UNO SU CINQUE E CE LA FAI – Regola numero uno: basta giochi di parole girando attorno al cognome del neo sindaco bagherese Patrizio Cinque. Mi hanno stancato. Volete farmi notare che dovrei cominciare a farlo io? Obiezione respinta, il mio non è un gioco di parole. È la percentuale, intorno al venti, che riconosco al sindaco come possibilità che ce la possa fare davvero, lui e la sua squadra, a cambiare questo paese. Sembra bassa, ma non è poco. È quasi una professione d’ottimismo. E lui, credo, ne sia consapevole. Ora, passata la sbornia della vittoria elettorale, passati i festeggiamenti stile mundial, gli olè, i tappi di spumante e i “lanci di sindaco”, comincia la partita. In politica, e non solo in politica, a differenza che nello sport, si festeggia prima di cominciarla la gara, si brinda solo per il fatto di essere stati ammessi a giocare. Sarebbe bello ritrovarsi a fine mandato ed avere un bel numero di motivi per festeggiare la chiusura di un percorso allo stesso modo in cui si è festeggiato l’inizio. Non sarà facile. A Patrizio Cinque, al quale non do nessun consiglio, tranne uno che esporrò a parte, ricordo semplicemente che su di lui e sul suo gruppo incombono responsabilità che vanno oltre i problemi specifici, per quanto gravi, che pesano su Bagheria. Patrizio Cinque ha il compito di non trasformare una speranza in un’illusione. È un punto di svolta. Da qualsiasi parte la si legga, piaccia o non piaccia, la sua elezione è una richiesta di cambiamento, se cambiamento non sarà, allora subentrerà la disillusione, il rapido defluire delle speranze, la certezza che nulla può cambiare. La presa d’atto che su questo posto deve essere posata una pietra tombale. Perché se dopo la politica “tradizionale” fallisce anche quella che si presenta come il suo contrario; allora, non rimarrebbero terze vie.
NON SARA' FACILE - Non sarà, affatto, facile. Il gruppo di Patrizio Cinque non deve cadere nell’errore di pensare che l’intera comunità è dalla loro parte, si deve limitare a quel poco più del trenta percento (sulla base degli aventi diritto al voto) che a conti fatti lo ha votato al ballottaggio e di questi qualcuno potrebbe girare le spalle alle prime difficoltà. Quelli meno pazienti, quelli del tutto e subito, quelli che si aspettano i miracoli e anche in fretta. Ci sono i cecchini appostati sui tetti delle case pronti a spararvi (metaforicamente, dalle nostre parti non si sa mai, è meglio precisare) addosso al primo errore, ci sarà chi proverà a giocare di rendita e di rimando, ad affondare le mani nel “tanto peggio, tanto meglio”. Il nuovo sindaco ha il dovere di non concedere un solo alibi, un solo appiglio, un solo argomento che possa permettere di portare avanti la tesi che dietro ogni rivoluzione c’è pronta una restaurazione. Siete arrivati dentro la stanza dei bottoni cavalcando l’onda del cambiamento, ora cambiate le cose e fatelo in fretta, perché non immaginate nemmeno quanta gente non vede l’ora di poter dire: “avete visto che non è cambiato niente?!?”.
CIVILTA' – Mi ero impegnata a non elargire consigli, tranne uno. Al sindaco chiedo di mandare immediatamente un messaggio chiaro: civiltà e rispetto delle regole. È una strada obbligata. Senza paura di rischiare di essere impopolari. Occorre un argine al degrado, un recupero del decoro. Vorrei un paese pulito, un piano traffico sensato, vorrei vedere puniti con multe che rimangono nella memoria quelli che sporcano, che se ne fregano, che distruggono. Vorrei che si possano dividere i civili dagli incivili, i furbi dagli onesti. Partendo da spiagge e addentrandosi verso il territorio c’è tanto da bonificare, da ripulire, da restituire alla bellezza. Occorre riconsegnare il paese ai cittadini, da parte loro i cittadini hanno il dovere di rispettarlo perché ogni porzione di questo luogo non è un qualcosa che non appartiene a nessuno, ma è qualcosa che appartiene a tutti. Mi rendo conto che siamo qui a sottolineare l’ovvio, ma p proprio l’ovvio che in questo paese per troppi anni è stato dimenticato. È arrivato il momento in cui una maggioranza di persone civili venga liberata da una minoranza incivile che li tiene in ostaggio (anche se nutro serissimi dubbi su chi rappresenti la maggioranza e chi la minoranza). Senza paura di apparire retorica ed enfatica, signor sindaco le dico, parafrasando la celeberrima frase di sapore risorgimentale, 'Qui o si fa Bagheria o si muore' (nel senso della speranza, sempre per non ingenerare equivoci ambientali). E bisogna farlo ora.
LA FRASE – “La gente quando non capisce, inventa. E questo è molto pericoloso.” (Alda Merini, poetessa).
