L’Arte non è quella che si vede con gli occhi, ma quella che si sente nel cuore. Vi racconto la storia di quando non curante del giudizio unanime della “critica” dissi la mia, a proposito delle “cancellature” di Emilio Isgrò.
Nel 2007 il gallerista Roberto Ceresia, conoscendo i miei buoni rapporti con Emilio Isgrò, mi chiese di intercedere presso il Maestro perché si pianificasse una mostra nella sua Galleria. Parlai con Emilio e, dato che mancava da Palermo da diversi anni, non mi fu difficile avere il suo assenso. Emilio non si risparmiò nella selezione delle opere e allestì persino un’importante installazione, “la Giara di Shanghai”, che diede il titolo alla mostra e al catalogo.
Al termine della mostra il gallerista organizzò il finissage con la presentazione del catalogo e al tavolo della “presidenza” erano seduti Emilio Isgrò, il curatore della mostra, Sergio Troisi, e Roberto Ceresia. Io partecipai seduto in prima fila con a fianco l’amico Franco Ciminato e la signora Rita Borsellino, la sorella del giudice Paolo Borsellino. Dopo la relazione del prof. Troisi, che illustrò la poetica pittorica di Isgrò, sostenendo che “ciò che era cancellato cessava semplicemente e definitivamente di produrre qualsiasi risonanza semantica …”, Emilio, invitò il pubblico ad intervenire. Come succede spesso in questi casi, nessuno prese la parola, e Isgrò, che grazie alla complicità di Ludovico Corrao mi conosceva già dagli anni Ottanta, mi disse: “Ezio, nemmeno tu vuoi dire qualcosa?” A quel punto, sollecitato ad personam, mi alzai e feci il mio intervento, sottolineando l’inadeguatezza, a mio avviso, del termine cancellazione riferito in generale alla sua opera, e dissi: “Conosco il Maestro Isgrò da molti anni, lo conosco come intellettuale, pensatore, poeta, scrittore e amante della scrittura come pochi altri, è per questo che non riesco a considerare le sue pennellate distruttive, com’è il gesto della cancellazione, ma, al contrario, penso a quel gesto come ad un atto d’amore verso la scrittura, quindi, considero le sue pennellate una copertura a protezione della parola”. Ovviamente ne sviluppai meglio il concetto e, alla fine incassai le congratulazioni del pubblico.
Quella volta, l’attestato più gratificante mi arrivò proprio dall’artista, che definì verosimile la mia tesi, e poi nel 2019, quando, durante la sua mostra alla Fondazione Cini di Venezia, rilasciò un’intervista dicendo: “… Cancellando le parole della Treccani, io non volevo distruggerle, volevo soltanto spostare l’attenzione sulla parola, in un momento in cui la Società visiva, fatta del cinema hollywoodiano, della pop art, di una certa cultura in genere anglosassone, cercava di mettere in crisi certi valori del vecchio mondo europeo che andavano comunque preservati …”.
Con questo aneddoto intendo richiamare l’attenzione del fruitore verso il manufatto artistico, pratica necessaria a distinguere l’arte da ciò che, tutt’al più, rimane un oggetto di semplice arredamento.
Ezio Pagano