Cultura


Il 19 marzo tutta Bagheria è chiamata a festa, è il giorno del nostro Santo Patrono San Giuseppe! 

Dalla seconda metà del 1600, il principe Branciforti introdusse il culto e la devozione del Patriarca San Giuseppe, Santo protettore dei poveri, poiché i più indifesi avessero diritto al più potente dei Santi, almeno in questo siamo ricchi noi bagheresi. 

La festa inizia al mattino quando sono celebrate, presso la Chiesa Madre di Bagheria, le Sante Messe, alla fine delle quali è benedetto e distribuito il pane di San Giuseppe come simbolo della provvidenza che il Signore offre ai fedeli bagheresi per intercessione di San Giuseppe. 

Anche quest’anno, dopo il gran successo di quello trascorso, l’Ass. Baghering e l’Ass.ne Lannari, con l’aiuto della società civile e di alcuni panificatori bagheresi, hanno deciso di rendere ancora più memorabile questo giorno di festa cittadina: a conclusione della solenne messa del mattino, alle ore 10:30, l’arciprete La Mendola benedirà del pane posto sopra dei carretti tipici siciliani bardati a festa che, successivamente, percorreranno il Corso Umberto I distribuendo il pane benedetto. 

“Raccogliere per conservare, conservare per comunicare, questo è l’obiettivo della manifestazione culturale - dichiara Angelo Puleo, il Presidente dell’Ass. Baghering. In tempi come questi, quando ormai la così detta globalizzazione ha annientato ogni forma d’identità culturale, quando la memoria collettiva comincia a venire meno poiché ne vanno scomparendo gli interpreti e gli animi sono sempre più sfiduciati da un’epoca storico-economica non felice, è necessario fare appello all’orgoglio della nostra identità di cittadini bagheresi e cercare di conservare e rinvigorire quello che rimane della nostra umana ricchezza religiosa, storica, artistica e folkloristica.” 

Il nostro Santo Patrono, il pane benedetto e i carretti siciliani sono un più che significativo intreccio di simboli sacri e profani che rappresenta gran parte della nostra storia bagherese e malgrado il mezzo di trasporto quotidiano sia cambiato, la realtà del carretto non è persa e la presente e futura generazione avrà certamente bisogno di ascoltare i racconti dei carrettieri e come questo mestiere, definito da chi lo ha praticato un “arte”, sia indissolubilmente legato a Bagheria e al suo Santo Patrono San Giuseppe. 

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                        Auguri Bagheria e a tutti i bagheresi! 

 

III° appuntamento della rassegna "15000 musica scolpita", che vede la collaborazione dell'associazione Culturale EUTERPE, la Bottega d'arte e L'arsenale delle apparizioni, nella creazione di eventi culturali di varia natura, legati alla collezione discografica "Salerno", fruibile presso Palazzo Aragona-Cutò a Bagheria.

Il titolo dell'appuntamento: "La mia vita vorrei scriverla cantando", vuole essere un omaggio al poeta Ignazio Buttitta, al quale la serata é dedicata.

Per l'occasione L'arsenale delle apparizioni propone un menù del giorno composto di piatti provenienti dalla tradizione culinaria contadina, fra i quali potrete scegliere una o più portate.

Menù "Pani e tumazzu": Polpettine di finocchietto ca' cipuddata ,primosale e caciocavallo. Conchiglioni con le patate. Zuppa di fagioli e cruzziteddi. Brociolini al sugo. Salsiccia di suino nero dei Nebrodi, con cavolicelli. Fave a frittedda.

Per info e prenotazioni L'arsenale delle apparizioni- Via Lungarini 21- Casteldaccia.
Tel. 091 953 072 328 0075655.

Un fiume, due maneggevoli videocamere ad alta definizione ed il desiderio di risalire alla fonte di un'emozione, di una storia, di un punto geografico della nostra isola: questi gli ingredienti essenziali del documentario Oreto - The urban adventure.

Realizzato dal palermitano Igor D'india, videomaker freelance classe '84, il video ha debuttato ieri sera negli affollatissimi locali dell'associazione PaLab di Piazzetta del Fondaco a Palermo, ed è stato un tale successo da meritare un doppio turno di proiezione per consentire la visione a tutti gli intervenuti.

