A fuitina - di Angelo Gargano

A fuitina - di Angelo Gargano

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Pareva ca 'un si puteva cunurtari a 'zza Ciccina, quannu versu a scurata aveva dato inizio a quella sorta di sceneggiata ante litteram non infrequente negli anni ’50 e ’60 nei quartieri popolari.

 

Chi focu ranni !!!’ ‘ntalluocchi ma fici dda risgraziata e senza russuri ‘nna facci!’ ‘S’avissi a perdiri u me nnomi siddu a taliu cchiù’ ‘pi mia muorta è’ ‘sta disonorannu na famigghia’

Iniziava così con queste frasi urlate ai quattro venti e perfettamente recitate, per richiamare l’attenzione dei vicini, l’annuncio di un ‘evento’ per fortuna oggi scomparso, che come nessun altro però conteneva quel mix di ipocrisia sicula, di cultura maschilista e spesso sessista dei siciliani, oltre che di subordinazione se non di vera e propria subornazione della donna: A fuitina

Dopo qualche minuto tutto il quartiere sapeva: sinn’aveva fuitu Saridda; e subito dopo la domanda: ‘ma fu ‘fuzziva’ ? la fuitina s’intende.

Le comari del quartiere prima taliavanu rinnè scalietti e pò cuminciavanu a nnesciri ‘nno bagghiu pi capiri zoccu stava succiriennu, anche si na menza naschiata già l’aviavano avutu: premurose sì, i cummari, ma soprattutto curiose e vogliose di gustarsi tutti i dettagli.

Negli ultimi giorni Saridda e Pippinieddu troppo spesso erano stati visti attraverso i scalietti ri pirsiani abbutati, manifestare i loro ardori giovanili: ‘troppu ncuttizzi’’troppu ntrinsichi sunnu i picciotti', e poi tanto per essere chiari: ‘u masculu e a fimmina sunnu comu u focu e a pagghia: si stanuu troppu vicini pigghiano focu‘troppu ntropita mi pari Saridda’, ‘Saridda na marcavalla è’ erano stati i commenti ricorrenti delle vicine di casa.

E mentre i mariti da dentro casa richiamavano inutilmente le mogli: ' trasittinni rintra e fatti i fatti tò', davanti alle comari falsamente partecipi del ‘dramma’ a ‘zza ciccina continuava:

Io m’ahiu sbarrachiatu l’occhi tanti, a virità che stu sdisonoratu nfrusò a Sarina; ‘nza zoccu ci mpirugghiò a me figghia’ .

Ma io ci l’aveva rittu: si ti mariti cu bbuonu, to patri si spaia: ci stava priparannu u corredu e avissi fattu un matrimonio chi giummi, c’un trattamentu ri principi, i ritratti e u ballu a sira .nna sala Sciurtinu’; e s’avissi mmuccatu i mugghiu bollivati.’

Ma idda, senza giuriziu, un mi vosi sientiri !

Za ciccina - interloquì comu pi mettira a bbuona Trisina a putiara, ma in realtà pi ‘pigghiari acqua’: ‘ ma po’ iessiri ca to figghia sta ritardannu picchì sta pirdiennu tempu a chiesa ?
‘Ma quannu mai, quale chiesa e chiesa !- ribatteva a 'zza Ciccina ra chiesa avi ru uri ca sinni iu, e ppò me niputi Triesa rici c’ha vitti o Furriatu, rintra na machina chi currieva comu u sciroccu, cu Pippinieddu’

Comunque – concludeva a zza Ciccina - che si cominciava a infastidire per quella falsa partecipazione e anche per mettere in riga i cummari: ‘E’ megghiu ca ognunu si talìa u so immu’ e sinni trasieva rintra.

Abbiamo in qualche modo tentato di sceneggiare una delle scene di vita che si intrecciavano nei quartieri sino alla fine degli anni ’60 e che accompagnavano le frequenti fuitine.

