecc..,) di terreni da destinare agli impianti agrumicoli e servirono ad alimentare una crescita sociale, culturale ed etica oltre che economica di Bagheria.
Negli anni '70 invece i fenomeni speculativi videro invece i profitti, illecitamente accumulati dagli speculatori e intrallazzasti, orientarsi verso l'edilizia, con il duplice risultato di non essere riusciti da un canto ad individuare una strada alternativa alla coltura del limone, ( i cui limiti per una ulteriore crescita e sviluppo nel nostro territorio erano già chiaramente visibili,) e dall'altro di massacrare il territorio con tutti i commercianti di agrumi e gli agrari trasformatisi in palazzinari.
Quel circolo "virtuoso" , che nei secoli trascorsi Bagheria aveva sperimentato, canna da zucchero>sommacco>grano>ulivo>vite>pomodoro>agrumi, ( che aveva mutato nei secoli il nostro paesaggio agrario), e che ad ogni crisi colturale aveva consentito di rilanciare con altre produzioni, in quel momento si inceppò, perché si preferì da parte di commercianti senza scrupoli di arricchirsi con gli intrallazzi, e costruire palazzi, piuttosto che cercare una nuova via per produrre ricchezza.
Con la classe politica dirigente del tempo a reggere bordone.
Ed ancora oggi noi paghiamo il prezzo di quelle scelte, più o meno consapevolmente scellerate, che hanno fatto perdere a Bagheria l'identità di una realtà produttiva e l'hanno trasformata in brutta periferia e dormitorio di Palermo come amiamo dire da qualche decennio a questa parte.
Oggi è il momento di raccogliere le reliquie, perché ancora è possibile, di quella cultura materiale e di farne museo: mezzi, strumenti di lavoro, immagini, testimonianze, linguaggio di una realtà della quale rimane ancora oggi qualche traccia e che tra qualche anno sarà del tutto scomparsa.