Bagheria al tempo del colera: Il caso Di Bella- di Biagio Napoli

Bagheria al tempo del colera: Il caso Di Bella- di Biagio Napoli

cultura
Typography

Bagheria al tempo del colera: Il caso Di Bella.

Di Biagio Napoli

Ovvero dove pesa essere conciapelli e quarantottino e dove le autorità borboniche si mostrano contrarie all’istruzione del popolo.

Aviso


Popolo di Bagaria siamo tutti vigilante e che il colera D. Giacomo Mancuso Dottore la diviso col Barone Lo Lomia e D. Cosimo Ajello e D. Giuseppe Chianello e l’altri sono Antonino Di Carlo e suo figlio D. Zulo Lo Cicero e suo padre Ignazio Castro con comprimento di onze 18 Vincenzo Rosciglione con comprimento di onze 12 Vi avverto di stare vigilante la notte e credetemi sono l' amico degli amici-

Questo avviso, che denunziava al “popolo di Bagaria” i nomi di un certo numero di propagatori dell’infezione colerica, taluni addirittura pagati per questo, e da cogliere sul fatto, comparve nel paese nel settembre del 1854 quando ancora la malattia non si era spenta. Esistono presso l’A.S.P. almeno tre copie di esso di cui una non datata. In calce ad un’altra copia, e per mano di Francesco Rodanò, giudice regio, leggiamo: “Rinvenuto affisso in Bagaria albescente il dì 19 settembre 1854”. La terza copia ha in calce “Bagaria lì 23 settembre” e una firma, quella di Giuseppe Di Bella. Un autore così ingenuo da qualificarsi?


Quella firma, come vedremo, era stato il giudice a fargliela apporre per studiarne la grafia e ritenendoche ad ispirare quell’avviso fosse stato, lui sedicenne e capace di scrivere, il padre Antonio, conciapelli ed ex capo squadra quarantottino, due cose che, secondo il parere del giudice, lo rendevano fortemente sospetto. Ecco, a questo proposito, quanto scrive Francesco Rodanò nel rapporto a Salvatore Maniscalco, direttore di polizia, il 25 settembre 1854: “…A discoprire l’autore dell’anonimo scritto ho avuto argomento a fermarmi sulla persona d’Antonio di Bella che…può pel suo modo di vivere meritarsi per come nella scritta s’annuncia il vero nome d’amico degli amici del ’48. E per vero s’ha egli colleganza cogli uomini i più facinorosi d’astuto fare esercitando il traffico di conciajuolo mestiere che nol lascia privo di comunicazione e di attinenze coi più mascalzoni e colla canaglia ha pure egli gozzovigliando nelle bettole saputo mantenersi delle relazioni con vari dei detenuti di cotesto carcere e fra mezzo alla gente della forza giungendo sinanco a farsi socio d’affitto del girato Palagonia col compagno d’armi Pietro Salamone. Fu egli a recarsi il primo nelle trascorse politiche vicende a capo di una squadra costà per insorgere contro le Reali Truppe, aggredì il Reale Palazzo e forte poscia delle sue criminose aderenze giunse benanco con banda armata a trasferirsi in Messina…”.
Il colpevole era dunque servito! Ma bastava questo, l’essere cioè un conciapelli e perciò un amico di delinquenti, carcerati e sbirri e un ex quarantottino dei più importanti, a farne l’autore-ispiratore di un avviso che, addirittura, denunciava come untore il medico comunale, quel Giacomo Mancuso che, come il padre Stefano che di colera era morto nel 1837, contro quella malattia, e strenuamente, si prodigava?


I Di Bella, naturalmente, vennero incarcerati. Come si fosse arrivati all’arresto di padre e figlio lo sappiamo dallo stesso Di Bella padre quando, l’uno di novembre di quell’anno, invia al direttore di polizia la sua prima supplica; Scrive dunque Antonio Di Bella: “…Allorchè l’Indica lue più gagliarda infieriva in Palermo, appariva in Bagheria un proclama in sensi goffi e suggestivi in modo che quel giudice cercava rinvenire il reo facendo collezione di quasi tutti i caratteri che modellar facea alla di lui presenza da individui cui non erano ignote le lettere. Fra i molti concorrenti venia chiamato il figlio del ricorrente, e per una certa fatalità che non spaventa punto la serenità della coscienza dell’oratore il carattere del di lui figlio avea una certa assimilazione a quello del proclama. Fradittanto quanto più i sospetti si aggravavano sul figlio del Ricorrente, altrettanto il Di Bella sbuffava bile che difficilmente sapea contenere nanti quel Maggistrato in modo che provocava l’arresto e suo e del figlio ancora”.


