All’inizio degli anni ‘60 arriverà a Bagheria Roberto Leydi. Ecco come di quell’arrivo ne scrive recentemente Ferdinando Scianna: “Leydi lo avevo incontrato una sera nella piazza Madrice di Bagheria, inviato dell’ “Europeo”, mentre realizzava un reportage sui cantastorie siciliani. Cicciu Busacca aveva riempito la piazza, Duilio Pallottelli lo fotografava. Fotografavo anch’io e dopo, insieme a Ignazio Buttitta e Busacca e Leydi e il poeta Romeo, vissi in una osteria del paese, tra racconti, canti e recite di poemi, una serata memorabile e fondatrice per la mia formazione culturale”.
(1) Di quella serata a Bagheria, importantissima per il futuro professionale e artistico del nostro fotografo (dirà ancora: “Nel settembre del 1967 mi assunsero all’ “Europeo”, introdotto da Roberto Leydi, con cui avevo mantenuto i contatti da quella memorabile serata a Bagheria, e che era diventato mio grande amico e maestro”), (2) aveva scritto anche lo stesso etnomusicologo dovendo parlare di Ignazio Buttitta e di Cicciu Busacca, del poeta e del cantastorie.
Buttitta aveva conosciuto Busacca durante uno spetta-colo in paese, a Bagheria, iniziando da allora un sodalizio artistico che li portò in giro per il m ondo. Leydi aveva conosciuto i due a Milano, nel 1956, al piccolo teatro di Giorgio Strehler in occasione di uno spettacolo nel quale avevano recitato e cantato il Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali (che esce appunto nel ’56), sindacalista socialista di Sciara ucciso dalla mafia.
L’episodio svoltosi a Bagheria raccontato da Ferdinando Scianna e, vedremo ora, da Roberto Leydi, deve essersi verificato almeno nel 1963, anno di pubblicazione di Lu trenu di lu suli. Ecco quello che ricorda Leydi: “Emerge prepotente (e anzi aggressiva) la memoria (ancor oggi così viva) di una sera in una pizzeria di Bagheria ( e c’era anche, molto giovane, Ferdinando Scianna oltre che Ignazio Buttitta ) con Cicciu Busacca che cantava appunto Lu trenu di lu suli con la voce che ora si dispiegava ed ora si rompeva ora s’apriva nel canto ed ora si chiudeva in uno straordinario recitar-cantando e le lacrime agli occhi.
E gli occhi erano anche quelli di quanti quella sera erano con noi in pizzeria e di quanti non erano che normali clienti, lì capitati per mangiare una pizza. Ricordo che mentre la storia disgraziata dello zolfataro di Mazzarino si sviluppava subito mi tornarono in mente le parole dedicate da Garcia Lorca alla grande Nina De Los Peines, in un’altra straordinaria notte di Granada”.
(3) L’osteria in cui l’episodio si svolse, e di cui scrive Ferdinando Scianna, diventa in Roberto Leydi una pizzeria; ma c’era Ignazio Buttitta e il poeta frequentava la trattoria della zza’ Maria, in una traversa della via Di Pasquale, a due passi dai “Pilastri”, per la quale inventa: “Zzà Maria cu trasi s’arricria/e cu nun trasi menu camurria/e cu nun havi picciuli passia”. E allora è lì che l’episodio si svolse.
Sulla trattoria abbiamo una testimonianza di prima mano, quella cioè di Nino Morreale che, scrivendo del modo in cui lo aveva conosciuto e frequentato, racconta come Carlo Doglio pranzasse e cenasse “nella sua stessa trattoria, che era quella gestita da mia nonna e da mio padre”.
E continua: “Quello fu negli anni sessanta e settanta un luogo particolare. Due erano probabilmente le calamite che attira-vano un certo tipo di persone, la bontà del cibo voglio credere fosse la prima, l’altra era certamente Ignazio Buttitta. Era per trovare Ignazio che venivano a Bagheria e Ignazio li portava nella mia trattoria".
