Bagheria è il parto di una gravidanza non desiderata- di Franco Lo Piparo

Bagheria è il parto di una gravidanza non desiderata- di Franco Lo Piparo

Politica
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195 anni fa nasceva il Comune di Bagheria. Il 21 settembre 1826 Francesco I, re delle due Sicilie, istituisce la formazione di due comuni: «BAGARIA, composto da Bagheria e Aspra, colla residenza della Amministrazione nel primo. – SOLANTO composto da S. Flavia, Casteldaccia, Solanto, Porticello e Santa Elia, colla residenza dell’Amministrazione in Santa Flavia».

È una data importante per la comunità bagherese. Per chi in questo momento governa il paese dovrebbe (sarebbe dovuto) essere l’occasione di una riflessione sulle radici e sul senso della propria attività politica. Al di là della mitologia facile della immagine di Bagheria “città delle ville” e, adesso, anche “del gusto”.
Nel 1934 Andrea Sciré pubblicò in un libro (L’istituzione a Comune autonomo di Bagheria) i documenti ufficiali che accompagnarano l’atto di nascita del Comune. Nel 1996 nella qualità di assessore alla cultura nella Giunta Valentino lo feci ristampare. È un libro molto utile che bisognerebbe ripubblicare e farlo circolare nelle scuole.
Come inizio di un possibile e auspicabile dibattito sull’argomento riporto frammenti di quanto scrissi, un quarto di secolo fa, nella presentazione del libro.

«Naturalmente il 21 settembre 1826 non nasce Bagheria ma il comune si Bagheria. (…)

A partire da quando Bagaria da nome di una splendida e fertile piana, dove gente proveniente da varie parti va a svolgere lavori stagionali, si trasforma in nome di una popolazione con caratteri originari e specifici che la distinguono da altri raggruppamenti umani geograficamente vicini?
È sempre difficile rispondere a questo tipo di domande. (…) Nel caso di Bagheria una data è possibile darla. La data è il 1658, l’anno in cui Giuseppe Branciforti, conte di Raccuja, in seguito a delusioni politiche decide di costruire una casina dove trascorrere gli ultimi anni della sua vita. La residenza dei Branciforti farà scoprire all’aristocrazia palermitana le bellezze naturali della piana di Bagaria e per circa settant’anni a partire dal primo decennio del Settecento molte famiglie nobili vengono a costruirvi le loro residenze estive. La costruzione delle ville richiede la presenza di manodopera di vario tipo: dai pirriaturi che estraggono e lavorano le pietre di tufo ai trasportatori di materiale edile e derrate alimentari, dagli artigiani del legno, del ferro e della pietra ai tecnici e aristi decoratori, e così via. Tutto ciò crea un mercato e un indotto. L’agricoltura, già ben presente nella piana, ne viene rafforzata. L’edilizia aristocratica crea a sua volta il bisogno di una edilizia borghese.
Questi sono fatti noti. Ciò che vorrei tentare di spiegare è in che senso essi formano alcuni dei caratteri originari della comunità bagariota. (…).

Primo carattere originario: mercantilismo e pluralismo.
La Bagaria borghese e mercantile che conosciamo nasce tumultuosamente dall’edilizia aristocratica. La comunità bagariota nasce con le ville e intorno alle ville. Le ville però non sono costruite con l’intento di fare sorgere una comunità. La Bagheria storica è il parto di una gravidanza non desiderata. Il conflitto tra la Bagheria borghese e le ville che l’hanno fatto sorgere ha in questo dato strutturale una delle spiegazioni storiche. Esaminiamo un po’ meglio la questione.
Giuseppe Branciforti non costruisce la sua villa [l’attuale Palazzo Butera] col progetto di esercitare una qualche forma di dominio (economico e/o politico) sulla piana. La villa non è pensata come un centro di comando ma un buon ritiro di campagna dove possa concludere la sua esistenza. Lo stato d’animo, malinconico e non politico, degli anni bagheresi di don Giuseppe si leggono nei versi che fa incidere sulle mura della casina. (…)
È uno strano imprinting: Bagaria come luogo dove isolarsi dall’attività politica, rimuginare il risentimento contro Palermo (Qui intanto piango e dico: O corte a dio), riflettere sul senso senso filosofico della vita, della morte, del tempo (Ya la esperanza es perdita / Y un solo bien mi consuela / Que el tiempo que pasa y buela / Llevarà presto la vida).

