Ignazio Buttitta e gli anni venti una vita spericolata nel paese degli artisti.
Poeta, bottegaio, capopopolo, cantastorie, partigiano, comunista, futurista, giramondo, amico di spie fasciste e di anarchici bambaroli. Ignazio Buttitta, matrioska della posia. Intorno al poeta bagherese negli anni è sorta una diffusa mitologia, spesso da lui stesso alimentata.
Ora Salvatore Di Marco ne "Gli occhi del mondo. Saggi su Ignazio Buttitta" (Coppola editore, 220 pagine, 18 euro), prova a separare il vero dal falso, le suggestioni dalla cronaca. Ricostruendone tra l'altro l'intensa e lunga biografia, a partire dagli anni giovanili in quella Bagheria capitale siciliana del movimento futurista di Marinetti e inseminata di variegati fermenti culturali. L'unica cosa certa è che fu un grande poeta, tutto il resto va filtrato alla luce della sua esuberante vitalità che lo ha visto attraversare turbinosamente un secolo quasi per intero, dal 19 settembre 899, quando nasce, al 5 aprile del 1997, quando muore. Ci teneva a girare la boa dei cento anni- anzi era un suo chiodo fisso- non ce l'ha fatta per una manciata di mesi.
Bagheria negli anni venti e trenta è una città felicissima, vivaio di giovani irrequieti con il bernoccolo della genialità: Buttitta, Renato Guttuso, Castrense Civello, Giacomo Giardina, Peppino Speciale, Salvatore Tutino, Pietro Tomaselli, Pietro Garajo.
Alcuni sono dentro lo status nascenti del fascismo, altri presi dai fuochi d'artificio di Marinetti e compagni. Proprio il leader del futurismo in quegli anni si reca ben 6 volte nella città dei limoni per dare la scossa ai seguaci e alla sua creatività. In quelle circostanze ha più volte modo di interloquire con Ignazio Buttitta, che molto apprezza e dal quale molto è apprezzato. Entusiasta della poesia "Amu lu silenziu", si attiva per pubblicarla nel giornale del movimento.
Poeti, pittori, scrittori, cantastorie, si incontrano, declamano versi, cantano, raccontano, polemizzano, pubblicano. E' un fiorire di giornali, come margherite e primavera: "La trazzera", "Il Merlo", "Lu marranza", "Pò tu cuntu", "Retroscena", "Arethusa" e tanti altri. Politica, cultura, questioni strapaesane e tanti versi dialettali.
Buttitta pubblica ovunque gli vengono aperte le pagine. Questo avrebbe indotto, poi, più di un critico a storcere il muso per la sua faciloneria a sporcare le rime con riviste direttamente fasciste o fiancheggiatrici.
Chi ha conosciuto il poeta sa che lui è sempre stato vicino ai più deboli, inneggiando alla giustizia socialista, ma sa anche che pur di pubblicare avrebbe fatto carte false. Lui prescinde dal contenitore, esistono solo le sue parole ritmate, che ama recitare con la sua voce ammaliatrice, artatamente strozzata, e con quel caratteristico pathos che gli sgorga dagli occhi.
Di Marco smonta questi sospetti e tanti altri. Ma con la stessa onestà intellettuale ridimensiona la militanza partigiana del poeta. Il quale ha spesso raccontato dei suoi arresti negli anni in cui - fuggito dai bombardamenti alleati nel palermitano- sposta la sua attività di commerciante di formaggi a Codogno in Lombardia. Smascheratoda un partigiano che fa il suo nome sotto tortura, a suo dire viene salvato da un ufficiale tedesco "malato" come lui di poesia. Un'altra volta viene tradito da una ragazza che lo irretisce con la sua avvenenza e viene tirato fuori dai guai dal castelbuonese Alfredo Cucco, potente gerarca fascista.
