Uno era Carlo Puleo quella volta che l’associazione culturale di cui faceva parte decise di presentare a Bagheria il libro di Enzo Mignosi Il Signore sia coi boss e invitò Giuseppe Speciale, detto Peppino, l’onorevole.
E uno era l’onorevole che, non potendo partecipare a quella presentazione, al pittore inviò una lettera che racconta invece, a differenza di quel libro, “storie di preti coraggiosi”. La lettera è del 16 dicembre 1993 e si può leggere nel libro pubblicato nel 2006 dall’Ufficio per la Cultura del Comune di Bagheria dal titolo Peppino Speciale Giornalista, politico, storico alle pagine 229-231.
Tre erano i preti coraggiosi: Francesco Speciale, Paolo Lombardo e padre Furia, tutti e tre della chiesa delle Anime Sante dove, era l’inizio del Novecento, dal pulpito intendevano “denunziare le violenze e gli assassinii” dei mafiosi. Erano giovani e pericolosi e “per questo bisognava farli tacere”. Se ne incaricò il sacrestano.
Uno era quel sacrestano, un certo Cola, non conosciamo il suo cognome e Peppino Speciale non lo dice; tentò di ammazzarli il 18 luglio del 1907, una domenica alla fine dell’ultima messa, quella dell’una. Si appostò dietro una colonna e quando i tre, uscendo dalla sacrestia dove avevano deposto i paramenti, erano arrivati al centro dell’altare maggiore, cominciò a sparare.
E uno era dunque quel sacrestano. Pare che avesse una storia con una certa Caterina di quel quartiere, anche di lei non conosciamo il cognome, e per questo era stato severamente richiamato da quei preti. Così ce l’aveva con essi e fu perciò facile ai mafiosi, sprovveduto com’era, armare la sua mano. Racconta l’onorevole:” Convinto di averli massacrati Cola salì di corsa le anguste scale del campanile, si affacciò e vide su un vicino terrazzo la donna che amava…la salutò con un grido disperato e si precipitò nel vuoto”.
Tre erano perciò i preti coraggiosi che, però, “si salvarono con la fuga e non tornarono più sul pulpito a sfidare la mafia”. Padre Lombardo errò per anni per le parrocchie di altri paesi alla fine diventando parroco a Casteldaccia; padre Furia cambiò solo chiesa trasferendosi alla Madrice; padre Speciale “se ne andò a insegnare latino e greco nelle scuole italiane all’estero (Tunisi, Alessandria d’Egitto, il Cairo)”.
Una storia semplice? Forse. E forse no. Uno è padre Francesco Michele Stabile al quale abbiamo chiesto se conoscesse e cosa conoscesse di quella vicenda. Così ci ha gentilmente fornito il testo del telegramma che il parroco della chiesa Madre, l’arciprete Formusa, inviò quel giorno stesso, il giorno di quei drammatici avvenimenti, a Palermo. Eccolo:” Sventura avvenuta ora chiesa Miseremini. Sacrista impazzito ferisce gravemente sac. Valenza e leggermente sac. Zappulla, entrambi condotti codesto ospedale. Omicida suicidasi. Segue lettera. Arc. Formusa”. Ma padre Stabile, presso l’archivio diocesano, ha trovato soltanto quel telegramma e null’altro. Nessuna lettera. Quanti preti c’erano in quella chiesa che, peraltro, non era ancora nemmeno parrocchia? E quello sciagurato non va a colpire giusto quei due che non c’entravano niente?
Una storia semplice? Forse. E forse no, almeno per quanto riguarda padre Francesco Speciale di cui vorremmo sapere, se qualcuno c’è che lo sa, quando se ne fuggì, se davvero lo fece, in Africa per insegnare latino e Greco. Uno era Vincenzo Drago che scrisse il libro Mattatoio Bagheria, pubblicato postumo nel 2017, in cui c’è più di un accenno a padre Francesco Speciale. E con Vincenzo Drago abbiamo un tempo e un differente contesto se scrive:” Il sacerdote benestante Francesco Speciale a Ficarazzi aveva contrastato l’invasiva famiglia Gagliardo che prelevava acque dal fiume Eleuterio” (p. 177). Come stavano le cose? Sul ponte di Ficarazzi, presso il fiume, Il sacerdote possedeva un mulino e prelevava acqua da distribuire ai proprietari della zona per l’irrigazione dei loro poderi in concorrenza con Francesco, Nicolò e Giuseppe Gagliardo, fratelli. E l’acqua venduta da questi ultimi costava più di quella fornita dal sacerdote. Gli incendiarono il mulino e ostruirono la conduttura. Li denunziò e li accusò d’essere mafiosi. Come andasse a finire ce lo dice Francesco D’Amaro nella sua tesi di dottorato Acqua e potere consultabile on line:” Alcuni furono completamente assolti perché non si provò che avessero commesso i reati di cui erano stati accusati, come accadde per Francesco, Nicolò e Giuseppe Gagliardo. Il Sac. Speciale li aveva accusati ma si accertò come il detto Speciale abusivamente usava dell’acqua demaniale senza concessione” (p. 84). Le carte di quella vicenda processuale, puntualmente studiate da Francesco D’Amaro, sono conservate presso l’Archivio di Stato di Palermo. Il processo, con sentenza penale del 20 gennaio 1930, si svolge l’anno precedente. Scrive Vincenzo Drago:” Il parroco Francesco Speciale aveva combattuto prepotenze e mafia dell’acqua e fu costretto a lasciare la parrocchia ed a trasferirsi in Tunisia” (p. 165).
Uno era Francesco Speciale, sacerdote, il quale fu costretto (?) dalla mafia, a scappare in Africa. Quando? O nell’immediatezza degli spari in chiesa e della precipitazione dal campanile e prima, comunque, del 1916 se ci fidiamo del racconto di Giuseppe Speciale o dopo il 1936, a distanza di altri sei anni dalla sentenza di quel processo se, invece, seguiamo quanto accenna Vincenzo Drago. Il motivo è semplice: dal 1916 al 1936, anno quest’ultimo in cui quella chiesa diventò parrocchia, padre Francesco Speciale fu rettore della chiesa di San Pietro e stava perciò a Bagheria.
Biagio Napoli