All’inizio sembrava che a zza Ciccina un si puteva cunurtari, ma dopo qualche giorno, si metteva qualche zia e parente in mezzo che metteva a bbuona ed i due giovani tornavano all’ovile, e dopo qualche mese senza abito bianco e sottotono il sacerdote acconsentiva a celebrare le nozze, che erano quasi un fatto privato; anche se c’erano addirittura sacerdoti che si rifiutavano di unire in matrimonio i due fuiuti e bisognava ricorrere a qualche prete più aperto e più elastico con i precetti di Sacra Romana Chiesa

altA FUITINA  AVEVA  DIVERSE  CAUSE.

Essendo lontane a venire le ‘convivenze’ ed in un periodo in cui le occasioni di ‘socialità’ tra i due innamorati erano quasi inesistenti e ridotte al minimo, di fatto concretizzandosi con la passiata domenicale ‘nno stratunieddu’ con genitori e famiglia di lei al seguito, e quando i padri di un tempo, (e non è una balla) facevano saltare i matrimoni per avere intravisto il giovane che faceva piedino sotto il tavolo a so zita, la ‘fuitina' era la classica soluzione di ‘emergenza’ o, al caso, di ‘compromesso’

Talvolta era una scelta obbligata quella che spingeva i giovani ‘apparulati’ o ‘ziti ncasa’, come si diceva un tempo, a fare di necessità virtù.

Le condizioni economiche modeste delle famiglie dei ‘nubendi’ spesso non consentivano quel corteo spagnolesco ( ma che sopravvive ancora oggi) di corredi e matrimonio nna sala Sciortino, con pasta a forno, lacerto e passito che erano le due portate e la bibita principe dei pranzi di nozze di una volta: per cui si ricorreva a fuitina per risparmiare sulle spese: certo non c’erano i bonlivati ( dal francese bon levèes) , come non c'erano l’abito bianco e le lacrime di rito, ma pazienza.

O ancora, quando i ziti ‘ncasa erano praticamente controllati a vista, a fuitina si inscenava allorchè i momenti di socialità e l’astuzia dei giovani (e delle giovani), avevano prodotto effetti pressocchè irreversibili, quali una gravidanza indesiderata

La fuitina era allora la soluzione tampone per mascherare ‘a vriogna’ e a fuitina veniva seguita a tambur battente dal ‘matrimonio’ riparatore che per ovvie ristrettezze di tempo si celebrava in fretta e furia per mettere a posto le cose.

.A fuitina serviva anche ad aggirare l’opposizione dei familiari di uno o di entrambi i giovani che aspiravano a sposarsi: era un modo per metterli di fronte al fatto compiuto.

Ed infine c’era, quando un giovane si invaghiva di una ragazza che non ricambiava il 'sentimento', a fuitina ‘fuzziva’ un evento gravissimo, un rapimento vero e proprio, un reato che il rapitore realizzava con dei complici e che innescava conseguenze penali, che però a quel tempo venivano a decadere se la ragazza, timorosa di aver perso l’innocenza, si acconciava ad accettare, come quasi sempre avveniva, il cosiddetto ‘matrimonio riparatore’, evento esplicitamente previsto dalla legge con l’art. 544 del C.P. che prevedeva appunto l’estinzione del reato.

A mettere in crisi questo sistema di soggezione e di mortificazione per la donna fu, ormai 50 anni fa, una ragazza di Alcamo, Franca Viola si chiamava, che si rifiutò di accettare il matrimonio riparatore.

Ne nacque una campagna di stampa nazionale, che portò alla modifica della legge che prevedeva che la violenza canale fosse punita come un reato contro la morale e non contro la persona e l’abolizione dell’articolo del codice penale sul matrimonio riparatore.

Franca Viola vinse la sua battaglia: il suo rapitore fu condannato e lei sposò successivamente il giovane di cui era innamorata.

Ma il suo coraggio e il suo esempio valsero a rimuovere pregiudizi e sottomissioni di secoli.