La Comunicazione politica della mafia

La Comunicazione politica della mafia

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Insomma la politica, se la mafia non ci fosse, la inventerebbe. Quindi è inutile che giriamo attorno a questo argomento, perché non risolveremmo mai niente”. Queste ironiche e disfattiste parole, del collaboratore di giustizia Tullio Cannella,

(Tribunale di Palermo, V sezione, proc. Pen. n° 3538/94 a carico di Andreotti Giulio, udienza del 18.6.96) offrono un quadro aberrante in cui la mafia appare come non espungibile da ambienti politici che spesso hanno nascosto alla luce del sole crepe d’illegalità nell’architettura istituzionale.

Proclamarsi “Puliti, legalisti e integerrimi” in molti casi non è bastato (la storia giudiziaria lo dimostra) perché l’odore dei soldi e del potere non è riuscito, alla lunga, a coprire il lezzo del marciume. Reiterati connubi fra interessi mafiosi, politici, economici e istituzionali si sono rivelati per l’organizzazione criminale risorsa energetica dal valore inestimabile, sistema per salvaguardare e affinare la propria capacità offensiva.

La mafia, si sa, in fatto di controllo di consenso elettorale ha una lunga tradizione la cui realizzazione le ha permesso di muovere pedine fondamentali nella polis e nella quotidianità dei cittadini come, valga a mo’ di esempio, il controllo della sanità pubblica, l’imposizione di gente ‘fidata’ in enti di ogni ordine e grado, l’orientamento di procedimenti amministrativi per falsare gare, appalti, edilizia etc.
La collaborazione fra famiglie mafiose e candidati graditi a Cosa Nostra si è sviluppata grazie ad un sistema di comunicazione tanto atavico quanto esplicito. A darne un’interessante esemplificazione è stato il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta: “Era sufficiente che il capomafia della zona girasse per le strade tenendo sottobraccio il candidato che intendeva promuovere, magari accompagnandolo a prendere il caffè in un bar del quartiere. Era importante che tutti li vedessero insieme[…] la semplice compagnia dell’uomo d’onore era una chiara indicazione agli elettori del posto”. (Tribunale di Palermo, V sezione, proc. Pen. n° 3538/94 a carico di Andreotti Giulio, udienza del 9.1.96)

La forza coercitiva della comunicazione mafiosa del boss era talmente efficace da permettere un’attendibile stima dei voti per il candidato zona per zona. A detta di Tullio Cannella il lavoro elettorale porta a porta sarebbe stato messo a punto dagli uomini della mafia ancora prima degli americani:
“ [Il candidato] girava e si stava, diciamo, stazionava presso il bar… [...] in compagnia di Salvatore Greco […] e così via di seguito, affinché la gente comune, il lavoratore, il contadino, l’operaio che conosceva la statura dei personaggi, capiva e comprendeva che quella persona che veniva presentata a loro era persona alla quale costoro tenevano e che quindi era meritevole di fiducia e doveva essere votata”. (Tribunale di Palermo, V sezione, proc. Pen. n° 3538/94 a carico di Andreotti Giulio, udienza del 18.6.96).

E chi ritiene che Cosa Nostra utilizzi la sua forza elettorale per l’acquisizione di beni o prestazioni vede solo una parte del problema. L’altra faccia della medaglia è qualcosa d’intangibile, ma di altrettanto infimo e irrispettoso della dignità di ogni onesto cittadino, è la cosiddetta “strategia del niente”. Ad illustrarla agli inquirenti è stato il collaboratore di giustizia Salvatore Cocuzza: “ …Qualcuno magari ipotizza che uno vota un partito perché deve fare qualche cosa per Cosa Nostra e invece, in realtà, è questo: Cosa Nostra […] votava quel partito perché non facesse niente, cioè, questo era il problema, non che facesse qualcosa. […] Perché non si facesse nulla […] che le cose rimanessero per come erano, per noi era già un grosso favore, una cosa importante”. (Tribunale di Palermo, V sezione, proc. Pen. n° 3538/94 a carico di Andreotti Giulio, udienza del 22.4.97).

Il silenzio politico-istituzionale è dunque cosa particolarmente gradita all’organizzazione criminale, un’arma invisibile sempre puntata contro l’interesse diffuso e la democrazia. Specie in realtà locali con ferite di mafia mai sanate, il silenzio su determinate tematiche, il non prodigarsi per far luce sulle ombre di illegittimità, violazioni di legge e irregolarità amministrative, è un segnale allarmante.

Forse di questo tutti i politici onesti dovrebbero tenere conto: infatti se per negligenza, distrazione, pigrizia o per dare precedenza alle incombenze elettorali non si occupano di problematiche importanti per la cittadinanza corrono un rischio ancora più grande dell’essere etichettati come “Incapaci politicamente”, ossia che si possa percepire il loro non agire come preciso disegno mafioso.


A sinistra, Giusy La Piana