Bagheria come un'infanzia (7) - di Biagio Napoli

Bagheria come un'infanzia (7) - di Biagio Napoli

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1-Di fronte villa Roccaforte. Aveva una piccola casa di fronte villa Roccaforte don Gaetano, un uomo grasso e basso, tondo come una botte. Gli dicevano u vastasu perché d'estate, quando doveva irrigare i limoni, se ne usciva in mutande senza alcun pudore.

L'acqua arrivava in un pozzetto di fronte al portone della villa, oltre la strada che porta a Santa Flavia. E di fronte la porta di casa sua. Una volta lo vidi anch'io che trafficava in quel pozzetto vestito soltanto di un paio di enormi mutande bianche che gli arrivavano alle ginocchia. Aveva la grossa pancia e il torace nudi e il suo abbigliamento era completato solo da un paio di stivali verdi di gomma e da una zappa. Accanto alla casa di don Gaetano c'era uno spiazzo molto largo , ora occupato da alberi e aiuole, dove un ragazzo di undici o dodici anni portava a pascolare le pecore. Michelangelo fece poi il muratore ed emigro' in Germania . Da ragazzino pascolava le pecore di mastro Faro che abitava nel vicino atrio del Cavaliere e qui faceva la ricotta. Io, quando ancora non andavo a scuola, a Michelangelo spesso tenevo compagnia. Avevo quasi cinque anni ed ero diventato suo amico. Se pioveva, come di frequente capitava, mi faceva infilare sotto il suo ampio pastrano. Poi Giovanni, ch'era un suo fratello più piccolo, gli portava il siero con la ricotta che aveva preso da mastro Faro e una pagnotta. Quel pane, tagliato a pezzi, lo inzuppavamo, una volta ciascuno, nel siero. Il mio amico Michelangelo ed io mangiavamo il pane inzuppato di siero e ricotta ancora calda. Tutto finì quando cominciai ad andare a scuola . Michelangelo e' ancora vivo, e' ritornato dalla Germania ed è in pensione; ogni tanto ci si incontra per strada, si fa un tratto insieme, si sta un poco a parlare.

2-La scuola elementare.

Il Cirincione e' una grande scuola costruita al tempo del fascismo.Quando ancora non c'era lo stadio, fatto a metà degli anni '50, nello spazio che c'era davanti, credo dopo la fine della guerra, si gioco' qualche campionato di calcio. Poi ci si andava a giocare a palla noi bambini. C'era largo per almeno tre campetti di calcio. Due, davanti alla scuola, erano separati dal monumento alato ai caduti dove, ancora oggi, il 4 novembre, il sindaco con la fascia tricolore va a porre una corona d'alloro. Il terzo campo era in uno dei lati della scuola, quello che corrisponde a via Roccaforte. Quei campi ormai non esistono più perché vi sono state piantate filiere di pini cresciuti male, sgraziati; dove c'era il terzo campo c'è ora la casa del custode che vi ha messo alberi da frutta coltivandovi anche ortaggi. Ma, forse, proprio ora non c'è più nemmeno un custode. La scuola e' chiusa da grate e cancelli, non appartiene più alla città. Del resto frotte di bambini che giocano e cercano spazi per giocare io in paese non ne vedo più. I ragazzi più grandi ci andavano a volare gli aquiloni e facevano a gara a chi era capace di volarli più in alto. Gli altri stavamo con la faccia al cielo a guardare le giravolte di quella carta variopinta. D'inverno, quando pioveva, c'era sempre qualcuno che si armava di piccole trappole e le sistemava tra il fango e i rivoli d'acqua per prendere i pettirossi. Io quella scuola l'ho frequentata cinque anni . Abitavo in quel quartiere ed era perciò la mia scuola. Di quegli anni non ho molti ricordi, i maestri però li ricordo bene. In cinque anni ne ho avuti tre. Ho amato molto il primo, anche se non rammento più come si chiamasse, perché trovava sempre il tempo di leggere qualche pagina di un romanzo il cui protagonista aveva soprannome Pispisedda. Stavamo in silenzio ad ascoltare le avventure di questo ragazzino e dei suoi amici al tempo dell'impresa garibaldina; le nostre facce erano attente e davvero qualcuno stava con la bocca aperta. Per anni ho pensato che quel libro, che il maestro ci leggeva puntualmente ogni pomeriggio, fosse uno di quelli scritti dall'Abba. E invece mai ho trovato quel Pispisedda in uno di quei libri. Poi seppi di un romanzo dal titolo Picciotti e garibaldini e fui sicuro che fosse questo. Lo era. Legato a quel ricordo, ho letto , anche se faticosamente, il libro di Giuseppe Ernesto Nuccio. Il maestro della seconda elementare fu uno dei fratelli Sciortino, maestri tutti e tre. Questo era magrissimo e senza un capello. La sua testa pareva un teschio. Lo ricordo cattivo perché sulla cattedra teneva la barra di legno di una sedia e, con questa, ci puniva battendoci sul dorso delle mani. In terza, quarta e quinta ebbi un altro dei fratelli Sciortino. Questo era invece pingue e buono. Anche di lui ho un buon ricordo. Del terzo fratello non posso dire nulla perché non l'ebbi mai come maestro .

corso umberto

3-

Un fogghiu granni

di carta leggia,

cu du' cannuzzi a cruci

chi ci fannu di schelitru:

una a parpagnu tisa e sustinuta

e l'autra quasi ad arcu ma cchiu' fina.

Lu so' ciatu e' lu ventu

e lu so' cori un ghiommaru di spagu

o di cuttuni forti...

