1-Maigret a piazza San Sepolcro. C’era, dallo stesso lato del venditore di focacce con la ricotta, una piccola libreria; forse, però, si trattava di un negozietto di articoli religiosi che, quando era il tempo, vendeva anche libri scolastici.
Magari vendeva pure materiale di cancelleria. Però, sul muro esterno, una vetrina esponeva libri sulla cui copertina campeggiava il nome di Maigret, il commissario. Quel Maigret, sulla copertina d’unico e sempre diverso colore, o stava in un posto (nella Casa dei Fiamminghi, ad esempio ), o aveva a che fare con qualcuno, fosse persona ( la Spilungona, ad esempio ) o anche animale ( il cane giallo, ad esempio ), o faceva qualcosa ( si divertiva o sbagliava o esitava, ad esempio ). Non sapevo chi fosse, tantomeno che si trattasse di un commissario della polizia parigina e questi titoli non è che me li ricordi da allora; la verità è che di questi libri ne ho ormai un bel mucchio accattati a Ballarò, al mercatino. Chi le aveva allora le duecento lire che
ognuno di essi costava? Georges Simenon, Maigret ecc., Il Girasole, L. 200, Biblioteca Economica Mondadori. Pure quei libri mi incuriosivano e se passavo da lì, sempre mi fermavo a guardarli e, a volte, se non avevo nulla da fare, mi capitava di recarmi apposta a piazza San Sepolcro, in quel negozietto, e sostare davanti a quella vetrina. Quella, per la verità, non è mai stata una piazza vera e propria. Niente monumento ai caduti o fontana o alberi attorno o panchine che sono però alla Madrice, la fontana dico, e gli alberi e i vecchi seduti, in estate, a discutere. Allora la attraversavano le macchine per andare nello Stradone, o nella lunghissima via Lo Re, o al Collegio di Maria passando davanti alla chiesa. Ora è chiusa, c’è un ulivo piantato già grande, un lungo sedile di marmo e il mezzo busto marrone scuro, su un piedistallo, del cardinale Pappalardo, arcivescovo di Palermo. Però, davanti alla focacceria, ci sono dei tavoli e, accanto ad essa, ecco altri tavoli di un master cafè food & drink, spuntato da poco. Quei locali, con i loro tendoni in PVC tavoli e sedie, occupano più di metà di quella piazza fin oltre il tragitto dei feretri, se c’è un funerale. Mi dicono però che la bara non la portano più a spalla attraverso la piazza fino al corso Butera e che il carro funebre lo posteggiano di lato alla chiesa, a sinistra, in via Nasca e da lì poi prende la via Gregorietti, la prima a destra, corta e stretta. Così quei locali con i loro tavoli e il loro brutto PVC, la piazza possono occuparla per intero.
2-La paura.
Andarono quella volta a casa di una moribonda e, tornando, dissero di averlo sentito l’odore dello zolfo e di averle viste le fiamme, il fuoco dell’inferno. La donna, giovane sposata madre, mentre moriva, aveva trovato la forza, disperandosi, di sollevarsi sul letto e gridare che non voleva morire. “Muriu addrannata” vennero a dire mia madre e mia sorella. “Sa pujtaru i riavuli”. Ed erano spaventate e ficiru scantari puru a mia che quei diavoli li vedevo afferrarla per le braccia la morta e i capelli pi tirarisilla.
3-
Cu mancia babbaluci
e bivi acqua
ricitici un gloria
ca è muojtu
picchì supra babbaluci
vinu si ci mietti.
4-Suocera e nuora.
E un’altra volta si recarono a casa di una conoscente che aveva partorito tornandosene poi molto meravigliate. La suocera c’era andata a cose fatte e non era nemmeno entrata a vedere nuora e nutrica.
Scostata la tenda aveva dato a chi c’era una gallina già spennata dicendo di farle il brodo. Mancu un masculu era stata capace di dargli a suo figlio!
5-Ricordo di mio padre contadino.
Trovai mio padre che costruiva il riparo per i piantimi di pomodoro. Intorno, per terra, c’erano un fascio di canne e uno di rami secchi di palma, ru fuccini, tre pali e una grossa pietra. Na fuccina era però già conficcata per terra, a un angolo del vivaio. “Brasi, che l’ha fatto solo due giorni fa, ora il riparo lo deve rifare” disse mio padre.
Pigghiò na fuccina e la conficcò per terra ad un braccio di distanza dall’altra già piantata. “Per forza! Come lo fa gli sta in piedi per miracolo. E il vento di stanotte glielo ha buttato giù”. Pigghiò l’ujtima fuccina e la infilò per terra ad un braccio di distanza dalla seconda, all’altro angolo del vivaio. “Come lo faccio io nemmeno un uragano lo butterebbe giù” disse.
I pali ch’erano per terra li sistemò obliquamente nella parte posteriore del vivaio, una estremità piantata a terra, l’altra appoggiata tra i ru cuojna ri fuccini. Con del ferro filato attacco l’estremità dei pali ai quei corni. “Li vedi i piantimi? Qua c’è il pomodoro per l’estate” disse.
I piantimi spuntavano appena sulla terra rossa, più piccoli della metà d’un dito, ricoperti da una reticella sospesa a dei pezzetti di canna perché gli uccelli non v’andassero a beccare.
“Ieri più d’un’ora m’è passata a strappar erba. Così, chi resta, questa estate si mangia il pomodoro” disse mio padre. Aveva solo tre o quattro anni sopra i cinquanta eppure, magari per scaramanzia, faceva quei discorsi. Certo vecchio non era e Brasi, arrivato in quel punto per vedere il riparo per il pomodoro, rivolgendosi a me, disse: “ Sicuro campa fino a cent’anni”. “Fino a cent’anni non lo voglio neppure io. Ma nemmeno a settanta devo arrivare?”
Intanto, dal fascio aveva preso due canne che, col ferro filato, attaccò ai pali, trasversalmente, nella parte alta. Prese altre due canne, le più robuste, e le attaccò ai pali, nella parte bassa e altre ancora le fissò nella parte media e, sopra di esse, sistemò, uno accanto all’altro, i rami di palma e su di queste di nuovo le canne, come aveva fatto prima. I piantimi erano ora completamente coperti perciò aveva quasi finito. Gli restava da sistemare la grossa pietra. Prese da un ramo di limone lì vicino cui era appesa due metri di corda, la girò intorno alla pietra e vi fece un nodo; L’altro capo della corda lo legò ai corni ra fuccina ch’era al centro .
“Il vento la pietra non se la può portare e così non si porta nemmeno il riparo!” disse. Mio padre guardò il riparo soddisfatto. Venne anche lo zio Pietro e parlarono del lavoro dell’indomani.
Biagio Napoli
Aprile 2017.