L’investigazione del giudice fece dunque arrabbiare moltissimo Antonio Di Bella; fu quell’arrabbiatura, più che la certezza della loro responsabilità, a determinare l’arresto dei due. Ma il giudice, oltre a non vedere di buon occhio il mestiere e il passato politico del Di Bella padre, era maldisposto contro di loro anche per l’istruzione che al ragazzo era stata data. Di ciò aveva scritto infatti al direttore di polizia il 29 settembre: “Giuseppe Di Bella…va già a compiere il sedicesimo anno dell’età sua…epperò la di lui meschina figura, il di lui corpicciuolo non si hanno alcuna corrispondenza con essa. Cotestui è stato intanto sin dalla prima infanzia istruito nella arte di saper leggere e scrivere così obliando ogni altro dovere ha il padre di lui avuto sol cura d’in ciò versarlo a fine di non affidare agli altri i secreti delle di lui magagne, ed onde esperimentarne nei suoi privati negozi un vantaggio. Ed in fatto il nominato Giuseppe Di Bella uso sin dal 48 a mal accozzare dei biglietti di componenda dei quali fecene il padre un traffico col braccio forte della squadra, che comandava, continuando nel maneggio della scrittura è egli arrivato relativamente alla sua condizione a segno di scrivere con celerità e senza intoppi sotto dettatura sapendo ben’anche seguire la diversità delle lettere ed il carattere e stile, come ben dimostrala parola Avviso e la G lettera iniziale del proprio nome apposto nella di lui firma alla copia della scrittura anonima scritta alla mia presenza, che è dalle altre fatta diversa. Imbevuto di sì immorali principi ed educato in siffatta guisa a tutt’altro fine che quello, cui deve tendere ogni onesto cittadino, soffrì egli nel trascorso anno e quando i RR.PP Liguorini si resero in questo Comune nel corso di sacre Missioni il pubblico rimprovero d’esser cacciato fuori dal tempio perché con empietà, standosi dietro al pergamo del predicatore, facevasi a dileggiare, e a contraddire la divina parola”.


Durante la rivoluzione del ’48, già dunque a dieci anni, Giuseppe Di Bella aiutava il padre a comunicare con gli uomini della sua squadra; ma eccoli gli ulteriori effetti dell’istruzione: ha quel giovanetto un fisico che non corrisponde alla sua età, malaticcio, e malato è anche nell’anima non avendo, visto come si comporta in chiesa, alcun rispetto per la religione.
I due vennero arrestati il giorno dell’arrabbiatura del Di Bella padre, cioè il 23 settembre, e rinchiusi nella prigione di Bagheria; saranno quindi trasferiti “sotto scorta”, per disposizione del prefetto, il 29 settembre nei “cancelli” della prefettura per “riuscire a più profondo scovrimento del fatto”. (lettera del prefetto al direttore di polizia del 27 settembre). L’1 novembre, quando la prima supplica per la scarcerazione giunge a Salvatore Maniscalco, i Di Bella si trovano già nelle Grandi Prigioni. Altre due suppliche al direttore di polizia giungeranno il 24 novembre e il 15 dicembre. E a Maniscalco, che gli chiede nuove sui Di Bella in riferimento a quelle suppliche inviategli, il prefetto risponde che, se null’altro è emerso dalle investigazioni del giudice, rimaneva il fatto che “il Di Bella padre nelle passate vicende, nella qualità di capo squadra, si distinse in ribalderie”. (lettera del prefetto al direttore di polizia del 24 dicembre).

Finalmente il 26 dicembre si decide di liberare almeno il sedicenne Giuseppe Di Bella; quanto ad Antonio Di Bella, “dopo avere interrogato il Giudice Regio di Bagaria…attese le sue relazioni con tristi persone e la sua non buona trascorsa vita”, dalla prefettura si propone che “potrebbe abilitarsi spedendosi a domicilio forzoso in un paese lontano dalla sua patria, o pure sottoponendolo all’obbligo della pernottazione in carcere”. (lettera del prefetto al direttore di polizia del 15 gennaio 1855). Ci vorrà un’altra supplica (26 gennaio 1855) perché, l’1 febbraio, il direttore di polizia dia disposizione al prefetto affinchè “Antonio Di Bella sia messo in libertà con obbligo di pernottare in carcere”.

Dobbiamo attendere circa un anno perché, come in un giuoco delle parti, dopo le solite lettere del giudice al prefetto e da questo al direttore di polizia, quest’ultimo dia disposizione affinchè Antonio Di Bella sia sciolto dal vincolo di pernottare in carcere “sotto consegna a persona che lo presenti ad ogni richiesta e sottoponendosi a sorveglianza”. (lettera del direttore di polizia al prefetto del 15 dicembre 1855).

ASP, Real Segreteria di Stato preso il Luogotenente Generale in Sicilia, Dipartimento Polizia, filza n. 1083, documento non numerato.