Da circa tre decenni a questa parte Bagheria sta vivendo un intenso periodo di riflessione sulla propria storia e le proprie origini.
Tanti studiosi, appassionati e storici di professione hanno provato a fare ordine nelle vicende di una città tutto sommato di recente fondazione (tra sei anni, nel 2026, si celebrerà in duecentesimo anno dell’istituzione di Bagheria come comune autonomo). Sebbene da questi studi, di orientamento non uniforme, sia stato già portato molto ordine, con dovizia di documenti, nel racconto che la memoria collettiva della città ha elaborato a proposito di sé stessa - e di molto sia già stata ridimensionata la tendenza mitopoietica di cui Bagheria nel tempo ha dato prova - il recentissimo lavoro di Salvatore Brancato e Biagio Napoli segna un ulteriore passo in avanti in questa direzione.
I misfatti prima della mafia, Bagheria dal 1820 alla Restaurazione borbonica (Plumelia edizioni, Bagheria 2019) è infatti uno studio che si lascia apprezzare - anche da parte di un non addetto ai lavori come chi scrive queste poche righe - per chiarezza di intenti ed efficacia narrativa: cosa non sempre scontata per opere, come questa, che nascono da un certosino e sorvegliato lavoro sulle fonti archivistiche.
Il periodo finito sotto la lente di ingrandimento dei due autori è quello del trentennio, o poco più, che va dai moti insurrezionali del 1820 alla Restaurazione borbonica successiva ai moti del 1848. Tre decenni particolarmente intensi, densi di eventi politici e criminali nei quali la città di Bagheria recita un ruolo di primo piano, con una singolare varietà di contributi. Tali vicende sono state ricostruite da un punto di vista particolarissimo: la documentazione disponibile nei fondi archivistici della Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in -Sicilia, - Ripartimento Polizia, interni, Grazie e Giustizia. La scelta di affidarsi ai soli documenti della Polizia per trovare una chiave di lettura convincente, per un periodo così denso di misfatti e gravido di evoluzioni, può apparire singolare e rischiosa. Ma, come opportunamente sottolinea Nino Morreale nella sua prefazione al volume, la scelta è controbilanciata e resa produttiva dal fatto che Brancato e Napoli sanno porre, alla mole ingente dei documenti consultati, le domande giuste. Sa forse di luogo comune ribadire che la storia si fa esclusivamente con le fonti, ma senz’altro giova ricordare che il numero e la tipologia delle fonti storiche è virtualmente illimitato: proprio per questo è indispensabile che gli storici sappiano porre ai documenti le domande in grado di renderli rivelatori; e sappiano padroneggiare le tecniche, anche retoriche e narrative, per farli “parlare”. É questo, a parer mio, che costituisce il coefficiente di qualità del lavoro di Brancato e Napoli: infatti, pur non prescindendo mai dai documenti che hanno selezionato, essi riescono a ordinarli in una successione narrativa che procede sì per segmenti di “biografie esemplari”, ma senza mai omettere il racconto, minuzioso ed evocativo, del contesto in cui i personaggi si muovono (anche grazie ai riferimenti, sempre opportuni e sintatticamente illuminanti, alla bibliografia di riferimento). Il principe di Cattolica, il monaco e bandito Salvatore Errante, il brigante Giovan Battista Scordato, il fratello Giuseppe Scordato - eroe dell’insurrezione del ’48 ma poco dopo, con archetipico trasformismo, braccio armato della restaurazione borbonica: sono personaggi che starebbero bene anche dentro un fuelleiton di Luigi Natoli e gli autori riescono invece a tirarli fuori dal pantano populista che, in passato, ne ha fatto “santini” di eroi patinati di patriottismo e romantico vitalismo.
E ciò rivela un ulteriore punto di forza di questo studio: l’analisi critica della vulgata autoassolutoria e campanilistica di certi episodi e di certi periodi della nostra storia cittadina risorgimentale, come emergono da importanti pubblicazioni quali La guida illustrata di Bagheria e Solunto del 1911, a cura di Gioacchino Guttuso Fasulo; ma anche da Volti bagheresi di Filippo Cuffaro, del 1935, che con il tipico involontario umorismo fascista definisce lo Scordato “redivivo Cincinnato che dopo la vittoria ritorna alla sfavillante zappa”.
Il racconto di Brancato e Napoli comincia dai moti del luglio1820, dei quali si erano avvertiti i prodromi, fin da maggio, nel “villaggio della Bagaria” e nel territorio circostante: ivi “ il malcontento popolare era alimentato dalla protesta per la leva obbligatoria, dalla richiesta di abbassamento delle tasse e da un certo spirito democratico e antiborbonico…a parte il prestigio delle famiglie aristocratiche, marcato dalle ville settecentesche, la gerarchia sociale era sostanzialmente segnata da due differenze economiche fondamentali, una fra chi aveva terra e chi no, l’altra tra chi aveva abbastanza terra e patrimoni anche per sopravvivere a eventuali difficoltà e chi non aveva beni a sufficienza per contrastare le emergenze. La categoria più ristretta era chiaramente quella dei benestanti o ‘galantuomini’ mentre il dato basilare della vita contadina, qui come altrove, era la precarietà, la subordinazione e lo sfruttamento”. In questo contesto, nei decenni successivi, dal controllo del territorio attraverso la violenza sistematica e l’intimidazione verrà fuori e si imporrà una categoria di soggetti che faranno dell’intreccio tra delinquenza e corruzione dei funzionari pubblici il marchio di fabbrica della loro ascesa sociale, economica, politica. Soggetti che saranno, prima o poi, classe dirigente. Saranno anche mafia? Non è un caso (ma questo meriterebbe una riflessione a parte) che gli autori abbaino messo in esergo una citazione da La strega e il capitano di Leonardo Sciascia.
Non anticipiamo niente altro perché si otterrebbe il solo effetto di guastare ai lettori il piacere della scoperta del testo e del racconto. Aggiungiamo soltanto che ci pare di intravedere, sullo sfondo delle vicende raccontate, l’aurora di future classi dirigenti che - come i sovrani ancien regime che li avevano preceduti - costruiscono il loro confronto con l’entità proteiforme che chiamiamo “popolo” attraverso il paternalismo o il soggiogamento violento. Sarà per questo che, conclusa la lettura del libro, la prima cosa chi ci è venuta in mente è stato Gangs of New York di Martin Scorsese: come dire, la nascita violenta di una nazione.
Maurizio Padovano
Bagheria, 2 febbraio 2020
P.S. De I misfatti prima della mafia, Bagheria dal 1820 alla Restaurazione borbonica di Salvatore Brancato e Biagio Napoli parleranno, in presenza degli autori, giovedì 6 febbraio, alle 17,00, a Villa Cattolica i Proff. G.Dentici e A.Morreale. Interverranno anche i Prof. F.M. Stabile, D.Aiello, M.Padovano
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