In trenta minuti di immagini, solo raramente interrotte da qualche sbigottito commento personale, Igor D'india ci racconta l'avanzato stato di degrado in cui versano le acque di quello che un tempo era uno dei maggiori serbatoi idrici della Conca d'oro palermitana. Ormai poco meno che una discarica a cielo aperto, e poco più che un rigagnolo, l'Oreto è stato percorso per circa 20 km dal nostro avventuriero post-moderno in un arco temporale che va dall’autunno del 2010 all’estate del 2011.

altLa sua armatura? Una muta 5 millimetri, un canotto - per i tratti più difficili a seguito delle abbondanti pioggie stagionali - ed un primitivo machete per i percorsi più impervi fra le rocce. Seguendo la serpentina segnata dal letto del fiume, che va dalla foce presso il Sant'Erasmo in cui il fiume si unisce al Tirreno e fino al punto più prossimo alla sorgiva dell'Oreto, poco sotto la frazione monrealese di Pioppo, Igor intraprende un viaggio fra le fanghiglie tossiche del fiume, rinvenendo rifiuti solidi d'ogni tipo, detriti, materiali di scarto, ma anche una tartaruga tropicale (finita lì chissà come!) e qualche pesce "trioculus"...  

Al di là del grande valore documentaristico del video (è infatti la prima attestazione visiva che abbiamo di una simile impresa) e del profondo senso di denuncia "morale" del disastro del fiume Oreto, ciò che ne viene fuori è un delicato diario di viaggio in immagini, immagini in cui traspare, a volte, un greve senso di pena e di impotenza, ed altre in cui affiora, inspiegabile, una flebile speranza, come la carezza di un'illusione nella certezza che la Natura sia sempre più forte di qualunque umana stupidità.

Igor D'india ha dichiarato sul suo lavoro «Il mio non è un documentario storico o una inchiesta, ma la mia personale esperienza all’interno del fiume e il rapporto che si è creato tra me e quello che osservavo dall’alto come una fogna a cielo aperto. Ho scoperto in realtà un percorso d’acqua che mi ha insegnato il senso di eternità. Siamo tutti preoccupati di dover salvare il fiume. Ma io, standoci dentro, ho vissuto una situazione di continuità. Il problema non è salvare l’Oreto, ma noi stessi. Perché il fiume è sempre stato là e continuerà a scorrere per sempre, anche millenni dopo la nostra scomparsa e noi stupidamente non ce lo stiamo godendo. Oggi è un non luogo, dove significato e significante non camminano insieme da tempo. Il problema principale purtroppo è la gente che ci vive intorno, che deve essere educata dalle istituzioni a rispettare il fiume, con una lunga opera di convincimento. Solo dopo si potrà parlare di riserva. Alla fine il mio è solo un documento-video che regalo alla comunità».

Guarda il trailer del documentario sul sito personale dell'autore www.igordindia.it

Guarda tutto il documentario andando qui http://everydayndia.wordpress.com/2012/03/06/oreto-the-urban-adventure-il-film/

Le straordinarie ville settecentesche di Bagheria, che
sono tra le più preziose ricchezze della Sicilia, sono
state private dei loro contorni, rimanendo lì, in mezzo
alle case, come testimoni intirizziti e malmenati di
un passato… (Dacia Maraini, Bagheria, 1993, p.58)            

Con gli anni Sessanta il carrettiere, espressione soprattutto dell’economia agricola, dovette trasformarsi in autista; la terra coltivata a limoni, nel dopoguerra, aveva intanto avuto un notevole incremento raggiungendo poi i 1507 ettari del 1970 (momento di massima espansione) dai 680 ettari del 1943. La caratteristica principale dei fondi agricoli era tuttavia la loro eccessiva parcellizzazione che scontava Il peccato originale della frammentazione della proprietà baronale dei decenni precedenti.

(1) E, tuttavia, la piccola proprietà, pur nella variabilità delle annate, assicurava un rendimento elevato; il reddito contrapponeva piccoli proprietari e braccianti, democristiani e comunisti, esistenza stentata e senza prospettiva per chi viveva di solo lavoro e possibilità di condurre vita agiata per gli altri.

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Bene quel tempo viene descritto in una recente testimonianza di Ferdinando Scianna: “Io sono figlio di quel boom del limone che determinò anche la psicologia e la cultura di Bagheria in quegli anni. Io la chiamavo Lemon City. Vi si viveva una specie di febbre dell’oro e, come in un paese del west, anche da noi c’erano giocatori professionisti, killer professionisti, personaggi di forte carattere. Forse mancavano solo gli sceriffi buoni. Era un tempo di violenti contrasti sociali”.

