"Che genere di violenza", intervista all'autrice Maria Luisa Bonura- di Stefania Morreale

"Che genere di violenza", intervista all'autrice Maria Luisa Bonura- di Stefania Morreale

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Maria Luisa Bonura, psicologa clinica bagherese esperta nel contrasto alla violenza di genere nelle relazioni affettive, ha recentemente pubblicato 'Che genere di violenza', un libro rivolto a chi vuole conoscere le caratteristiche e le dinamiche della violenza contro le donne e, soprattutto, a chi si chiede come la si può affrontare.

Maria Luisa Bonura si occupa di formazione e di interventi psicologici che riguardano il contrasto alla violenza di genere. Ha lavorato presso il Centro Antiviolenza Le Onde Onlus di Palermo e attualmente vive in Trentino-Alto Adige dove è responsabile di un servizio che realizza progetti di accoglienza per donne e bambini/e che affrontano percorsi di uscita dalla violenza. Collabora con diversi realtà tra cui il Centro Studi Erickson con cui ha recentemente pubblicato il libro 'Che genere di violenza. Conoscere e affrontare la violenza contro le donne'.
16425697 10212565683764093 395971207 n"Scrivere questo libro è stata una opportunità, ma anche un bisogno" – racconta l'autrice - "Fare delle pratiche e del sapere un pretesto di scambio e anche di auto-conoscenza è una delle maggiori fonti di piacere nel mio lavoro, da sempre. Fin da quelle prime esperienze al Centro Antiviolenza Le Onde di Palermo ho imparato che non voglio e non posso fare a meno di una rete che sostenga la mia capacità di sostenere. È lì che ho cominciato a capire l’importanza di alimentarla raccontando quel che si sa, quel che si crede, quel che si fa e, soprattutto, quel che si è nel proprio lavoro, se lo si vuole proteggere dall’usura. E così ho scritto, forse più per alimentare l'esperienza che per trasmetterla". Il libro, non solo appannaggio degli esperti, contiene spunti operativi, infografiche e box di approfondimento dedicati a chiunque si chieda come essere di aiuto in contensti di violenza domestica. "E’ un libro che nasce da esperienze di relazioni di aiuto: il mio racconto si intreccia costantemente con quello di donne che hanno raccontato la loro ricostruzione. Inizialmente è stato pensato per i professionisti e per le persone vicine alle vittime"- confessa la psicologa - "ma in questi mesi mi hanno scritto anche alcune donne che hanno vissuto in prima persona una relazione bruciata dall’abuso e che in queste pagine hanno trovato la possibilità di rivedersi e di dare un nome ad alcune proprie esperienze". La violenza sulle donne è oggi un tema caldo di cui sempre più spesso si parla. Nonostante questa attenzione per il fenomeno, l'Italia continua a non intervenire in maniera seria e mirata ai fini di una risoluzione del problema, ma si muove in maniera caotica occupandosi quasi esclusivamente delle pene da attribuire dopo un atto di violenza, senza considerare l'aspetto educativo importante già in bambini di età scolare. "L’Italia è un paese in cui il 62% degli stupri lo compie un partner o un ex-partner e in cui muore una donna ogni 3 giorni per mano di un uomo che diceva di amarla. Negli ultimi 15 anni gli orfani di femminicidio sono stati oltre 1600 e molti di loro hanno assistito all’uccisione della propria madre da parte del padre. Ma per quanto sconcertanti questi dati rappresentano solo la punta dell’iceberg, poiché c’è un enorme quantità di violenza sommersa e invisibile che produce enormi danni psicofisici tutti i giorni. L’Italia è un Paese che di fronte a tutto questo si riempie di contraddizioni. E’ uno Stato che proclama lotte al femminicidio ma poi, di fatto, affama i centri antiviolenza, non si occupa di prevenzione e tende a colpevolizzare le donne per non aver denunciato. L’Italia è uno dei pochi stati europei a non essersi ancora dotato di programmi scolastici curriculari di educazione sessuale ed affettiva. Tra l’altro, chi prova a fare progetti che agiscono in questo senso, spesso deve fronteggiare le proteste e accuse da parte di chi teme l’inesistente “ideologia del gender”. L'Italia è uno degli stati in cui si cerca nella vittima il possibile movente delle violenze ('Lo ha lasciato?' 'Aveva un altro?' 'Come era vestita?'...), il che - se ci si pensa - è paradossale almeno quanto chiedere ad un gioielliere che abbia subito un furto con scasso, in che modo abbia provocato il suo rapinatore". 

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L'autrice però afferma che, nonostante tutti questi problemi e incongruenze, qualcosa di positivo è avvenuto "Secondo gli ultimi dati istat le donne sempre più spesso considerano la violenza subìta un reato, la denunciano di più e più frequentemente ne parlano con qualcuno, cercando aiuto presso i servizi specializzati. Sono nate inoltre diverse associazioni che considerano la violenza 'una questione maschile' e che lavorano per promuovere un cambiamento culturale da costruire tra uomini per liberarsi da stereotipi e condizionamenti culturali che oltre ad alimentare la violenza contro le donne, generano sofferenza negli stessi uomini.

L’Associazione Nazionale Maschile Plurale e l’Associazione torinese Il cerchio degli uomini ne sono due esempi". Grazie al lavoro svolto sia in Sicilia sia in Trentino, Maria Luisa Bonura è in grado di comparare le situazioni di violenza sulle donne nei due diversi contesti "La violenza colpisce le donne trentine ed altoatesine quanto quelle siciliane senza differenze rilevanti né quantitative né 'qualitative'. Quello che cambia è la risposta istituzionale al problema. Mentre in Trentino-AltoAdige i servizi antiviolenza sono sostenuti da finanziamenti sistematici, certi e adeguati, i centri del sud Italia nella maggioranza dei casi sopravvivono con contributi a singhiozzo transitando di progetto in progetto e resistendo solo grazie alla disponibilità delle professioniste a lavorare come volontarie, nonostante le loro siano prestazioni che richiedono specializzazione e i casi da affrontare siano moltissimi. Ciò che non cambia da nord a sud è la forza di ricominciare e il desiderio di vivere delle donne che incontriamo nel nostro lavoro". La soluzione al problema comincia con il riconoscere il fenomeno come 'figlio' della società e quindi come prodotto di atteggiamenti stereotipati e dannosi sia per le donne che per gli uomini "La libertà dagli stereotipi sui ruoli maschili e femminili, la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni, il rispetto delle differenze e la consapevolezza che la salute è incompatibile con la mancanza di libertà sono gli obiettivi basilari di un’educazione che nel tempo riduca drasticamente la diffusione della violenza di genere. Questo però non vuol dire che per estirpare il problema non ci resta che lavorare con i bambini e le bambine e sperare che almeno loro “non lo facciano più”. Bisogna trasformare i contesti che li/le aspettano fuori dalla scuola naturalmente. I luoghi in cui invertire la rotta e tagliare le radici di questo fenomeno sono tanti, tutti. Le aziende, gli uffici, le parrocchie, gli studi televisivi, i giornali, i consigli comunali, le aule di tribunale, le corsie d’ospedale sono tutti contesti che possono 'fare la differenza', qui e adesso".

Stefania Morreale