“Crimine e dintorni” vuole essere una finestra aperta sull’universo criminologico e sulla sua multidisciplinarità per analizzare i delitti, i loro autori e le conseguenti reazioni sociali: casi famosi o mai risolti, serial killer, psicologia criminale, nuove tipologie di reato, profili criminali e le ultime frontiere investigative.
L’obiettivo che ci si propone, con questo nuovo servizio reso ai lettori, è quello di coniugare analisi di fenomeni criminologici e immediatezza comunicativa del giornalismo.
Tutto ciò sarà reso possibile anche grazie a contributi autorevoli di esperti.
Tutto ciò sarà reso possibile anche grazie a contributi autorevoli di esperti.
BULLI SICILIANI
Torturano animali domestici o randagi, li seviziano nei modi più disparati e poi condividono le ‘gloriose gesta’ in rete grazie alle riprese che effettuano con le videocamere dei loro cellulari.
È di qualche settimana fa il macabro caso balzato alle cronache nazionali di un gruppo di ragazzini siciliani, fra i 9 e i 15 anni, i quali hanno seviziato un cane di razza yorkshire e poi gli hanno tolto la vita impiccandolo ad una maniglia. A compiere materialmente l’impiccagione è stato il più piccolo del gruppo.
Una comitiva di bambini fra i 6 e i 9 anni, tutti provenienti da famiglie di ceto medio del palermitano, usciva in bici e per fare qualcosa di diverso giocando a chi avrebbe investito per primo dei cuccioli di gatto. Un gruppo di ragazzini, tutti delle scuole medie, ha trovato invece interessante prendere a sassate i volatili e staccargli le zampe. Questi sono solo alcuni esempi di una lunga sequenza di eventi raccapriccianti perpetrati da minori siciliani ma potremmo elencare casi analoghi riferendoci a molte altre zone italiane.
Come interpretare, prevenire e arginare questa violenza dirompente? Abbiamo chiesto ad una psicologa-criminologa, una sociologa-criminologa e una giurista-criminologa di analizzare la problematica. “I fenomeni in questione, seppur diversi, - dichiara Simona Ruffini, psicologa e responsabile del settore Criminologia dell’età evolutiva del Themiscrime- presentano similitudini allarmanti, prima fra tutte la giovane età dei minori. A differenza di quanto potrebbe apparire ad un’analisi superficiale, i nostri giovani non stanno maturando più in fretta. Al contrario il massiccio bombardamento di stimoli ai quali sono sottoposti, unito alla carenza di figure che possano fungere da filtro tra i minori e la società stessa, rischia di stimolare precocemente capacità cognitive e morali non ancora pienamente sviluppate”.
Spesso i giovanissimi avvezzi alla violenza vengono definiti genericamente come “bulli”, termine che accoglie in se un universo pieno di ombre e che trova impreparati al vorticoso susseguirsi degli eventi gli stessi genitori dei minori autori di reato.
Ma tecnicamente quando è corretto parlare di bullismo e come riconoscerne i segnali? “Il bullismo- afferma la sociologa-criminologa Gabriella Salvatore- si riproduce nell’intenzionalità, quindi nel deliberato scopo di offendere, ferire, arrecare danno; nella persistenza nel tempo, non è infatti un atto episodico, e nell’asimmetria di potere, assumendo forme fisiche, verbali, indirette, elettroniche. Questo fenomeno non è un problema semplicemente relativo ad un ragazzo che presenta qualche patologia difficile da contenere, ma è una dinamica di gruppo in cui gli ingredienti fondamentali non si limitano alla sola presenza del bullo e della vittima, ma è vitale per il suo funzionamento l’esistenza di un “pubblico” che vada a rinforzare e sostenere il fenomeno stesso”.
Testimone e “complice” degli atti violenti è sempre più spesso l'occhio elettronico della fotocamera del telefono cellulare: “il disimpegno morale che pervade questo fenomeno - spiega la sociologa- sviluppa una nuova caratteristica che si manifesta in questi spietati episodi: è come se la violenza non esistesse se non la si è mostrata agli altri, se non è resa palese da una ripresa con il cellulare”.
E sul connubio fra tecnologia e violenza la psicologa- criminologa Ruffini, invita a una riflessione: “E’ utile interrogarsi su quali strumenti stiamo dando ai nostri minori e come insegniamo loro ad usarli. Internet, televisione, telefonini, mancanza di dialogo, disinteresse, esempi sbagliati: è come se avessimo dato ai nostri figli una macchina troppo potente e non avessimo ancora insegnato loro a guidare”.
Dal punto di vista normativo la violenza compiuta da un minore porta a doversi confrontare sulla spinosa questione della non imputabilità. Ad offrire alcune delucidazioni in merito è la giurista-criminologa Cesira Cruciani, responsabile del Centro Studi Criminologico Forensi dell’Associazione Matrimonialisti Italiani di Roma: “Per i soggetti di età compresa tra i 14 ed i 18 anni di età, la capacità di intendere e volere non può essere presunta dalla natura dei reati ascritti al minore o dal comportamento post factum dello stesso. L'operato del giudice deve pertanto consistere obbligatoriamente nell'accertamento degli aspetti psico-caratteriali indicati con l'ausilio delle speciali indagini prescritte dalla legge istitutiva del Tribunale per i minorenni. Perché un minore di età sia riconosciuto incapace di intendere, al momento della commissione del reato, è necessario l'accertamento di un'infermità di natura ed intensità tali da comprendere, in tutto o in parte, i processi conoscitivi, valutativi e volitivi del soggetto, eliminando od attenuando grandemente la capacità di percepire il disvalore sociale del fatto e di autodeterminarsi autonomamente”.
