La mafia in Sicilia c’è e sta nel retro pensiero di ogni siciliano di ieri, di oggi e forse, chissà per quanto, in quello di domani. É un problema culturale che non può essere debellato in Parlamento e nemmeno nelle aule giudiziarie, ma nelle scuole, a partire da quelle dell’infanzia.
Durante il periodo fascista, gli intellettuali non inclini al totalitarismo per non reprimere il loro pensiero, trovarono agevole spostarsi nelle file del P.C.I., non certamente per scegliere un partito di ispirazione sovietica, che avrebbe anch’esso asfissiato il loro pensiero. Perciò, una volta venuta meno l’esigenza del fronte antifascista, questi intellettuali si ripresero uno ad uno la loro libertà e il fatto non piacque a Togliatti, che non perdeva occasione per avversarli. In quella circostanza c’erano quelli che avevano cavalcato la tigre accumulando vantaggi e per questo rimanendone imbrigliati.
Ancora oggi ci sono intellettuali comunisti critici col partito, e si deve ammettere che alcuni sono persino interessanti, ma gli altri, che difendono tout court la linea staliniana, francamente non li capisco.
Questa storia la conosceva bene Renato Guttuso che al più fidato dei suoi amici, il siciliano Antonello Trombadori, regalò un disegno raffigurante Mao che cavalca la tigre. Un modo discreto per dirgli delle sue avventure con il P.C.I. e della tigre che aveva cavalcato, conscio che come avviene nella mafia, anche lui non avrebbe potuto lasciare quel partito.
Nasce così in Guttuso una fedeltà al P.C.I. che durerà tutta la vita, senza che questi abbia avuto mai la fede comunista.
A tal proposito dice Duccio Trombadori, figlio del suo fedele amico: “Nelle avventure della vita, quanto più queste avventure sono pericolose come quelle delle tigre e tanto più bisogna sapere andare avanti e abbandonarsi al destino. Ecco, questa visione un po’ drammatica e al tempo stesso fatalista, può rappresentare il pensiero, lo spirito di Guttuso, meglio di tante altre cose”.
Dopo i settant’anni Renato prese la decisione di produrre meno dipinti, forse per dedicarsi di più alla riflessione e alla scrittura; per questo sono convinto che se il buon Dio gli avesse concesso più tempo, una cosa che avrebbe voluto fare, anche per alleggerirsi il peso della coscienza, era quella di scrivere la sua autobiografia e chiarire finalmente tante cose e soprattutto questo terribile concetto: "Se cavalchi la tigre non puoi scendere", e qui va aggiunto, “altrimenti la tigre ti divora”. In questo caso sicuramente Leonardo Sciascia lo avrebbe subito capito, anche se per i suoi principi non l’avrebbe comunque perdonato come abitualmente facevano i suoi amici del cosiddetto “cerchio magico”.
La foto: Antonello Trombadori e Renato Guttuso