FELICITA' – Ormai da anni inanello con crescente stupore, sino a un malcelato sbigottimento, una per una (almeno, quelle che intercetto) le dichiarazioni degli avvocati di personaggi in vista (politici, gente dello sport, dello spettacolo e così via) coinvolti in procedimenti giudiziari. Credo di essere l’unica persona al mondo a collezionare dichiarazioni di avvocati. Preparo una scheda che consta di tre elementi informativi: 1) nome dell’avvocato; 2) nome dell’assistito; 3) dichiarazione dell’avvocato. Ovviamente, luogo e data della dichiarazione. Posseggo un dossier a casa. È una bella, e anche facile, collezione. Perché le schede sono precompilate, a parte il nome dell’avvocato e dell’assistito la frase è sempre la stessa: “Il mio assistito è sereno”; quindi la posso scrivere prima, ed immediatamente a seguire 'il mio assistito chiarirà tutto'. Poco conta il peso schiacciante delle prove, nulla la registrazione che riprende il politico mentre intasca una mazzetta o il nero su bianco che certifica l’evasione fiscale dello sportivo che ha fatto transitare i suoi proventi su conti esteri. Nulla le manette, zero le sirene, fantasmi sono i carabinieri che scortano l’assistito sino alla soglia delle patrie galere. Incredibilmente, l’assistito rimane “sereno”. Personalmente, sono certa della provenienza aliena degli avvocati. Altrimenti, non si spiega. Non esiste categoria con un rapporto così perverso con la realtà e la percezione dei fatti. Un po’ li invidio, sia loro che i loro assistiti. Perché a noi comuni mortali, a noi terrestri, basta, che ne so, la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate che ci contesta il mancato pagamento di un bollo auto (un’involontaria dimenticanza) per mettere alla prova il nostro sistema nervoso, per consegnarci a notti insonni, a nervosismi isterici, sino ad una vera idiosincrasia nei confronti del termine “serenità”. Guai a chi la nomina la serenità. Ma anche in questa collezione che rischia di diventare noiosa e ripetitiva, solo uno stanco esercizio statistico che ha già dimostrato empiricamente il fenomeno, arriva la sorpresa, il salto di qualità, il cambio di direzione. L’evoluzione. L’avvocato spiega le vele e solca fiero e sicuro le onde più alte della paraculaggine dialettica. Venerdì mattina (12 giugno) sull’homepage di Repubblica campeggiava, in riferimento al rientro di Marcello Dell’Utri in Italia per venire a scontare la pena al quale è stato condannato, la seguente dichiarazione del suo 'avvocato: "Felice anche se andrà in carcere"”. Come felice? Ma è mai possibile che nessuno sia almeno lievemente turbato, un tantinello destabilizzato, un pizzico incupito davanti alla prospettiva del carcere, del sequestro dei beni, di sanzioni milionarie da dover onorare? John Milton (intendo, Al Pacino ne L’Avvocato Del Diavolo) diceva “è facile ingannare l’occhio, ma è difficile ingannare il cuore”. John Milton non conosceva gli avvocati italiani.
LA STRANA STORIA DI SERGIO BERLATO – Le recenti vicende legate al Mose hanno dimostrato che in Italia mica rubano solo quelli di Forza Italia. Rubano anche quelli del PD. E non bisognava certo aspettare il Mose. È pur vero che la parabola discendente del Cavaliere comincia con una tizia che si chiama “Ruby” detta “rubacuori”, una sorta di segno del destino, ma questo è un altro racconto. A margine della storia del Mose c’è quella di Sergio Berlato, costui è un politico italiano eletto nel 2009 al parlamento europeo militando nello squadrone di Silvio. Intervistato, di recente, a proposito dello scandalo Mose, Berlato ha sottolineato che già in passato aveva chiesto chiarezza, aveva invocato indagini, trasversali, perché a suo giudizio qualcosa non quadrava. Berlato voleva trasparenza ed onestà. Questo dimostra, al di là dei luoghi comuni, che gli onesti, come i disonesti, stanno dappertutto. Anche Forza Italia ha i suoi paladini della legalità. Che sia messo agli atti. Peccato, però, veramente peccato, che alle recenti elezioni europee Forza Italia l’ha fatto fuori. Perché? Questo è quello che sostiene Berlato: “Ho osato denunciare il malaffare nella gestione degli affari pubblici in Veneto. reclamando chiarezza e trasparenza nella mia parte politica… Tutti, in Forza Italia, sapevano dai sondaggi che sarei arrivato primo come numero di preferenze. E siccome gli eletti con tutta probabilità saranno soltanto due, hanno voluto fare spazio estromettendomi. Qualcuno evidentemente era terrorizzato dalla prospettiva di perdere l’immunità parlamentare...”. Mannaggia, ora che ne avevano trovato uno, se lo sono lasciato scappare. È inutile, è questione di physique du role.
CRONACA METAFORICA – “Catania, cade in un tombino e muore soffocato dal fango”. E cosa vuoi aggiungere, devi solo archiviare tutto dentro il faldone: cronaca metaforica.
Giusi Buttitta
La strada obbligata - di Giusi Buttitta
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