Alla luce di quanto affermato dai tre esperti, sarebbe auspicabile la presenza, in ogni scuola, di personale altamente specializzato e formato per aiutare non solo con la buona volontà ma con adeguati strumenti, i bulli, i ragazzini loro vittime e le famiglie di entrambi.
a cura di:
Giusy La Piana
È di qualche settimana fa il macabro caso balzato alle cronache nazionali di un gruppo di ragazzini siciliani, fra i 9 e i 15 anni, i quali hanno seviziato un cane di razza yorkshire e poi gli hanno tolto la vita impiccandolo ad una maniglia. A compiere materialmente l’impiccagione è stato il più piccolo del gruppo.
Una comitiva di bambini fra i 6 e i 9 anni, tutti provenienti da famiglie di ceto medio del palermitano, usciva in bici e per fare qualcosa di diverso giocando a chi avrebbe investito per primo dei cuccioli di gatto. Un gruppo di ragazzini, tutti delle scuole medie, ha trovato invece interessante prendere a sassate i volatili e staccargli le zampe. Questi sono solo alcuni esempi di una lunga sequenza di eventi raccapriccianti perpetrati da minori siciliani ma potremmo elencare casi analoghi riferendoci a molte altre zone italiane.
Come interpretare, prevenire e arginare questa violenza dirompente? Abbiamo chiesto ad una psicologa-criminologa, una sociologa-criminologa e una giurista-criminologa di analizzare la problematica. “I fenomeni in questione, seppur diversi, - dichiara Simona Ruffini, psicologa e responsabile del settore Criminologia dell’età evolutiva del Themiscrime- presentano similitudini allarmanti, prima fra tutte la giovane età dei minori. A differenza di quanto potrebbe apparire ad un’analisi superficiale, i nostri giovani non stanno maturando più in fretta. Al contrario il massiccio bombardamento di stimoli ai quali sono sottoposti, unito alla carenza di figure che possano fungere da filtro tra i minori e la società stessa, rischia di stimolare precocemente capacità cognitive e morali non ancora pienamente sviluppate”.
Spesso i giovanissimi avvezzi alla violenza vengono definiti genericamente come “bulli”, termine che accoglie in se un universo pieno di ombre e che trova impreparati al vorticoso susseguirsi degli eventi gli stessi genitori dei minori autori di reato.
Ma tecnicamente quando è corretto parlare di bullismo e come riconoscerne i segnali? “Il bullismo- afferma la sociologa-criminologa Gabriella Salvatore- si riproduce nell’intenzionalità, quindi nel deliberato scopo di offendere, ferire, arrecare danno; nella persistenza nel tempo, non è infatti un atto episodico, e nell’asimmetria di potere, assumendo forme fisiche, verbali, indirette, elettroniche. Questo fenomeno non è un problema semplicemente relativo ad un ragazzo che presenta qualche patologia difficile da contenere, ma è una dinamica di gruppo in cui gli ingredienti fondamentali non si limitano alla sola presenza del bullo e della vittima, ma è vitale per il suo funzionamento l’esistenza di un “pubblico” che vada a rinforzare e sostenere il fenomeno stesso”.
Testimone e “complice” degli atti violenti è sempre più spesso l'occhio elettronico della fotocamera del telefono cellulare: “il disimpegno morale che pervade questo fenomeno - spiega la sociologa- sviluppa una nuova caratteristica che si manifesta in questi spietati episodi: è come se la violenza non esistesse se non la si è mostrata agli altri, se non è resa palese da una ripresa con il cellulare”.
E sul connubio fra tecnologia e violenza la psicologa- criminologa Ruffini, invita a una riflessione: “E’ utile interrogarsi su quali strumenti stiamo dando ai nostri minori e come insegniamo loro ad usarli. Internet, televisione, telefonini, mancanza di dialogo, disinteresse, esempi sbagliati: è come se avessimo dato ai nostri figli una macchina troppo potente e non avessimo ancora insegnato loro a guidare”.
Dal punto di vista normativo la violenza compiuta da un minore porta a doversi confrontare sulla spinosa questione della non imputabilità. Ad offrire alcune delucidazioni in merito è la giurista-criminologa Cesira Cruciani, responsabile del Centro Studi Criminologico Forensi dell’Associazione Matrimonialisti Italiani di Roma: “Per i soggetti di età compresa tra i 14 ed i 18 anni di età, la capacità di intendere e volere non può essere presunta dalla natura dei reati ascritti al minore o dal comportamento post factum dello stesso. L'operato del giudice deve pertanto consistere obbligatoriamente nell'accertamento degli aspetti psico-caratteriali indicati con l'ausilio delle speciali indagini prescritte dalla legge istitutiva del Tribunale per i minorenni. Perché un minore di età sia riconosciuto incapace di intendere, al momento della commissione del reato, è necessario l'accertamento di un'infermità di natura ed intensità tali da comprendere, in tutto o in parte, i processi conoscitivi, valutativi e volitivi del soggetto, eliminando od attenuando grandemente la capacità di percepire il disvalore sociale del fatto e di autodeterminarsi autonomamente”.
Alla luce di quanto affermato dai tre esperti, sarebbe auspicabile la presenza, in ogni scuola, di personale altamente specializzato e formato per aiutare non solo con la buona volontà ma con adeguati strumenti, i bulli, i ragazzini loro vittime e le famiglie di entrambi.
a cura di:
Giusy La Piana