Bagheria come un’infanzia (13) - di Biagio Napoli

Bagheria come un’infanzia (13) - di Biagio Napoli

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1-Nonna e madre. Non ricordo quella vecchia come si chiamasse. E invece so i nomi di tutti i suoi figli, dei maschi e delle femmine, e di qualcuno di essi ricordo qualcosa di particolare.

Di uno, per esempio, ricordo che morì quasi subito perché era diabetico e venne amputato di tutte e due le gambe. Nel libro di Ferdinando Scianna su “Quelli di Bagheria” c’è una sua fotografia in posa all’interno del campo sportivo. Amava il calcio e la squadra del Bagheria. E, a proposito di calcio, un altro dei fratelli fu un promettente calciatore e lo misero anche in una figurina. Non diventò un calciatore vero. C’erano altri tre fratelli maschi e tre femmine. Poi si seppe che, in realtà, il più piccolo dei maschi non era un fratello, si seppe che era un nipote perché la sorella più grande era stata una ragazza madre e la vecchia aveva finto che fosse figlio suo.

2-L’infermiera.
Accanto alla loro casa v’abitava un’altra vecchia, vedova da tempo, con due figli maschi già sposati e per casa loro e due no. Lei s’aiutava facendo iniezioni, per questo la chiamavano l’infermiera. Le era nata anche una femmina, Paolina stava anch’essa con la madre, come facevano tutti quanti in una casa che era solo qua dentro e là dentro? Paolina era pure sposata e madre di figli piccoli. Presto però rimase vedova perché il marito, mentre lavorava, si prese la corrente, fu sbattuto a terra e morì. C’era nel quartiere una bottega di generi alimentari e il proprietario era un uomo piccolo di statura, quasi un nano; nessuno lo aveva voluto. Con quella bottega però poteva considerarsi ricco. Se Paolina ci andava, le diceva di volersela prendere. Ne parlò all’infermiera. Un giorno che in casa non c’era nessuno dei suoi figli maschi, l’infermiera si prese i nipoti e uscì. L’uomo basso entrò e chiuse la porta. Paolina potè crescere i suoi figli, ne ebbe altri col nuovo marito, fece la signora, maniava picciuli mettendosi alla cassa.

Bagheria corso Butera

3-
Curriemunni:
cu arriva primu
è figghiu ru bamminu.

4-‘O pijtusu.
Una casa grande aveva in quel posto; si scende da piazza Sepolcro, si passa davanti ad uno dei lati di palazzo larderia e la prima stradina a destra porta ad un piccolo arco che serve, con dei gradini, da passaggio in via Gigante, un altro quartiere. E’ quel passaggio, è quell’arco, davvero piccolo, u pijtusu. E all’inizio di quella stradina aveva una casa da ricca. Da giovane era invece povera. Vendeva olio; e com’era lesta a girare il bicchiere che usava come misura! Ogni misura che versava e che velocemente girava era un centimetro d’olio che al cliente sottraeva. Pagavano per un litro e lei gliene dava ottocento. Da giovane vendeva olio. Rubava olio dalle giare della madre, al suo posto acqua aggiungeva perché il livello fosse mantenuto, la madre non poteva non accorgersene, ma nove erano i suoi figli, quale d’essi faceva quello scherzo non poteva saperlo, magari l’immaginava, era lei ad avere più bisogno degli altri, lei rubava olio dalle giare e lo vendeva. Da giovane stava ai Lannari come mia madre. Si conoscevano. Poi diventò ricca e cambiò casa. Una volta che mia madre l’andò a trovare portandomi con sé, e lei forse aveva più di cinquant’anni, si mise a saltare con la corda come una ragazzina. Saltò quattro o cinque volte. Alla sua età ecco cosa ancora sapeva fare, disse. Si sedette. Venne dalla stanza accanto una bambinetta bionda, con il viso rotondo, tre o quattro anni, sua nipote. -Com’è bella questa bambina- cantilenò. La piccola alle sue ginocchia s’avvicinò e volle che sopra di esse la facesse salire. Le disse:- Bella sei?- E anche:-Dolce sei?- E ancora:-Lo sei dolce. In mezzo alle gambe ti ho messo lo zucchero quando sei nata. Da grande l’uomo che incontri ti rispetterà-.

5-Teresa.
La cugina Teresa io la rammento sempre uguale, vecchia. Ero ragazzino e lei era già vecchia. Cugina di mia madre in realtà, era una donnetta tutta nera, perché bassa e curva, e a lutto stretto per la morte del marito, nonostante da quella morte fossero già trascorsi molti anni. Gaetano, così si chiamava, era un fumatore accanito, una addruma e una astuta, neri aveva i denti e arse le gengive, marrone i polpastrelli delle prime tre dita destre, specie d’inverno una mattinata ci stava per svuotare del catarro il suo petto, a sira nuddra mustura evitava alla tosse di squassarlo, gli venne il cancro ai polmoni. Era un uomo scuro, cotto dal sole, e curvo per il lavoro nei campi, Gaetano era di quelli che uscivano di casa col buio e vi tornavano la sera, più da solo stava che in mezzo alla gente, me lo ricordo quasi sempre con la barba lunga e incolta, un animale selvatico pareva, la sera che morì, prima di girarsi dall’altro lato e non dare più conto, le disse di stare attenta a come si sarebbe comportata e tanto le bastava. Teresa l’ho vista l’ultima volta presso la porta della chiesa delle Anime Sante, per il funerale d’un fratello di mia madre, lo zio Salvatore. Disse che lo zio Salvatore almeno ottantacinque anni doveva aver compiuto; lei era bambina e lo zio in braccio la teneva; anche mia madre, che solo qualche anno in più di lei aveva, volle tenerla in braccio una volta; volle giocare a farle una fotografia; sopra un cavalletto di legno la lasciò e lei cadde dando la nuca. Prima di rinvenire molto tempo passò; per morta la diedero, ma rinvenne e campò, non poteva morire. –Non potevo morire- disse. –Perché dovevo soffrire...se avessi dovuto godere, invece...sicuro sarei morta, se era scritto che avessi dovuto godere- Così disse e il volto le si rigò di lacrime.

Biagio Napoli

Gennaio 2017.