E la stidda di cursa si nn'acchiana...( Giovanni Girgenti ).

4-In platea al Capitol.

Certo andavo anche negli altri cinema; per esempio, il primo film , quando avevo solo 7 anni, l'ho visto al Corso. Dico da solo, perché mio padre al cinema non andò mai e fratelli più grandi che mi ci potessero portare non ne avevo.Era Il conquistatore, quello girato in una zona piena di radiazioni per via degli esperimenti atomici che vi erano stati condotti, con John Whayne che poi muore di cancro, e Susan Hayward che muore di cancro e...tanti altri che morirono di cancro, pare una epidemia a leggerle queste cose sui dizionari, se uno ce li ha, o su Wikipedia. Scrivono anche che quel film sia bruttissimo e lo classificano tra i peggiori.Io non l'ho più rivisto e nulla ricordo di esso, nemmeno una scena. Però penso che sia difficile immaginare John Whayne truccato e vestito da mongolo . Al Capitol ci andavo più spesso che negli altri cinema perché era a due passi da casa mia, in via Roma, di lato alla scuola. Proprio accanto, separato solo da una strada, c'era anche il cinema Roma; questo però allora non funzionava perché un pomeriggio, fu un giorno di marzo del '51, durante la proiezione, cadde il tetto. Il Roma sarebbe stato ricostruito, ma molto tempo dopo, e avrebbe ripreso a funzionare con due film per volta. Con copie da macero però. Comunque in molti ci andavano. Ora è multisala e teatro, ma non funziona lo stesso. L'attuale gestore, che lo ha aperto per un breve periodo, e lo ha chiuso ( definitivamente ? ) ha avuto l'idea di mettere sopra l'ingresso il bruttissimo bassorilievo di una lupa dorata che allatta; ma l'antica Roma col nome del cinema non c'entra proprio. Il cinema si chiamò così perché questo è il nome della strada. Anche il Capitol è ora una multisala con la seconda sala ricavata in quella che era la platea. Allora i film li ripetevano puntualmente ad intervalli quasi regolari, tre, quattro volte in un anno. Così Lo scudo dei Falworth l'ho visto e rivisto un mucchio di volte; e anche Tarzan e il safari perduto e anche Ulisse ed Elena di Troia e Scaramouche e Joselito e... . Erano i tempi in cui spesso mancava la corrente elettrica. Non lo dicevano e staccavano lo stesso il biglietto. Lasciavamo la poltroncina e ci andavamo a sedere sui gradini della scala che portava sopra, in platea, ad aspettare. Non sempre la corrente tornava; ci mettevano allora un bollo nella parte posteriore del biglietto, ci si andava l'indomani. Verso i dodici anni fui preso dalla mania di dover andare al cinema ogni giorno. Naturalmente dovevo procurarmi i soldi del biglietto. Quando ero sicuro che mia madre non mi scoprisse, perché era in terrazza o fuori a parlare con qualcuna del vicinato, entravo nella sua camera da letto, aprivo il cassetto del comodino dove sapevo che teneva gli spiccioli, prendevo le cento lire che mi servivano. Con quei soldi in tasca l'ansia immediatamente cessava. Una volta però trovai la porta di quella stanza chiusa a chiave. Cosa potevo fare? Non mi persi d'animo. Pensai di andare a villa San Giuliano; ci andai e cercai nelle tasche della giacca di mio padre. Trovai la moneta che mi serviva. Rifeci la strada per tornare in paese e andai a chiudermi in un cinema. Questa cosa successe qualche altra volta , ma poi, per un certo periodo, non ebbi più bisogno di aprire cassetti o di frugare tasche. Scoprii infatti che un mio compagno di scuola aveva la mia stessa malattia. Si chiama Totò, ha fatto lo stesso lavoro di suo padre, ha avuto un impiego in ferrovia. Sua madre gestiva invece un negozio di generi alimentari a due passi dal corso Umberto. Il cassetto del bancone era sempre pieno di soldi. Totò lo apriva, ne prendeva quanti ne voleva, si andava al cinema, pagava per lui e pure per me.

Erano i tempi in cui di film in televisione ne trasmettevano uno a settimana, il lunedì. Naturalmente dovevo vederlo. Mi andava bene quando faceva scuro tardi perché le giornate erano lunghe. In inverno, invece, bisognava attendere ore prima che il film cominciasse. Loro, naturalmente, andavano a letto con le galline. Aspettavo . Mettevo l'audio piano perché nessuno si svegliasse, mi sistemavo con la sedia vicinissimo allo schermo. A volte, sul più bello, compariva mia madre e, sgridandomi, mi costringeva a spegnere e ad andare a letto .

5-Cuppuliddra russa.

Appartenne mia madre ad un tempo e ad una generazione che credeva ancora nell'esistenza di un mondo magico, di trovature e folletti. Mi raccontò sempre di una creatura che la mattina, per un lungo periodo, l'andò a trovare, volle giocare a carte con lei, se ne andava ogni volta perdendo. Non riuscì mai a capire se fosse un vecchio; indossava un berrettino rosso e aveva una forte somiglianza con un suo cugino; a lei pareva di giocare col cuginetto, così non aveva paura. Sua madre, scopando poi la casa, trovava negli angoli mucchi di monete. Sicuro quello era un folletto se la bambina parlava di uno con un berretto rosso che nessun altro però vedeva. Quei soldi chi li lasciava? Quando mia madre divenne ragazza, il folletto non andò più a trovarla. Pulivano gli angoli nascosti di quella casa senza più trovare neppure una monetina.

Biagio Napoli

Biagio Napoli

Settembre 2016