Lo abbiamo già detto in altra occasione e lo ripetiamo: non tutte le morti sono uguali, e non tutti i morti sono uguali, anche se tutti di fronte alla morte siamo uguali.
Ed è abbastanza ovvio il motivo: un conto è morire nel proprio letto assistito dai parenti, dopo aver realizzato un percorso di vita, altro è morire in un lampo, giovani, dopo aver salutato appena qualche minuto prima i tuoi cari, per una concatenazione di circostanze avverse e assurde.
Se, come pare credibile, l’allarme che ha portato alla tragica morte di Massimo Vazzano sarebbe scattato per un equivoco (una bambina non rientrata dalla scuola all’ora prevista, avrebbe suscitato grande preoccupazione nella famiglia), ancora di più la morte dell’appuntato scelto sembra assurda e inconcepibile.
E la morte del carabiniere Massimo Vazzano ci spinge ad una riflessione e ad una autocritica apparentemente ovvia e banale, ma, se ci riflettiamo, doverosa, proprio perchè è una morte che assume una valenza emblematica.
Anche perché le vicende di cronaca ci mettono ogni giorno di fronte a questi uomini in divisa, che caldo o freddo, pioggia o vento, se vengono chiamati debbono stare là, proprio dove più rischiosa è la scena. E lo diciamo senza alcuna retorica.
Sappiamo quanto il rapporto tra noi siciliani (almeno quelli di una certa età) e le forze di polizia sia stato e sia difficile, anche se va riconosciuto che le cose stanno cambiando ed anche in maniera significativa.
Perché siamo abituati per un portato di vicende che affondano nella nostra storia e nella nostra sub cultura, a guardare con sospetto, con pregiudizio le divise di qualunque corpo e di qualunque colore.
Quante volte ci sarà capitato di essere stati oggetto di qualche piccola vessazione o mortificazione, vera o presunta, da parte di chi sta dalla parte della legge.
La rabbia che ti tieni dentro perché sai di non potere reagire anche alle piccole soperchierie che talvolta gli uomini, ed ora anche le donne, in divisa, ti fanno.
O di quando la presenza di qualche mela marcia tra gli uomini in divisa ci spinge a giudizi ingenerosi e generalizzazioni fuori luogo.
Però è un fatto che se la nostra sicurezza per qualsivoglia motivo è in pericolo è a loro che ci rivolgiamo, se i nostri beni vengono violati è loro che chiamiamo.
E tante volte nel disinteresse e nel silenzio della cronaca questi uomini e queste donne trovano la parola giusta e i modi giusti per ricomporre un dissidio, per tranquillizzarci, per darci coraggio; e le testimonianze che abbiamo sentito sull’appuntato scelto Massimo Vazzano, vanno tutte in questa direzione.
Ci capitava di ascoltare al supermercato, un paio di giorni fa, un comune cittadino parlarne con le lacrime agli occhi di Massimo, che, ci diceva, pur non essendo suo familiare o amico, in occasione di una vicenda dolorosa era andato a trovarlo in ospedale.
Non è per fare un finale da libro Cuore o da clima natalizio: ma per trarre anche da vicende così terribili e dolorose una lezione, e perchè deve essere una scelta ragionata e consapevole quella che dobbiamo fare.
Anche quando dovessimo ritenerci oggetto, giustamente o ingiustamente, di qualche prevaricazione o ingiustizia da parte di uomini in divisa, magari perché ci hanno fatto una multa che riteniamo di non meritare, prima di atteggiarci a vittime, pensiamo al carabiniere Massimo Vazzano.
Era uscito di casa, per andare a lavorare, avrà salutato la moglie e le figlie con un bacio o un abbraccio, poi la Parca su quella maledetta curva ha deciso di dare un taglio al filo della sua esistenza.
Riflettiamo sul fatto che questi uomini in divisa, in un momento qualsiasi, di un giorno qualsiasi, riceveranno una telefonata, salteranno su un’auto, azioneranno una sirena e da quel momento le loro azioni saranno rivolte a darci sicurezza, mettendo se necessario con generosità e altruismo anche le loro vite a nostra disposizione.
Sarà il modo migliore per non dimenticare Massimo Vazzano.