Lapide Butera

Non si può affatto dire che Branciforti abbia voluto fondare una città. Né si può dire degli altri aristocratici che costruiscono residenze estive nella piana di Bagaria. (…).
Nessuna famiglia aristocratica diventa, o per incapacità o per scelta, il Principe (nel senso di Machiavelli e Gramsci) della realtà urbana che va sorgendo intorno alle ville. La natura non politica delle ville aristocratiche da cui il paese trae origine imprime nella forma mentis bagariota uno dei suoi caratteri forti. Bagheria nasce borghese, mercantile, pluralista e con una vocazione spontanea al liberalismo. Le manifestazioni del bagarioto way of life sono molteplici e non tutte positive: l’intraprendenza mercantile, il gusto della sperimentazione economica e culturale ma anche la tendenziale e diffusa insofferenza (fertile terreno di coltura dello spirito mafioso) alle regolamentazioni statali.

Secondo carattere originario: la vocazione alla cultura europea alta.
Nella storia di Bagheria c’è un dato strano che ha sempre meravigliato gli osservatori esterni: la quantità enorme di grandi intellettuali e professionisti di livello non locale nati e formatisi a Bagheria.
Faccio solo pochi esempi. A cavallo tra l’Ottocento e il secondo decennio del Novecento quattro bagheresi, nati a Bagheria da famiglie piccolo borghesi e che hanno cominciato a studiare a Bagheria ma con esperienze di studio non italiane, sono titolari di cattedra nell’Università di Roma: Francesco Scaduto, fondatore del diritto ecclesiastico; Giuseppe Bagnera, matematico; Giuseppe Cirrincione, oculista; Domenico Lo Monaco, chimico-fisiologo. La lista non la allungo per pudore e per non cadere nel precipizio della retorica paesana (ogni paese pensa di essere l’ombelico del mondo), ma i più noti dei contemporanei non posso tacerli: il pittore Renato Guttuso, il poeta dialettale Ignazio Buttitta, il fotografo Fernando Scianna, il regista Peppuccio Tornatore.

Come spiegare la nascita di tanti ingegni in un territorio così circoscritto? Quando i fenomeni sono così quantitativamente presenti non è consentito ricorrere a spiegazioni naturalistiche del tipo “il bagarioto nasce intelligente”. La spiegazione deve essere storica e sociologica.
Anche questo strano fenomeno bisogna annoverarlo tra gli effetti non voluti dell’invasione aristocratica della piana di Bagaria a partire dalla seconda metà del Seicento. Le ville aristocratiche furono una iniezione di massicce dosi di cultura europea in un borgo rurale. Le ville furono finestre sulla cultura europea. Con le ville Parigi, Vienna, Londra, Napoli, Roma si installano nella piana di Bagaria.
L’intrusione dell’Europa avviene tramite diversi canali: gli architetti, non locali, hanno l’incarico di realizzare edifici che possano esibire già nel loro impianto esteriore la cultura europea dei loro committenti; la costruzione di edifici così impegnativi richiede la presenza di competenze tecnico-scientifiche di alto livello; la decorazione comporta l’intervento attivo di pittori e scultori; la presenza nel territorio di tante famiglie aristocratiche con la schiera di architetti, artisti, tecnici, istruttori che le accompagnano mette in circolazione all’interno del borgo rurale stili di vita e curiosità non locali; ciascuna villa è un luogo dove si trova una biblioteca.

La cultura europea dell’aritocrazia si è trasmessa nella popolazione contadina e borghese per via non istituzionale e ha contribuito a formare l’originale impasto di localismo e internazionalismo che ogni bagarioto si porta dentro».

Queste riflessioni erano precedute da questa considerazione:

«Non è possibile governare una città senza avere una idea del suo passato e del suo destino. Una comunità che non sa o non vuole iterrogarsi sulla propria storia è votata ad un futuro incerto e infelice. La riflessione storica è un momento centrale dell’azione politica. Il timoniere, solo se conosce la natura e le potenzialità della nave che sta guidando, può non sbagliare rotta e non provocare disastri»

Franco Lo Piparo

Professore Emerito Università di Palermo