In quel locale si sono avvicendate alcune delle personalità più interessanti della cultura italiana e non solo.
Il poeta Evtuscenko e lo scrittore Konstantin Simonov, il pittore cileno Sebastian Matta, Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta e Sandro Pertini, Cesare Zavattini e Cesare Brandi, Il grande teologo svizzero Hans Kung e il musicologo Luigi Rognoni, il glottologo Chicco Ambrosini, Ornella Vanoni e il grande cantastorie Cicciu Busacca, Guttuso e Rosa Balistreri, Paolo Toschi e Roberto Leydi, Paolo Boringhieri, Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo, Bruno Caruso ed Enzo Sellerio, Tono Zancanaro e Pompeo Colajanni, Giosetta Fioroni e Giulio Carlo Argan, Maurizio Calvesi e Antonio Pasqualino, Dario Fo, Turchiaro, Micacchi e potrei continuare a lungo.
Per tanti di noi che gironzolavamo nei paraggi fu un vero tour de force emotivo e culturale negli anni decisivi della crescita, per chi voleva crescere”.
(4) Di Maria Paradiso, ’a zzà Maria, anima della piccola e frequentatissima trattoria, c’è una foto di Ferdinando Scianna che così la ricorda: “Quando nacque la mia prima bambina venne a vederla. “Che bella, che bella! Nuda la voglio vedere, nuda”.
La spogliarono. Lei tirò fuori un po’ di zucchero che s’era portata in tasca e glielo sparse addosso. Za Maria ma che fa? E’ uscita pazza? “Zitta, zitta, lascia fare che certune il miele pare c’abbiano, altro che zucchero”. (5)
E’ ancora Ferdinando Scianna a raccontarci dell’arrivo a Bagheria (da Partinico) di Carlo Doglio. Scrive Ferdinando Scianna: “…E poi, una sera, la grande sorpresa . …Carlo mi disse che da come glielo raccontavo doveva essere un posto maledettamente interessante questa Bagheria.
Quasi quasi non gli sarebbe dispiaciuto di venirci a vivere. Sarebbe stato possibile trovargli una casa? Gliela trovai subito naturalmente. …C’era da organizzare il trasloco.
Con l’aiuto di Mummino Morreale, il figlio della za Maria della mitica osteria, il padre di Nino, trovammo uno che aveva un camioncino e che per un piccolo prezzo si sarebbe incaricato del trasporto di quelle poche cose. …Cose ce n’erano pochis- sime, ma i libri, i libri pareva non finissero mai. Uscivano da ogni buco. Cartoni e cartoni. Forse è quelli che mangia, mi disse l’uomo, impressionato. E così Carlo sbarcò a Bagheria”. (6) Quello sbarco dovette avvenire nel 1964 se è vero che l’incontro tra i due si verificò l’anno precedente quando Ferdinando Scianna, già “fotografo”, s’accompagnò a Pietro Buttitta in giro attraverso i paesi della Sicilia a svolgere un’inchiesta ( e quindi anche per Partinico dov’era Carlo Doglio ), inviato de l’“Avanti!”, e se è vero che Nino Morreale ricorda di avere conosciuto e frequentato Carlo Doglio a Bagheria grosso modo tra il 1964 e il 1970, tra la fine del suo lavoro a Partinico e l’inizio dell’insegna- mento a Venezia.
Scrive ancora Ferdinando Scianna: “Per noi ragazzi di Bagheria l’arrivo di Carlo Doglio cambiò molte cose. …Certo, noi eravamo, io di certo, ignorantissimi.
Ma Carlo impressionava chiunque per la ricchezza e poliedricità dei suoi interessi. Parlava di cinema con la cultura e la sottigliezza di uno storico e critico di cinema, e così di letteratura, filosofia, politica, sindacato, urbanistica. Una miniera. Ogni volta avevi l’impressione di arrivare al nocciolo della questione, all’idea nuda, appunto”.
