“E siccome sei molto lontano più forte ti scriverò (…)”, pur sapendo che difficilmente leggerà le preoccupazioni di chi per pasquetta non trova di meglio da fare che scrivere una serie di riflessioni, forse banali o scontate, ma drammaticamente vere.
Diciamocelo francamente e con amara onestà, “#andratuttobene” può essere un modo per invitare a sperare e non lasciare il passo allo sconforto, ma non va affatto tutto bene, anzi direi proprio il contrario. Un piccolo organismo, assolutamente impercettibile, entra nel nostro corpo e ci consegna alla morta per soffocamento. Quanti morti in tutto il mondo? Quante famiglie lacerate dal dolore di perdere un proprio caro senza avere nemmeno la possibilità di stringergli la mano mentre se ne va? Quanto orrore nel vedere l’Ecuador abbandonare i propri morti per strada? Quanta paura per una morte che non è più così lontano da casa nostra ma può raggiungere chiunque? Quanta impotenza di fronte ad un carnefice che senza sparare può comunque ucciderti?
E mentre tutto il mondo sembra finalmente unito nel proteggere la vita, se col mouse zummiamo vedremo i confini di ogni singolo Sato sino ad arrivare piano piano al civico 1 di vicolo Rossi davanti la porta di casa del signor Bianchi. Basterà sbirciare dalla finestra per intravedere lo sguardo perso di un uomo intento a fare i conti con un futuro incerto.
In questo momento non ci sono certezze per nessuno, non c’è una data per ricominciare a parlare di normalità, c’è solo un tempo indeterminato dentro il quale dobbiamo convivere. Ma il signor Bianchi è un impiegato, monoreddito, che ha la fortuna di una busta paga di 1.350 euro, paga un affitto di 500 euro e una rata per l’auto di 300 euro. È sposato e padre di due figli che vanno a scuola. Tiene un contatore luce, uno gas ed uno per l’acqua. Ha una cassetta per la posta e riceve regolarmente tutte le tasse, tasse che paga, a stento ma le paga. Oggi ha la fortuna ed il privilegio di usufruire della cassa integrazione e con poco più di 1.000 euro deve riuscire ad onorare i suoi impegni. Il signor Bianchi rimane pur sempre un uomo fortunato perché gli danno una forchetta per sparare e difendersi. La stessa forchetta non ce l’ha l’ambulante, non ce l’ha chi raccoglie giornalmente ferro vecchio per strada, non ce l’hanno gli stagionali, non ce l’hanno tutti coloro che da una vita sacrificano il fine settimana alla famiglia per andare a fare qualche extra in nero e garantire così una vita più dignitosa ai propri figli, la fortuna del signor Bianchi non ce l’hanno loro e tanti tanti ancora.
Ma il signor Bianchi è in cassa integrazione dai primi di marzo e ad oggi non vi è certezza di quando la riuscirà a percepire? Perché tutto questo?
Perché l’Italia vive di burocrazia, anzi è solo burocrazia. Dicono che la burocrazia è indice di legalità ma i fatti dimostrano tutto il contrario. Il nostro Paese è pieno di corruzione e corrotti e nella burocrazia sguazzano felicemente. Basta pensare al Codice degli Appalti che è il top della burocrazia ma anche il top della corruzione; dicono che le imprese sono corrotte quando invece le definirei più vittime.
Il Sistema è fallimentare, e se Lei, onorevole Conte, comunica a reti unificate le sue buone intenzioni i fatti non raccontano certo buoni risvolti. Il signor Bianchi non ha il tempo di aspettare perché non tiene alcuna riserva economica di emergenza. Il Signor Bianchi non ha colpa della pandemia, così come no né ha Lei. Ma a differenza del signor Bianchi Lei è responsabile del Sistema e della burocrazia che lo ingessa.
Va detto pure che il signor Bianchi lo stipendio lo percepisce dal piccolo imprenditore Verdi a cui Lei ha stanziato per il mese di marzo l’imbarazzante cifra di 600 euro. Le faccio presente che il piccolo imprenditore Verdi non ha fatto come il grande imprenditore che ha trasferito la produzione e la sede legale all’estero. L’imprenditore Verdi è rimasto in Italia e dà lavoro in Italia, paga i contributi e le tasse in Italia. Il piccolo imprenditore Verdi assume, investe, produce, sostiene l’economia italiana. Il piccolo imprenditore Verdi è quell’incosciente consapevole che più assume più è tassato. Il piccolo imprenditore Verdi ha bisogno di qualcosa di più della possibilità di mutui garantiti dallo Stato, perché già di mutui, esposizione bancaria, finanziarie e finanziamenti da onorare ne ha abbastanza, e tutti questi non sono certo garantiti dallo Stato ma sono stati resi possibili perché ha messo a garanzie le sue proprietà e il suo patrimonio.
Questa crisi imprevista ci ha poi ricordato una verità che non si può nascondere. Noi siamo socialità, noi troviamo il buon vivere nella socialità, l’uomo è un essere sociale che della socialità non può farne a meno. Stiamo soffrendo profondamente queste restrizioni e il bisogno di un abbraccio, di parlare guardandoci negli occhi, di ascoltare dal vivo la voce dell’altro, sono quasi diventati ricordi lontani.
Dentro questa socialità si muove un’altra importante economia, forse l’economia più fragile di fronte il Coronavirus, e proprio per questo l’economia che ha bisogno di maggiori attenzioni. Viaggiare è conoscenza, cultura, crescita civica e umana. Il cibo, l’arte, la natura sono tutto questo. L’accoglienza, la bellezza, il gusto, la libertà, la condivisione, la socialità sono patrimonio ineludibile dell’uomo. Ritrovarsi seduti ad un tavolo con un amico a sorseggiare un calice di vino è la sintesi di tutto questo.
Come vede quelle che scrivo sono ovvietà. Ma la stessa ovvietà non vedo nella traduzione dei suoi buoni propositi in fatti concreti ed immediati, perché come si suol dire dalle nostre parti: “mentri ‘u miericu sturìa ‘u malatu si nni va”. E stavolta non intendo i morti da virus ma i morti da fallimento, di coloro che non ce la faranno a resistere, di coloro che perderanno il lavoro, di coloro che non riusciranno ad arrivare neanche ai primi del mese, di coloro che farà aprire e che già sa che non lavoreranno spingendoli verso la chiusura definitiva della saracinesca
Dicono che eventi come questo portino sempre importanti cambiamenti. Basterebbe capire subito che bisogna snellire la burocrazia, trasformare le risorse stanziate al rilancio dell’economia più in contributi che in nuovi mutui, alleggerire la tassazione e incentivare l’occupazione con strumenti concreti e non certo con palliativi.
Caro Conte non vorrei essere nei suoi panni, mi basta purtroppo ritrovarmi in quelli del signor Bianchi, del piccolo imprenditore Verdi e tra i protagonisti di quell’economia che sorregge il settore della ricettività e della ristorazione, settori questi ultimi più che mai in ginocchio.
E in un giorno di fine pasquetta il mio invito ad osare e pretendere di più è rivolto a Lei e a tutta la politica italiana.
Massimo Mineo