Ecco come ce l'ha raccontato il figlio di Ignazio, Nino, antropologo all'università di Palermo: - "In vista del 25 aprile inviarono mio padre in una zona del Piacentino per sondare gli umori di un distaccamento di soldati cecoslovacchi. Per non dare sospetti si portò me, allora dodicenne. Uno dietro l'altro in bicicletta. Incontrammo una bella ragazza anch'essa in bici e mio padre sempre sensibile al fascino femminile, cominciò ad attaccarci bottone. Per fare colpo raccontò anche della missione. Ma la bella bionda era una spia e mio padre finì in carcere"-. E' la moglie Angelina - la donna di tutta una vita, struttura portante della famiglia- a correre al Mininculpop implorando il conterraneo Cucco.
-"Lo storico palermitano Massimo Ganci ha incluso anche Buttitta tra quei militanti che nel 1944 dalla clandestinità a Palermo riorganizzavano le fila del partito comunista"- scrive Di Marco - ma Franco Grasso, che era il capo della resistenza locale mi raccontò che il poeta si era limitato a fare occasionalmente da corriere, cioè da collegamento tra gli ambienti clandestini dela sinistra palermitana e i partigiani del nord, con la copertura degli spostamenti per le sue attività commerciali". L'autore rimarca che Grasso considerasse Buttitta poco adatto a un'attività clandestina visto il suo carattere esuberante, la sua indole pasticciona e la sua vicinanza a una spia nera.
Anche la sua amicizia con il collesanese Paolo Schicchi è stata ridimensionata. Una poesia di Buttitta che invoca la liberazione dell'anarchico in carcere, è stata sventolata come condivisione ideologica. Ma lo studio di Di Marco dimostra che non di amicizia si è trattato ma solo di frequentazioni occasionali durante i soggiorni dell'attivista bakuniano a Palermo.
Seppure a modo suo, Buttitta è stato comunque sempre dentro il calderone della sinistra, come testimonia Guttuso (con il quale è stato grande amico fin dalla stagione futurista anche se il pittore era allora un simpatizzante fascista) che racconta del poeta diciottenne che partecipa a uno sciopero sventolando una bandiera rossa. Anche Tornatore nel suo "Baarìa" dedica al poeta una scena che documenta il suo antifascismo. Sempre con il popolo, prima da socialista, poi, con la deriva Craxiana, da comunista.
Una cosa è certa , il suo ultimo voto nel 1996 è per Rifondazione. -"La mattina delle elezioni"- racconta il figlio Nino mi urla al telefono -"Quella contafrottole di tua sorella Aurora mi ha detto che non ci sono più i comunisti. E ora chi voto ? "-. Gli spiegai la situazione e lo accompagnai al seggio. "I comunisti c'erano, non gli stessi, ma sempre comunisti sono"- mi disse festoso.
Quei comunisti che amava incontrare alle "Feste de l'Unità" o nelle assemblee contadine, gli stessi che si commuovevano nel sentirgli declamare i laceranti versi sul martirio di Salvatore Carnevale o sulla tragedia nella miniera di Marcinelle.
Di Marco polemizza, infine, con Camilleri reo di avere affermato che Buttitta è la "costruzione" di due concomitanze: l'affermazione del neorealismo e la conoscenza di grandi personaggi, come Pasolini, Levi, Quasimodo, che ne avrebbero influenzato il percorso. E ci mette il carico insinuando che il poeta "ha espresso in gettoni i contenuti Marxisti", come se la sua poesia civica fosse frutto di un calcolo.
L'autore controbatte, dicendo che il poeta, nato rabdomante di parole, la sua direzione l'ha trovata da solo; i suoi versi giovanili ne sono la prova. Anche se le frequentazioni di quei personaggi gli hanno dilatato la mente. Ne ha fatto di strada quel ragazzino che finite le scuole elementari all'alba del novecento, sembrava zavorrato da una vita di lavoro. La poesia però gli mette presto le ali per svolazzare nel mondo.
Articolo tratto dal quotidiano La Repubblica, edizione di Palermo del 18 febbraio 2012