(2) Il bracciante, con il possesso di un piccolo limoneto, poteva riuscire a fare il salto sociale. E’ in questo contesto che il 2 luglio del 1962 un  bracciante verrà ucciso. Ancora Ferdinando Scianna ce ne racconta la storia: “Giacinto Puleo era bracciante. Come tanti era emigrato in Germania. Con una idea fissa in testa. Risparmiare abbastanza per tornare al paese, comprare un pezzo di terra e mettersi per conto suo. C’era quasi riuscito. Con un amico aveva preso un pezzo di limoneto a mezzadria. Era mancato anni. Non sapeva che in quel limoneto non raccoglieva più il padrone, ma un mafioso. Non glielo dissero subito, ma solo alla vigilia del raccolto. Vattene! Gli consigliarono. Giacinto non ci volle sentire: troppi sacrifici gli era costato quel pezzetto di giardino. Lo aspettarono di primo mattino, mentre andava a lavorarci e gli spararono due colpi di lupara”.

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(3) La mafia, anche se non si voleva vedere, dunque c’era; cambierà pelle e continuerà ad esserci. Ma, allora, c’erano i giardini la cui superficie in ettari, finchè l’agrumicoltura fu redditizia, si incrementò. Questa espansione si realizzò però fuori del paese la cui crescita, invece, avvenne a spese dei girati dei nobili che, seguendo “l’esempio della sfrenata speculazione che si verifica nella vicina Palermo”, verranno guardati non più “come una fonte permanente di reddito”, ma come “una occa-sione per lo sfruttamento a scopo edificatorio”. (

4) Furono, a partire dalla metà degli anni cinquanta, gli anni del sacco edilizio e quando, nel febbraio del 1965, fu nominata e si insediò una commissione d’inchiesta, i guasti più grandi e irreparabili erano stati compiuti. Venne accertato come lo stesso Comune, e il suo ufficio tecnico con i suoi dirigenti, fossero in larga misura responsabili dello scempio, di quello che fu un vero e proprio massacro urbanistico. 

Dacia Maraini, leggendo quelle carte e scrivendone, fa un ritratto davvero inquietante di uno di tali dirigenti quando lo presenta come “un protagonista oscuro, minaccioso, tenace, che riesce, con le buone e con le cattive, a costringere tutti al suo volere. Ha qualcosa del demone, ma di un demone “meschino”, molto simile al personaggio segreto e infelice di Sologub”.

(5) Nessuno pagherà. Gli accusati ( amministratori, tecnici, proprietari dei terreni ) verranno assolti o per prescrizione, o per amnistia, o per insufficienza di prove, o per insussistenza dei reati. (6) Scriverà Ferdinando Scianna:Politicamente il paese era dominato, di fatto senza contrasto, dai democristiani. L’opposizione al massimo riusciva ogni tanto a inserirsi fra le loro faide intestine. Rimandarono l’approvazione del piano regolatore finchè non ci fu più niente da regolare”.

(7)  Ma Nino Morreale non si contenterà di sottolineare la responsabilità del solo partito di maggioranza e scriverà: “E’ stato il disastro politico e culturale della città: nella debolezza morale di una classe dirigente ( di governo e di opposizione s’intende, perché nessuno dei due pezzi ha saputo fare il proprio lavoro di governare e di opporsi ) che non ha avuto la forza di fare argine ad un movimento potente ma resistibile, resistibilissimo”.

(8) E, all’apocalittico Carlo Doglio, niente poteva bastare; e scriveva già nel 1967: Si dicono le ville per civetteria intellettuale, e per disimpegno civile. Tanto ne esistono solo gli avanzi, e l’ambiente naturale in cui sorsero è scomparso, e la società da cui nacquero è morta… La ESSENZA di Bagheria non sono le ville, con buona pace di una certa cultura, architettura, eccetera eccetera. E’ questa città (35.000 abitanti !) che non c’è, questa ASSENZA, la sua ASSENZA. I giovani emigrati i vecchi a intasare le strade e gli scalini dell’edificio postale una monocoltura dell’agrume che batte e ribatte vacche grasse e magre senza mai un sussulto di autonoma decisione popolare.

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I mostri informi come emblema, i bambini a giocare tra i rifiuti: sono serrate per sempre (Baheria) le “porte del vento”? Si capisce che no. Ma Bagheria deve ancora incominciare a nascere e le ville sono relitti impotenti al concepimento. Un ornamento del futuro territorio, semmai, trasferito nel nuovo verde, quando esplodano vie e case e gente di adesso- un accumularsi di volontà che spezzi le stratificazioni economiche, sociali, culturali per cui Bagheria, adesso, è altrettanto archeologica quanto Solunto”.

