Il rapporto microcosmo/macrocosmo - pur con il suo coefficiente di distorta specularità - è un concetto di antica tradizione filosofica, ma ancora efficace per comprendere le parassitarie mutazioni di certe amministrazioni locali.
Quella di Bagheria, ad esempio, che venerdì scorso (28 agosto) ha provato a ripresentarsi alla cittadinanza like a virgin.
Perché i non indigeni possono provare a comprendere, urge cronistoria in sintesi: dopo l’esito elettorale delle politiche dello scorso Aprile, il sindaco Sciortino annuncia un probabile rimpasto della giunta da lui guidata (PD, SD, Liste Civiche). Ma attende, per attuarlo, i risultati delle consultazioni provinciali (che per il PD cittadino saranno, ad esempio, più luttuose che mai). Motivazione? Rilancio dell’azione amministrativa. E fin qui, da elettore del Sindaco e della sua giunta, riesco a capire. Se la squadra non gira, bisogna chiamare il time-out. Però, se sono l’allenatore della Juve, nell’intervallo della partita non chiamo il centravanti del Milan a risolvere i miei problemi di gioco.
E invece – perdonate la metafora calcistica – il sindaco Sciortino sembra avere fatto una mossa del genere. Perché, il 28 agosto, entra in giunta l’UDC con ben tre Assessori (Cencelli docet). Quell’UDC che da due anni portava avanti una legittima (dal suo, legittimo, punto di vista) politica di opposizione alle scelte di Sciortino. Tutto ciò è stato realizzato senza alcuna cura del rapporto macrocosmo/microcosmo. Bastino due fatti: l’UDC è al governo regionale col PDL (e in opposizione costruttiva a Montecitorio) e da sette anni a Bagheria fa, più o meno, opposizione; è stata fatta fuori, incautamente, parte di ciò che rimaneva a sinistra per ritrovarsi, nella nuova giunta, con assessori indipendenti che però sembra abbiano appoggiato l’MPA alle ultime provinciali.
Dove recupera, però, il Sindaco Sciortino l’equilibrio speculare tra macrocosmo e microcosmo? Nel non tenere in conto il voto dell’elettore – nello spirito, se non nella lettera, della legge elettorale nazionale: secondo la quale l’elettore non vota, ma traccia un segno su un nome già deciso a monte. Nelle consultazioni amministrative locali, infatti, deteniamo ancora il privilegio di scrivere il cognome del nostro candidato. Scelta che di fatto non vale nulla se l’eletto può farne carta straccia e cambiare alleanza rispetto a quella programmatica sulla base della quale era stato indicato dai cittadini.
Capisco bene il plauso mosso dall’Onorevole Saverio Romano ‘alla sensibilità dimostrata’ dal Sindaco Sciortino: verso la parte politica che l’Onorevole rappresenta è una sensibilità che rasenta quasi la genuflessione. Capisco meno, invece, da elettore che ha visto svilito il proprio voto, commenti come quelli apparsi su Il Messaggero del 31 agosto, dove si parla addirittura di ‘laboratorio politico’: possiamo piegarci al monito realpolitik secondo il quale la politica, appunto, è l’arte del possibile.
Possiamo, come sussurra sottovoce qualcuno, far buon viso a cattivo gioco perché il PD, con i numeri che ha in questo momento, rischia, se non la scomparsa, la riserva indiana. Non possiamo non sentirci presi in giro però, come cittadini ed elettori del PD, quando si cavalca la tigre dell’improbabile, dell’avventura fine a se stessa, del Franza o Spagna.
Lo sciocco sciovinismo di chi crede che Bagheria anticipi da sempre strategie di lungo respiro anche in campo nazionale, o che sia una sorta di Silicon Valley dei termostati governativi, sta prendendo una cantonata colossale. Contare gli spiccioli non significa poter battere cassa.