A che punto sono le aree artigianali? di A. Gargano

A che punto sono le aree artigianali? di A. Gargano

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I problemi a Bagheria sono come quelle "emergenze" che riempiono periodicamente i quotidiani italiani: all’improvviso si comincia a parlare della siccità in Namibia o della fame nel Corno d’Africa,

della guerra tribale nel Togo o di quelle religiose in Nigeria.

Sono in realtà drammi endemici che i giornali però, talvolta a corto di notizie rilanciano, con articoli, inviati, allarmi, appelli e le fanno diventare “titoloni” ed “emergenze”.
Poi all’improvviso come per un colpo di bacchetta magica, non se ne parla più, e non certo perché i drammi delle popolazioni si siano risolti, semplicemente perché non tirano più da un punto di vista giornalistico, o perché noi abitanti dei paesi ricchi abbiamo esaurito la nostra riserva di pietà, o perché ci dobbiamo occupare dell’alluvione, del terremoto, della frana o dei ladroni di turno di casa nostra, oppure della solita legge "ad personam" per evitare i processi a Silvio Berlusconi.
 

Così è a Bagheria: titoli sui giornali locali, interviste, compiacimento o allarme a seconda del problema, poi tutto cade nel silenzio. Dopo qualche tempo, noi per primi, ci risvegliamo e ci chiediamo: ma a che punto è quella questione, che appena qualche mese fa era importante, decisiva e vitale. E potremmo fare decine di esempi.

Oggi parliamo delle aree artigianali. La variante urbanistica fu approvata dal consiglio comunale nell’ottobre del 2007. Grandi paccate di pacche sulle spalle tra consiglieri, sindaco e assessori: ma quanto siamo belli, ma quanto siamo bravi!
Chi lo definisce un "momento storico", chi dice che si realizza un obiettivo perseguito per trenta, chi per quaranta anni; insomma in questo mare magno di autocompiacimento e di complimenti, ti fanno quasi toccare con mano i capannoni, le imprese artigiane che investono e intraprendono, i giovani che finalmente trovano opportunità di lavoro.
Fra due, tre mesi al massimo, qualcuno si lascia scappare, avremo il regolamento delle aree P.I.P: in realtà, il regolamento verrà approvato nel dicembre del 2008, dopo quindici mesi.

E’ fatta, pensiamo noi, finalmente si parte, anzi no.

Bisogna fare la gara d’appalto per le infrastrutturazioni, strade, fogne, luce: siamo “quasi”pronti dice l’assessore, che nel frattempo è cambiato.
Intanto scadono i termini per l’utilizzo dei finanziamenti, ed inizia la rincorsa per chiedere la proroga e recuperare i finanziamenti, e pare che si ci riesca, come si diceva un tempo, in”zona Cesarini”.
Nel mese di Agosto del 2009, l’assessore Gino Di Stefano è costretto addirittura ad anticipare le somme per la pubblicazione del bando di gara, perché nelle casse del Comune non ci sono neanche quel centinaio di euro che serve alla bisogna; i distributori di carburante lasciano a secco i mezzi comunali, figuratevi permettersi  il "lusso" di pagare la pubblicazione di un appalto.
 

Ad ottobre del 2009 finalmente la gara viene espletata, c’è l’impresa vincitrice, quindi, anche noi scettici, pensiamo: ecco finalmente si comincia sul serio.
 

Ma neanche per sogno, perché c’è ancora da definire "l’immissione in possesso" nelle aree oggetto dell’inetrvento, un “dettaglio” insomma, ed ora pare che si stia provvedendo.
Ma nel frattempo, in un paese normale, si sarebbe già potuto approvare il bando di assegnazione dei lotti, pubblicarlo, esaminare le richieste delle imprese, e iniziare quell’altra “via crucis”, che tra ricorsi e controricorsi si prenderà il suo tempo.

Ma l’assessore, che naturalmente è di nuovo cambiato, ci dice che al bando per le assegnazioni ci stanno ancora “lavorando”.
E voi pensate a poveracci, con le camicie madide di sudore, che lavorano come disperati a questo benedetto bando.
A breve saranno trascorsi tre anni da un risultato definito “storico”; tra un paio di mesi l'impresa vincitrice, statene certi, chiederà un adeguamento dei prezzi, gli artigiani e i bagheresi aspettano pazientemente , ma dei capannoni, ancora neanche l’ombra.
Forse l’obiettivo anche stavolta è di raggiungere un risultato storico: mandare tutto a quel paese.