(9) Si avrà, verso la fine del secolo, una inversione di rotta; ma, non certo, per quella esplosione di cose e di uomini immaginata da Carlo Doglio bensì, più semplicemente, per il definitivo tramonto dell’era del limoneto (le cui superfici, dal 1970 al 2000, si ridurranno progressivamente ritornando quasi a quelle di settant’anni prima) (10) e delle costruzioni. Come scrive Carlo Tripoli: “Il bene monumentale ritenuto fino a poco tempo prima economicamente improduttivo o addirittura un freno alle ipotesi di sviluppo (causa del vincolo paesaggistico generalizzato su tutto il territorio e tutela per legge delle aree poste nelle immediate vicinanze), comincia a diventare un patrimonio importante capace, se sfruttato correttamente, di assumere un ruolo primario”.

(11) Viene il tempo dell’acquisizione e del restauro di alcune ville e monumenti di loro pertinenza e della riqualificazione del centro storico. Ma il paesaggio è ormai stravolto. Esso era stato il risultato dell’impianto della coltura del limone dopo l’arrivo dell’acqua per uso irriguo solo pochissimi decenni prima, precisamente a metà degli anni Venti del secolo scorso. Vale la pena di riportare la vivida testimonianza di Orietta Guaita che, sul girato di Villa Valguarnera, scrive: “Alla fiamma azzurra degli ulivi subentrarono i limoneti fitti di lucente verde scuro…Fu costruita una canaletta che portò l’acqua della Piana.

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Girava tutt’intorno alla villa e al belvedere…le pendici sotto la balaustra, i fianchi del belvedere, ogni terreno fu spietrato e terrazzato. Sparirono i grandi carrubi ombrosi…scomparvero i mandorli, i rovi che regalavano grosse more molto appetite, i fiori selvatici, margherite arancione, narcisi bianchissimi, il raro ricercato fiore lilla dello zafferano e l’elegante albero del pistacchio di cui non ho mai più rivisto un esemplare. Sorsero i giovani limoni dappertutto”.

(12) Breve ma bellissima la descrizione che di villa Valguarnera ne fece Renato Guttuso quando scrisse che essa sovrastava “ il paese di Bagheria dalla sommità di una mammella fitta di agrumeti”. (13) La crisi irreversibile dell’agrumi-coltura, qualora non fosse scomparso, avrebbe reso inattuale questo paesaggio ponendo il problema (come lo pone per il poco terreno non edificato e non curato attorno a villa Valguarnera) di una nuova mutazione. Che sfida per l’immaginazione!

 

1-Vincenzo Lo Meo, Il LIMONE PERDUTO, i centocinquant’anni della limonicoltura nel comprensorio di Bagheria, Il Nuovo Paese, Bagheria Dic. 10/Gen 11, p. 23 e p. 52.
2-Ferdinando Scianna, Autoritratto di un fotografo, Bruno Mondadori, Settembre 2011, p. 28.
3-Ferdinando Scianna, Quelli di Bagheria, Villa Cattolica Museo Guttuso-PELITI ASSOCIATI, 2002, p. 247.
4-Relazione finale della commissione consiliare di indagine sui fatti urbanistici di Bagheria, in Peppino Speciale, giornalista, politico, storico, Ufficio per la Cultura del Comune di Bagheria, 2006, p.56.
5-Dacia Maraini, Bagheria, Rizzoli 1° Edizione, Milano 1993, pp. 52-53.
6-Il Nuovo Paese, Bagheria, giugno-luglio 2002, p. 59.
7-Ferdinando Scianna, Quelli di Bagheria, op. cit., p. 57.
8-Antonino Morreale, Una testa fuori dal sacco, in Carlo Tripoli, Dalla foresta al PRG del 1976, crescita urbana di Bagheria, EM Falcone Editore, Bagheria 2005, p. 16.
9- Carlo Doglio, Architetti di Sicilia, Palermo 1967, in Supplemento a Il Nuovo Paese, Bagheria, giugno-luglio 2002, XXXIX-XV.
10-Vincenzo Lo Meo, op. cit., p. 29.
11-Carlo Tripoli, Racconto e immagini, Il sacco vuoto, Supplemento a Il Nuovo Paese, Bagheria Dic./09 Gen. 10, p. 79.
12-Gianni e Orietta Guaita, Isola perduta, Rizzoli, Milano 2001, p. 27.
13-Renato Guttuso, Autobiografia-Premessa, 30 agosto 1966, in Renato Guttuso, Dal Fronte Nuovo All’Autobiografia 1946-1966, a cura di Fabio Carapezza Guttuso-Dora Favatella Lo Cascio, EM Falcone Editore, Bagheria 2009, p. 383.
            

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