Lunedì scorso, a Palazzo Aragona Cutò, organizzato dall’Associazione Culturale “Bagheera” nell’ambito del ciclo di incontri Habitat II, è stato presentata l’ultima fatica letteraria di Dacia Maraini, “ Il treno dell’ultima notte”.
Noi oggi pubblichiamo integralmente l’intervento introduttivo del Prof. Antonino Morreale,
mentre la prossima settimana pubblicheremo una recensione del libro curata da Maurizio Padovano.
E’ con sincero piacere che ho accolto l’invito di ricevere qui Dacia Maraini perché sono molti i fili che si ingarbugliano e legano questi luoghi e alcune persone a Lei e Lei a noi.
Alcuni sono fili che risalgonoa secoli lontani, quando la sua famiglia materna, gli Alliata, si trasferisce definitivamente da Pisa in Sicilia per affari, nel XV secolo, poi c’è il filo che si origina dalla nascita di Villa Valguarnera ai primi del ‘700, voluta da una antenata di Dacia, poi c’è l’azienda vinicola Corvo di Salaparuta del nonno Enrico, poi c’è il filo della sua autobiografia, quando Dacia arriva qui dopo la prigionia in Giappone col padre la madre e le sorelle, ospite, diciamo così, della nonna materna, per i bagheresi la “principessa” per antonomasia.
C’è un altro filo però, l’ultimo, che Dacia non ha ereditato ma ha voluto riprendere con forza, con passione, con decisione, un legame personale con questa terra quando ambientò qui alcuni momenti del film “L’amore coniugale” tratto dal romanzo di Alberto Moravia, e quando decide dopo tanti anni di scrivere di questo rapporto con la nostra città in un romanzo che si chiama “Bagheria” e che tutti i presenti hanno letto.
Su questo tornerò ancora, per ora mi serve invece accennare soltanto non a quella che è la scrittura di Dacia su cui posso esprimere apprezzamento personale, ma non competenza da specialista.
Però su due elementi voglio richiamare l’attenzione di chi ascolta. Non si tratta di una scrittura di evasione nemmeno nel senso buono, ma di una scrittura che ha sempre al centro temi forti e tra questi certamente il tema della donna e della sua situazione ieri e oggi è vitale, o quello della memoria della tragedia dello sterminio degli ebrei e della rivoluzione ungherese del 1956, oggetto di quest’ultimo romanzo.
Poi ci sono gli interventi pubblici intorno ai problemi politici e culturali ai quali non si sottrae, convinta com’è che questo faccia parte di un ruolo, di un obbligo “educativo” dell’intellettuale.
E la sua presenza qui tra i ragazzi delle associazioni, ne è un’altra prova.
Io non credo che la nostra città abbia qualcosa di speciale e se lo ha non è certo in positivo, però si è immeritatamente accaparrato un romanzo splendido come quello della Maraini nel 1993, che ha aperto una stagione di fotogenia per la nostra città, e poi un noioso libro di storia di chi vi sta parlando nel 1998, uno splendido libro di fotografie e testi di Fernando Scianna fotografo sommo, nel 2002, e ora un film in lavorazione dell’Oscar Peppuccio Tornatore.
Non sono molte le città che possono vantare questo interesse da parte di autori tanto importanti - a parte chi vi parla naturalmente - ma mi infilo nella compagnia perché tutti vecchi amici.
Ci sarebbe da montarsi la testa ed essere sollecitati a “più grandi imprese” se solo i miei concittadini fossero sensibili alle cose dell’arte e della cultura, ma loro provvedono serenamente a difendersene, continuando così a dare ragione a chi sostiene da tempo che Bagheria è una città di molti intellettuali e di nessuna cultura.
C’è una immagine di Dacia che conservo con particolare affetto ed ammirazione ed è il suo atteggiamento sereno, sorridente, ma fermo, durante l’agitata presentazione del suo libro Bagheria che era oltre ad una narrazione autobiografica, un duro, documentato, atto di denunzia di quello che era allora la speculazione edilizia in questa città.
Attaccata come era facile immaginare, al limite della aggressione fisica, dai lacchè del potere di allora e non difesa - e ciò era meno giustificabile - come sarebbe stato giusto nemmeno dai vertici del P.C.I., Dacia proseguì sino in fondo il suo intervento ribadendo quanto aveva scritto nel libro e che poi sarà addirittura sulla scrivania dei magistrati che si occuperanno di alcuni personaggi implicati.
Ce n’è abbastanza io credo, in queste poche parole, per giustificare l’affetto con cui stamattina l’accogliamo ancora una volta tra noi: grazie Dacia.