Il sindaco esprima tutta la "vis" politica, indirizzi gli atti della sua amministrazione verso le scelte che ne imprimano una efficace gestione della cosa pubblica bagherese. La sua azione di governo sarà valutata su quelle basi che lui stesso
ha predisposto in questi anni.
I risultati, al centro dell’opinione pubblica, inconsapevole e strumentalizzata, accentueranno lo iato esistente fra i proclami elettorali sine die e la vivibilità democratica della città.
Come per un atleta, la preparazione agonistica risulta fondamentale per l’esito della gara; come per un buon cristiano, l’accesso al sacramento dell’eucaristia, necessita di una buona confessione, contrizione, espiazione della colpa; come per l’eremita, la solitudine avvia i grani della sua ascesi; così per il buon politico la memoria delle azioni compiute imprime il valore aggiunto della credibilità.
La damnatio memoriae investe le modalità operative attuate nella nodale – per la comunità bagherese, come per la nostra nazione- questione della lotta alla mafia, ai mafiosi, al pizzo e agli usurai.
Nel maggio dello scorso anno l’amministrazione di città si risolse di istituire un ufficio comunale con compiti di informazione e di contrasto culturale alla delinquenza organizzata, con il duplice intento di fornire assistenza ai bagheresi afflitti dalla “messa a posto” e dagli strozzini, di portare i temi della legalità nella società civile.
Una delle due coordinatrici dell’ufficio, l’autrice di questa precisazione, fu selezionata sulla base delle sue ferree convinzioni democratiche, nettamente avverse ad ogni forma di mafia e mafiosità, come di inclinazione a svendita clientelare della propria onestà intellettuale.
Poiché di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno, le fu richiesta una formazione ad hoc, conseguita con il corso sul racket e l’usura organizzato dalla Confcommercio di Palermo.
Dunque, il sindaco aveva operato una scelta che comprendeva l’istituzione del Centro antiracket comunale e il conferimento dell’incarico di coordinarlo a due professioniste, estranee alla carovana dell’antimafia.
Per una disattenzione, banale svista causata dall’afa agostana, l’ufficio viene chiuso nel settembre 2008.
Riaperto il 13 ottobre seguente. Richiuso il 28 febbraio scorso.
Dunque, da una svista, si è passati, con l’ultimo adempimento, ad una risoluzione programmatica su come e con chi fare l’antimafia in città.
In questi mesi sono cambiate le alleanze politiche in giunta.
La vexata quaestio: l’antimafia è di destra o di sinistra, e se di quest’ultima, quale delle sue innumerevoli anime?
Altro interrogativo amletico: perché né il sindaco, né l’assessore alla legalità hanno fornito un pubblico resoconto sulle attività svolte dalle incaricate, verificando la conformità dei mezzi agli obiettivi da raggiungere?
Inoltre: ”Quanti protocolli di intesa (il primo con la Confcommercio, il secondo con Metropoli Est e l’associazione antiracket di Pippo Cipriani, l’homo novo della legalità, non considerando il suo assessorato alla legalità dell’amministrazione Fricano) deve ancora firmare il sindaco Sciortino, per avere le idee chiare se esternalizzare o meno i servizi dell’antimafia comunale?
Di abbacinante evidenza, risulta un progetto sull’antimafia che, assunta la forma dello sportello antiracket, ha sempre subito le stigmate di volontà politiche ballerine, se in buona fede, clientelari, nell’altro caso.
Ogni intenzione di usare la parola mafia, privata della retorica da caravanserraglio dei vari Parlamenti delle legalità (ignari le personalità dell’antimafia invitate alle manifestazioni) per un processo “maieutico” di una cultura delle regole e dell’autogestione civica, ha subito il congelamento senza riserve di chi avrebbe dovuto promuoverla.
Il sindaco mediti sulla legalità non come mero rispetto delle leggi da parte dei cittadini, ma come attributo del potere politico in quanto potere non arbitrario ma esercitato nell’ambito e in conformità delle leggi.
La tentazione di conferire una struttura mitica all’antimafia cittadina, disperdendo ”la qualità storica” dei fatti e delle decisioni di pubblico interesse accaduti , denuncerebbe il suo freudiano interesse a purificarle, farle innocenti, istituirle come natura (certe realtà associative intoccabili) e come eternità, a dare loro una chiarezza che non è quella della spiegazione ma della constatazione.
Questo è il metodo migliore per nutrire anime morte, in preda a bulimia parassitaria.
Che il mio intendimento scrittorio nasca dal valore testimoniale della esperienza e non dalla volontà di dare “fuoco alle polveri”, soffiare sul vento delle polemiche, è incontestabile sia perla scelta temporale di questo intervento -a tre settimane dalla chiusura del Centro- che per la trattazione generica e priva di ogni forma di j’accuse per le potenzialità mortificate dell’ufficio antiracket.
L’etica della parola scritta trova in sé le ragioni dell’intervento.