(7) Ma Ferdinando Scianna, nonostante la vivacità culturale di Bagheria e quegli incontri ( con Leonardo Sciascia aveva addirittura fatto Feste religiose in Sicilia ), presto, cioè nel 1966, fuggirà via dal suo paese.
Qui c’era spazio per fare l’ingegnere o il medico; se uno, come il nostro, aveva per sé un altro progetto, per esempio fare il fotografo, ma non di matrimoni o battesimi, Bagheria ( la Sicilia ) non era cosa. Riuscì nel suo progetto e, col tempo, ovviamente cambiò come mutata era ormai Bagheria: il ritorno era diventato doppiamente impossibile. Si creò per lui una condizione di sradicamento totale ma persisteva, immobile, nella memoria, il mondo dell’adolescenza e della prima giovinezza.
Nella memoria. Ma, anche, nelle fotografie a quel tempo scattate e conservate in una cassettina di legno che aveva contenuto dei vini.
Quelle fotografie potevano servirgli per realizzare per Bagheria quello che Leonardo Sciascia, con il libro Occhio di capra, aveva fatto per il suo paese d’origine, Racalmuto.
Ma gli servivano anche per chiudere definitivamente la pagina del passato, raccontandolo. Scrive infatti: “Magari uno fugge pieno di rancori, pieno di nostalgie e di “non ci tornerò mai più”, pieno di amici che muoiono, di luoghi che vengono distrutti, di amori irripetibili, di sapori che ti accompagnano, di dialetto che ti canta dentro; insomma non te ne esci. Probabilmente la cosa migliore è cercare di fare i conti con tutto questo”.
(8)A tempo debito, cioè nel 2002, trascorsi ormai decenni da quella partenza, con la scrittura e quelle fotografie, venne fuori un libro dal titolo emblematico: Quelli di Bagheria.
Ritenne che quell ‘esperienza dovesse essere condivisa il più possibile, e poiché i libri non hanno una tale fortuna, ne fece un film. E una sera di dicembre del 2003 lo proiettò a Bagheria, in piazza Madrice.
Su quell’episodio Ferdinando Scianna ora scrive: "C’erano tremila persone. Sul sagrato della Madrice collocammo due schermi, in uno il mio film nell’altro le immagini degli spettatori che guardavano cercate tra la folla da due telecamere . … Alla fine, messi di fronte alla propria memoria, al tempo inesorabile come soltanto sa fare la fotografia, molti piangevano. Era l’emozione che avevo cercato”.
(9) Chi c’era vide Ferdinando Scianna aggirarsi nella piazza, fra i tremila, con la sua macchina fotografica.
Un’altra serata memorabile.
Biagio Napoli
1)Ferdinando Scianna, Autoritratto di un fotografo, Bruno Mondadori, settembre 2011, p. 34.
2)Ivi, p. 56.
3)Ferdinando Scianna, Ignazio Buttitta, testo di Roberto Leydi, Sciardelli, Milano 2000, pp. 9-10.
4)Nino Morreale, Carlo Doglio a Bagheria, in Carlo Doglio, Il piano della vita, Scritti di urbanistica e
cittadinanza, a cura di Chiara Mazzoleni, Nino Morreale, Ferdinando Scianna, Lo Straniero, Roma
ottobre 2006, p. 11.
5)Ferdinando Scianna, Quelli di Bagheria, Villa Cattolica Museo Renato Guttuso, PELITI ASSOCIATI
2002, pp. 40-41.
6)Ferdinando Scianna, Un’importanza capitale, in Carlo Doglio, il piano della vita, op. cit., p.8.
7)Ivi, p. 9.
8)Ferdinando Scianna, Autoritratto di un fotografo, op. cit., pp. 183-184.
9)Ivi p. 193.